CHIAROSCURO CON IPOTESI DI REQUIEM

Carmelo Fucarino

Ci fu tra V e IV sec. a. C. Prassitele che ci stupisce ancora per la bellezza della sua Afrodite cnidia, anche se sopravvive nel colore del nudo marmo, mentre, come tutte le statue antiche, a sconfessione degli splendidi marmi bianchi di Canova, era coperta con cere colorate dal pittore Nicia, la speciale patina lucente detta ganosis. Ma anche Fidia già prima (490-430 a.C.), doveva dipingere a colori sgargianti le sue statue. Furono gli anni splendori della letteratura e dell’arte ad Atene. La bellezza apollinea come canone d’arte che rifulse anche con Apelle, Polignoto e Zeusi. Poi vennero gli anni del Galata morente di Epigono, il Galata suicida, il realismo del Fanciullo che strozza l’oca di Boethos con il suo slancio e quasi una “intonazione” rococò. In parallelo con i supposti corsi e ricorsi vichiani dopo il Rinascimento, che a quegli anni si intendeva ricollegare al classicismo greco, dopo i fulgori dei delicati Tiziano e Raffaello e del possente Michelangelo, la dolcezza della Primavera del nostro Beato Angelico, giunse un certo Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, caso anomalo di un uomo che è inteso con il nome del paese di nascita, mentre avviene che Collodi, frazione di Pescia, prenda nome dal suo illustre concittadino. Nato a Milano, orfano di padre morto nella peste del 1577, ebbe i veri grandi successi a Roma, ma qui anche ebbe l’inizio della sua vita sventurata di fuggiasco tra Napoli, Malta e Sicilia, come nella serata di beneficenza afgana ha magnificamente narrato il fluviale saggista Dario Oliveri (con il nostro Marco Betta Notte per me luminosa nel 500° dell’Orlando Furioso e Il grande silenzio. Riflessioni su “Il Quadro nero”, opera per musica e film di Roberto Andò e Marco Betta) ed ora giallista, anche se sempre in ambiente musicale, Il caso Webern. Ricostruzione di un delitto, il cold case del musicista che uscito a fumare un sigaro è freddato da un soldato americano a guerra finita (RAI3; del regime nazista si era già occupato con Hitler Regala una città agli ebrei, L’epos, 2008). Ed è per me anche un caso strano che Dario diventi investigatore da prof di Storia della Musica Moderna e Contemporanea e Teatro musicale per l’infanzia presso l’Università di Palermo, per un ventennio direttore artistico dell’Associazione Siciliana Amici della Musica e attuale coordinatore della Sezione musica del Festival delle Letterature Migranti. In effetti la Messa di requiem in Re minore K 626 c’entra di sguincio, per creare l’atmosfera al vero protagonista della serata, Caravaggio. Per di più Wolfgang Amadeus Mozart riuscì a scrivere solo l’Introitus: Requiem aeternam e non portò a termine quello che sarebbe potuto restare il suo testamento e canto del cigno anche se per un anonimo committente, perché morì il 5 dicembre 1791. Completò l’opera l’amico e allievo Franz Xaver Süssmayr (qui versione Peter Lichtenthal). Tra l’altro l’opera nel suo genere musicale è assai complessa e prevede un organico di un’orchestra completa di fiati e corde, un soprano, un alto, un tenore e un basso e un coro. Nel primo spettacolo in cui la partecipazione di Gliarchiensemble è stata assicurata dalla sola registrazione musicale probabilmente ha meglio svolto il suo compito, senza distrazioni dal vivo, lasciando protagonista solo il Caravaggio degli eccezionali giovani dei Teatri 35. Si deve dare atto al grande regista del nostro angolo teatral-musicale, arch. Gelardi, che la scelta di questa primizia è stata eccellente, sia per il club sia per Palermo. Al di là degli elogi a tutta l’organizzazione l’evento ha una sua originalità e spessore. Di Caravaggio, il pittore delle maddalene equivoche e dello scalpore per i pellegrini, “uno co’ piedi fangosi, e l’altro con una cuffia sdrucita, e sudicia”, c’è poco da dire, dato il furore dell’esplosione della sua scoperta, dopo essere stato dimenticato fino al XX secolo, questa mania della riscoperta e delle neo-attribuzioni, come se fosse l’unico pittore geniale della nostra arte. Si è giunti in questa orgia caravaggesca ad accreditare come discepoli e pittori caravaggeschi anche semplici imbrattatele, pittori che a Palermo hanno avuto alti riconoscimenti e mostre ricorrenti anche all’Abatellis. A Palermo è ancor più impazzata la marea mediatica in conseguenza del Caravaggio rubato nell’Oratorio di San Lorenzo, la celebre Natività con i santi Lorenzo e Francesco di Assisi, 52 anni fa, la notte del 17-18 ottobre 1969, si dice dalla mafia, e gonfiata sull’onda da ipotesi e interventi di arte da Una storia semplice di Leonardo Sciascia (2006), al film Una storia senza nome (2018) di Roberto Andò, all’opera Il Caravaggio rubato, orchestra e Coro del Teatro Massimo di Palermo di Giovanni Sollima in CD, musicista che tornerà qui nel 2022, a concludere con Luca Scarlini, Mito e cronaca di un furto (Sellerio 2018), fino alle fantasiose ipotesi di Sgarbi. Naturalmente occorrerebbe far sedimentare questa frenesia del pittore, sfortunato certo e inseguito dalla forca, la tragicità delle cui opere e il realismo dei suoi emarginati e donne di strada ci sconvolgono ancora. Dopo una lunga frequentazione del bello etereo e divino fino alla nausea una pennellata di scuro era attesa in una società in cui l’orrore delle streghe e dell’Inquisizione aveva sparso la paura della morte. E Caravaggio l’orrore della morte la sparse nel modo più crudo e violento. Con le sue tele tenebrose falciate da una scia di luce ad illuminare il particolare da rilevare, immensi spazi vuoti. E dopo quelle allucinanti folgorazioni rinascimentali si vede oggi come una rivoluzione. Ma non per i suoi tempi e i successivi, dopo quella morte misteriosa a soli 38 anni in un luogo e per cause incerte.

Quello che stupisce però in questo forsennato e dilagante revival di Caravaggio e risulta a me strano è che oltre a Teatri 35 egli è fatto rivivere attualmente con questo espediente antico e straordinario che ha pochi altri esempi in Italia, i tableaux vivants, anche da Ludovica Carambelli al Complesso Monumentale Donnaregina del Museo diocesano di Napoli. Qui si rappresenta La conversione di un cavallo, di grande impatto, ben 23 tele di Caravaggio realizzate con i corpi degli attori e l’ausilio di oggetti di uso comune e stoffe drappeggiate. Un solo taglio di luce illumina la scena come riquadrata in una immaginaria cornice, i cambi sono tutti a vista, ritmicamente scanditi dalle musiche di Mozart, Bach, Vivaldi, Sibellius (così dal sito del teatro). Oltre questi due eccelsi esempi non mi risulta che i “quadri viventi” riscuotano grande successo nei teatri italiani. Eppure la loro tecnica, ricordo del cinema muto, porta sul palcoscenico oltre alla staticità della pittura anche quella visiva della moderna opera d’arte che può essere la fotografia. Particolare a Genova l’opera di Vanessa Beecroft di madre italiana e padre britannico, che crea delle performances utilizzando il corpo di giovani donne più o meno nude, con precise coreografie e norme. Eppure divennero famosi in Italia per la loro introduzione da parte di Pier Paolo Pasolini nel tormentato La ricotta, IV episodio di RoGoPaG (1963) con l’accostamento alle pale d’altare di Rosso Fiorentino e del Pontormo. Il cinema ne ha fatto in genere largo uso e in diverse occasioni, come Jean-Luc Godard in Crepa padrone, tutto va bene (Tout va Bien, 1972) e in Passion (1982), Derek Jarman e Peter Greenway. Ma torniamo ai nostri Teatri 35. I tre eccezionali artisti, Antonella Parrella, Gaetano Coccia, Francesco Ottavio De Santis, hanno rappresentato per noi, ricreato materialmente e smontato i sei più celebri dipinti e ci hanno sconvolto con la eccezionalità e la drammaticità delle immagini. Ricostruzione da quel caos di teli e camice sparse sul piccolo palcoscenico improvvisato davanti a quell’altare del Crocifisso. I loro gesti così precisi e l’evoluzione della creazione senza un attimo di indecisione per poi lasciarci sospesi in quei minuti in cui il cuore si fermava davanti al loro magico fermo immagine. E si era tentati di salire là sul palco per intervenire ed essere partecipe di quel miracolo, fermare il martirio di Sant’Orsola o quella mano tesa sul collo di Oloferne, o gioire con Lazzaro, o aiutare quel Pietro Cristo novello. Tutto si svolgeva così veloce, senza un attimo di requie, con una angosciosa sospensione che toglieva il respiro. Aveva Caravaggio vissuto dentro di sé queste angosce nel momento in cui le ricreava nei suoi tormentati personaggi? Certo che questi tre giovani nell’estremo loro silenzio della gestualità hanno saputo rendere vivo e in itinere questo travaglio creativo che forse più di ogni altro pittore poteva trasmettere per la drammaticità della sua vita e delle sue opere, ad evocarne e fissarne la sua specificità. Mi dispiace confermare che il commento musicale non era necessariamente evocativo di una evocazione artistica vissuta nel silenzio di uno studio di pittore o nei miseri alloggi di fortuna, nel sospetto del riconoscimento.Ad accrescere invece la suggestione e la commozione il complesso architettonico del SS. Salvatore, questo prezios o gioiello, eretto nel 1072 per volere di Roberto il Guiscardo, ma arricchito e concepito nel 1682 da Paolo Amato in croce greca con dodecagono iscritto in una ellisse, con i suoi marmi policromi, mischi e tramischi, affreschi e stucchi e quegli aerei ballatoi per le monache basiliane, inaugurato nel 1700. E gli affreschi di un altro grande, Vito d’Anna con la guarigione del bimbo da parte di San Basilio o le figure allegoriche di Fortezza,  Prudenza, Temperanza e Giustizia, Fede e Carità, la grandiosa Apoteosi di San Basilio. Ricostruita dopo le devastazioni dei bombardamenti degli alleati liberatori nel 1943, con la cupola costruita nel 1960 con vista da capo giro su Palermo, nella sua nuova funzione di auditorium (ma anche di vocazione turistica) il cartiglio su un arco, “Educare istruire ricreare”.Risvolto positivo almeno è che con questa funzione i tableau vivants sono stati ripresi dai Musei educativi.  Attraverso la riproduzione collettiva di un dipinto a scelta si propongono di dare la possibilità di “entrare in un’opera d’arte”, comprenderne la composizione, la luce e diventarne parte per coglierne espressioni, dettagli, gesti.

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