SAPER LEGGERE E SCRIVERE

Andrea di Napoli

La Storia ci racconta che, durante gli anni bui dell’Età di Mezzo, le epidemie e le battaglie tra le brigate, “al soldo” del “Signore e Padrone” locale, avevano sterminato le popolazioni e terrorizzato i sopravvissuti. In effetti, ogni ruscello, ogni montagna ed ogni bosco segnavano il confine naturale di piccoli Stati, Potentati o Feudi e venivano difese con le armi e col sangue dalle invasioni dei vicini, anzi vicinissimi. Solo pochi metri della stessa terra. Le differenze economiche e sociali erano enormi e inique. Mentre a Corte si gozzovigliava, dentro le grotte e lungo le strade la gente moriva di fame. Per la propria sicurezza gli abitanti di borghi e paesi avevano la consuetudine di innalzare alte mura intorno al centro abitato, permettendo l’accesso attraverso poche porte sorvegliate giorno e notte. Comprensibilmente le informazioni, le notizie e la “Canoscenza” circolavano con grande difficoltà. Quasi tutti diffidavano dell’istruzione ed anche i pochi che sapevano appena leggere e scrivere erano visti con sospetto. Tuttavia, al di là di un modesto braccio di mare, esistevano una terra ed un popolo profondamente diversi. Il clima mite e una natura benevola consentivano la sopravvivenza anche dei più poveri. La classe dominante, particolarmente illuminata, governava con magnanimità e favoriva le Lettere e le Arti. I rampolli delle famiglie più agiate potevano addirittura permettersi di dedicare il loro tempo allo studio. Certo non erano tanti, ma questi giovani eruditi cercavano di apprendere l’intero scibile umano e di leggere i codici, le “istorie” e le biografie degli uomini illustri. Pertanto, vennero pubblicati numerosi volumi, pazientemente copiati dai volenterosi amanuensi.  Anche se nel Medio Evo la stragrande maggioranza della popolazione europea era analfabeta, in codesto reame, nel quale la presenza degli stranieri era del tutto normale, le stamperie pubblicavano libri con il testo nelle tre principali lingue: il latino, il linguaggio dei classici e dei religiosi, l’arabo, con cui comunicavano scienziati ed astronomi, e l’ebraico, diffuso tra i viaggiatori e i mercanti.

Tutto ciò che aveva imparato in tanti anni trascorsi all’interno delle stanze della casa paterna, Ruggero lo aveva meticolosamente trascritto, a lume di candela, in un ponderoso manoscritto. Animato da una sincera generosità, lo studioso non si accontentava di soddisfare la propria “sete di sapere”, ma riteneva necessario istruire gli insipienti ed insegnare anche solo pochi e rudimentali princìpi a coloro che non avevano mai avuto il benché minimo contatto con la cultura. I parenti non lo trattennero, comprendevano l’importanza della missione che Ruggero intendeva intraprendere. L’istruzione avrebbe illuminato le menti della gente comune e spalancato davanti ai loro occhi un futuro migliore. Pochi panni, una coperta e il suo libro costituivano il fagotto con cui il giovane si imbarcò senza rimpianti. Dopo un solo giorno di navigazione, Ruggero scese a terra ed iniziò il suo viaggio, ovviamente a piedi. Lungo il tragitto, invece di ammirare i paesaggi sconosciuti, ma non proprio suggestivi come quelli che aveva lasciato, il solerte maestro ripeteva a memoria ora i versi di un poema, ora una formula algebrica, ora … una ricetta gastronomica. Si accorse così di avere appetito. Impiegò altre due ore di cammino prima di raggiungere la locanda nella quale decise di ristorarsi e riposare. La zuppa calda ed il vino sincero sciolsero la lingua a Ruggero che si complimentò con la cuoca e brindò con i clienti raccontando ingenuamente a tutti che portava con sé un oggetto prezioso che avrebbe cambiato in meglio il destino dei popoli incolti che vivevano in cattività come le bestie. Poi si fece accompagnare al suo giaciglio giacché crollava dal sonno.Non tutti i presenti avevano considerato le parole di Ruggero come le chiacchiere prive di senso di un forestiero ubriaco. Tra i bevitori che frequentavano abitualmente la locanda c’era, infatti, anche Boccone lo Sdentato, un brigante che faceva parte della banda del feroce Torremulon. Il mattino seguente Ruggero lasciò la locanda e iniziò il suo cammino per raggiungere, prima che facesse buio, il paese dove intendeva trovare gli allievi della sua prima classe. Ma, come era ampiamente prevedibile, lo Sdentato aveva avvertito il Capo e, come era altrettanto prevedibile, nessuno dei due aveva compreso che l’oggetto prezioso di Ruggero aveva un valore esclusivamente intellettuale. Pensando di impossessarsi di un gioiello la banda tese un’imboscata al viandante solitario. Un sasso scagliato con violenza colpì Ruggero che perse i sensi accasciandosi al suolo. Una coppia di lupi della foresta vicina non gli dette il tempo di riprendersi mai più.Allontanatisi in fretta i briganti restarono increduli del fatto che il sacco contenesse solo pochi panni e della “carta”. Per quelle canaglie solo l’oro, l’argento e i monili avevano valore; di certo lo Sdentato aveva sentito male le parole della sera prima.Cominciava a far freddo e la banda, dopo aver raccolto la legna, si riunì in circolo ed accese il fuoco utilizzando proprio i fogli del prezioso manoscritto del povero Ruggero. Le pagine si accartocciarono rapidamente e le poesie, i calcoli, le orbite e le imprese eroiche, bruciando, rilasciarono un fumo denso e acre. La notte che avanzava sarebbe durata a lungo e solo poche flebili fiammelle sarebbero brillate in quella immutabile oscurità.

 

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