PALERMO TOPONOMASTICA FEMMINILE

Via Nina Siciliana

Antonella Grandinelli

Nina Siciliana è  una  misteriosa poetessa messinese che, secondo alcuni è stata la prima donna a scrivere poesie in volgare, sebbene di lei non si abbiano  notizie certe. Qualcuno sostiene che non sia mai esistita. A collocarla in Sicilia non è che una supposizione basata sulla distribuzione del nome Nina nel XIII secolo. Si azzarda una ipotetica data di nascita intorno al 1240 oppure al 1290. Dev’essere stata anche di nobile rango perché le donne di ceto inferiore non godevano di alcuna educazione né frequentavano le corti dove si produceva e circolava la cultura. Le contese tra Palermo e Messina per  individuare il suo luogo di nascita si fondano invece sull’esistenza della scuola poetica siciliana intorno alla corte palermitana di Federico II di Svevia che attirava  intellettuali provenienti da tutto il Mediterraneo e dove si suppone che la poetessa sia venuta a contatto con la poesia che fioriva a corte e con quella trobadorica che veniva dalla Francia. Non a caso si sono trovate somiglianze tra le due poesie attribuite a Nina   e le trobairitz, le poetesse provenzali. A Messina la legherebbe la presenza in città di una rappresentanza della scuola poetica siciliana nelle persone di Guido e Oddo delle Colonne che la poetessa doveva conoscere. I dubbi sulla sua esistenza si basano invece su un assunto più volte smentito dalla effettiva presenza, pur rara, di poetesse che hanno saputo ritagliarsi uno spazio: all’epoca le donne, salvo rari casi ed esclusivamente negli ambienti nobiliari, non studiavano. Quelle che coltivavano la poesia erano più spesso nobildonne mecenati che letterate. Una donna non poteva scrivere versi così sofisticati, sostiene chi non ne riconosce l’esistenza.

Anche se il suo nome intero non è noto, di appellativi ne ha avuti tanti: Nina Siciliana, Nina da Messina, Monna Nina e anche Nina del Dante per via di una corrispondenza poetica con il poeta toscano Dante da Maiano che pare se ne sia innamorato al solo leggerne i versi. Il loro è l’amore a distanza dell’epoca stilnovista che si consuma a colpi di sonetto. Lui le scrive:

La lode e ‘l pregio e ‘l senno e la valenza
ch’aggio sovente audito nominare,
gentil mia donna, di vostra plagenza
m’han fatto coralmente ennamorare,
e miso tutto in vostra conoscenza
di guisa tal, che già considerare
non degno mai che far vostra voglienza:
sì m’ha distretto Amor di voi amare.

Tanto appassionati e raffinati dovevano essere i suoi versi se bastarono a un poeta affermato per invaghirsene. Nina risponde rima per rima, letteralmente. Della relazione che rimase esclusivamente poetica resta una labile traccia in una raccolta pubblicata dal tipografo Giunti a Firenze nel 1527. Ma il fuoco che l’ha animata guizza nei pochi versi rimasti nei quali Nina prende le redini della situazione e dà spazio e dignità letteraria al sentire femminile. Non solo si serve con maestria della lingua volgare e introduce il punto di vista femminile ma inserisce nel sonetto di risposta anche un acrostico nascondendo il nome del suo interlocutore tra i versi e dimostrando una grande padronanza tecnica. Se sia esistita davvero o no se lo sono chiesti in tanti. Qualcuno ha preteso di provare che no, non è stata che un’invenzione editoriale. Lo ha fatto lo studioso Borgognoni nel 1877 con un articolo dal titolo La condanna capitale di una bella signora, una vera e propria arringa che senza mezzi termini afferma: “Ed eccovi appunto il reo: la Nina. La si fe’ chiamare e trovò chi la chiamò e seguita ancora a chiamarla (avete udito or ora) la Nina siciliana. Ma non le date retta: è un nome finto, un passaporto falso.” Qualcun altro ha garantito che sì, è esistita, e i suoi versi ne sono la prova inconfutabile. Oltre a quello in risposta a Dante da Maiano e attribuito con certezza, si sospetta suo anche un sonetto rinvenuto in un codice Vaticano che lamenta il tradimento dell’amato/sparviero. E, con qualche prudenza, persino l’anonimo sonetto Onde si muove, e donde nasce amore? indirizzato a Guido Cavalcanti e Ahi lassa innamorata che si attribuisce a Odo delle Colonne. Da quel che ne dice Dante da Maiano la sua produzione dev’essere stata vasta e ben nota ai contemporanei. Vasta e nota ma perduta.

Tapina me che amava uno sparviero,
Amaval tanto ch’io me ne moria;
A lo richiamo ben m’era maniero,
Ed unque troppo pascer nol dovria.
Or è montato e salito sì altero;
Assai più altero che far non solia;
Ed è assiso dentro a un verziero,
E un’altra donna l’averà in balìa.
Isparvier mio, ch’io t’avea nodrito;
Sonaglio d’oro ti facea portare,
Perchè nell’uccellar fossi più ardito.
Or sei salito siccome lo mare,
Ed hai rotto li geti e sei fuggito,
Quando eri fermo nel tuo uccellaro.

Le nebbie sulla sua esistenza non si sono ancora diradate e forse Nina resterà per sempre un mistero. Nei suoi versi però accade qualcosa che non era mai successo prima. Mentre i poeti medievali celebrano la donna angelo e l’amor cortese, di fatto sminuendo la figura femminile a mero oggetto di contemplazione, lei mette al centro l’io femminile come soggetto attivo e infrange la tradizione lirica stilnovista.

Qual sete voi, si cara proferenza,
Che fate a me senza voi mostrare?
Molto m’agenzeria vostra parvenza,
Perché meo cor podesse dichiarare.
Vostro mandato aggrada a mia intenza;
In gioja mi conteria d’udir nomare
Lo vostro nome, che fa proferenza
D’essere sottoposto a me innorare.

Al poeta che le scrive risponde con sicurezza e intraprendenza mettendosi sullo stesso piano. Apre con una domanda diretta, chiede di vederlo, insinua che tutto l’amore che proclama non sia che finzione poetica. Lo mette alla prova, lo incalza, lo giudica, chiede di più. Per questo Nina può considerarsi una rivoluzionaria che ha aperto la strada alle poetesse del XV e il XVI secolo i cui versi non saranno più semplici risposte al corteggiatore ma corteggiamento in sé. Alessandro Tassoni le ha dedicato una voce all’Accademia della Crusca, per Foscolo è una novella Saffo, De Sanctis ne elogia il volgare raffinatissimo e la poetessa Mariannina Coffa l’annovera nel Parnaso siciliano. Nicolò Tommaseo ha notato la superiorità del suo sonetto rispetto a quello di Dante Maiano a cui risponde. E Agostino Gallo l’ha definita “ornamento del siculo Parnaso” sul monumento a lei dedicato. Faceva parte, fino al 1930, del Pantheon degli Illustri di Sicilia nella chiesa di San Domenico a Palermo. È stato poi rimosso per dar spazio a un generale della Prima Guerra Mondiale: la poesia scalzata dagli onori bellici.

 

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