L’ECCELLENTE ACCOPPIATA

Carmelo Fucarino

ph. Rosellina Garbo

Strane accoppiate quest’anno operistico tra il teatro Massimo di Palermo e la Scala di Milano. Dopo la coincidenza del Don Pasquale a gennaio, a marzo il balletto Le  corsaire è in corso di rappresentazione alla Scala dal 28 febbraio al 17 marzo, a Palermo è presentato dal 15 al 19 marzo. In questo caso urge pressante il mio desiderio e di tanti altri fan dell’opera, penso, per chi se lo può permettere, di essere presente alle due serate per godere delle due versioni di un balletto eccezionale per tempi e numero di rielaborazioni del testo narrativo e della musica e della coreografia, dato che sono due proposte di allestimento assolutamente diverse per autori. La produzione scaligera con i propri balletto ed orchestra è la versione in tre atti con prologo ed epilogo (I, 38 minuti, II, 35, III 45), testo primitivo di Adolphe Adam e altri, con la partecipazione degli studenti dell’Accademia scaligera del balletto sull’originario libretto tratto dal poema di Lord Byron, rivisto da Manuel Legris e Jean-François Vazelle dalle successive versioni di Jules-Henri Vernoy de Saint-Georges e Joseph Mazilier (allestimento 1867), coreografie dalla versione di Marius Petipa e altri. A Palermo invece è stato adottato l’allestimento in due atti del Teatro dell’Opera di Roma con il suo progetto “Fabbrica” Young Artist Program, su libretto di Vernoy De Saint Georges e Joseph Mazilier, con base naturalmente e comunque il poema The Corsair di George Gordon Byron del 1814. La musica ha come invenzione quella originaria di Adolphe Adam, ma nelle revisioni di Cesare Pugni, Léo Delibes, Riccardo Drigo, la coreografia, completamente diversa nei due teatri, è di José Carlos Martinez, direttore del corpo di ballo dell’Opéra di Parigi, ripresa da Agnès Letestu. Altra eccezionale novità in un furoreggiare di protagoniste donne all’apice della politica e nell’arte, “l’invasione al femminile”, come titolo di rivalsa e in genere escluso il merito, per la prima volta a Palermo ha diretto l’orchestra del Massimo Mojca Lavrenčič, esperta in balletto, direzione straordinaria anche per la sua nazionalità defilata, slovena di Ljubljana. Il sontuoso cromatismo delle scene e dei costumi di Francesco Zito con l’ausilio delle luci di Jacopo Pantani hanno reso brillante tutta la rappresentazione palermitana, che ha giustificato i calorosi applausi ad ogni pezzo di ballo. Certamente la parte del leone l’hanno fatta la star Medora-Maia Makhateli, georgiana di Tbilisi in coppia con il viennese Jakob Feyferlik del Dutch National Ballet. A completare l’organico che ha arricchito il parterre, Gulnara-Giorgia Leonardi, Lankadem-Alessandro Casà, Birbanto-Diego Millesimo, Pascià-Vincenzo Carpino, Lankadem-Alessandro Casà, Birbanto-Diego Millesimo e lamica-Romina Leone e l’Eunuco-Giuseppe Rosignano fra la nutrita banda dei corsari, coppie di corsari solisti ed odalische. Per la prima volta e per partito preso non ho voluto leggere il testo narrativo e godere della varietà dei temi musicali che si susseguivano a ritmo forsennato e della molteplicità delle versioni dei passi di danza, nessuno escluso, per volontaria annessione come i temi tratti da diversi compositori. Basti per tutto l’impianto metamorfico la celebrità ottenuta dalla coppia Margot Fonteyn e Rudolf Nureev al Covent Garden di Londra che interpretarono il Pas de trois di Drigo in un passo a due, introdotto nel 1962 da Vakhtang Chabukiani in una sua nuova versione di Petipa. Proprio quando il balletto si basava sul testo e, non so se mi spiego, di una narrazione di Lord Byron, anche se probabilmente di lui sarà rimasta la vicenda, ma non più nulla della parola fra tante infinite e secolari variazioni, dal debutto il 23 gennaio 1856 all’Opéra di Parigi, una selva di metamorfosi e di innesti che strabiliano a ripercorrerne le variazioni (dal 1858 al 1899 l’immancabile Marius Petipa, edizione 1863 per la moglie Marija Surovščikova con nuova musica di Cesare Pugni, che aggiunse la Mazurka dei corsari). Eppure questo è un balletto narrativo o balletto di storia, sorto nel Settecento e sviluppato con grande successo in epoca romantica (per dire, Il lago dei cigni, La bella addormentata, Cenerentola), quella straordinaria invenzione in cui a narrare è il corpo come nelle anfore greche, una eccezionale “storia senza parole”. Qui la storia si riprende dalla scenografia allusiva e dai movimenti coreografici e dalla gestualità degli interpreti, una vera comunicazione da sordomuti. Un giorno davanti ad una moschea a Rabat, mia moglie mi sorprese a comunicare con un locale e si  stupì assai. Non quando apprese che si trattava di un sordomuto che voleva spiegarmi che i jeans non erano adatti al clima bollente della regione. Che importanza può avere la vicenda storica in confronto all’ascolto e alla realizzazione somatica del magico Le jardin animé, il sogno nell’harem al passo del Grand Ballabile di Léo Delibes, noto come Grand pas des fleurs, e dei suoi altri capolavori più famosi, il Pas d’esclave, il Grand pas de trois des odalisques e il celeberrimo Pas de deux. Tale è la loro bellezza e fama che spesso sono presentati come pezzi a parte.

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