La ministerialità liturgica e il ruolo della donna.
(di Valeria Trapani)
I ministeri liturgici dopo il Concilio Vaticano II
La riforma liturgica promossa dal Concilio Vaticano II è giunta a completamento di quel movimento di riforma avviato agli inizi del ‘900 e denominato Movimento Liturgico. Questo si proponeva essenzialmente di riflettere sulla liturgia al fine di riscoprirne l’identità primigenia e permetterne ai fedeli la comprensione, attraverso il ripristino di una prassi celebrativa che vedesse la Chiesa quale soggetto celebrativo che si associa a Cristo sacerdote. È per questo che dobbiamo considerare la Costituzione Dogmatica sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium come un punto di arrivo circa le acquisizioni liturgiche attuali, ma non di meno come un punto di partenza per l’applicazione ancora in fieri dei principi in essa enucleati. I suoi contenuti infatti, fungono, nel particolare momento storico che la chiesa sta vivendo, da stimolo a riflettere ulteriormente sull’idea di liturgia quale esercizio del sacerdozio di Cristo e dunque a rivalutare il concetto di partecipazione all’azione rituale.
In questo contesto di rinnovata coscienza della soggettualità liturgica della Chiesa si colloca il fiorire, negli anni che seguirono al Concilio, di numerose ministerialità liturgiche, per lo più di stampo laicale, che in passato erano state soppresse in favore di un accentramento di tutti i ruoli ministeriali nella figura del ministro ordinato. Il Concilio ha invece fatto sì che si sviluppasse nella Chiesa la coscienza della propria ministerialità liturgica, esercitata nella forma del sacerdozio comune, che si raccorda con il sacerdozio ministeriale e trova la sua fonte originaria nell’unico sacerdozio di Cristo. A partire da questo assunto di base è stata così accantonata una visione piramidale delle gerarchie ecclesiali in favore dell’ecclesiologia di comunione, in cui domina l’idea della circolarità tra i differenti carismi e ministeri in vista dell’edificazione dell’unico Corpo di Cristo.