LA VERA (EHM) STORIA DEI PUPI DI ZUCCHERO, DETTI ANCHE PUPACCENA
(Carlo Barbieri)
Lasciatemi fare un po’ di dotta luce sugli apparentemente sicilianissimi pupi di zucchero, i “pupaccena”. “Apparentemente sicilianissimi” perché i primi pupi di zucchero furono in realtà cinesi. In Cina, come nell’India, lo zucchero era arrivato dalla Polinesia e già Alessandro Magno, di ritorno dall’India, parlava di “un miele che non aveva bisogno d’api”. Furono i veneziani e, più precisamente, il solito Marco Polo, a importare i primi pupi di zucchero dalla Cina . Una storia di “intelligence”, di quel particolare tipo di spionaggio che oggi chiameremmo “industriale”. Il furbo veneziano scoprì che i pupi di zucchero, allora comunissimi nel Celeste Impero, venivano prodotti attraverso un procedimento che li rendeva cavi come sono ancora quelli che si fanno oggi, e ciò permetteva di nascondere all’interno documenti – e non solo – da contrabbandare in Occidente. I “documenti” erano in realtà barrette di zucchero sui cui si scriveva qualcosa – un messaggio, un procedimento di fabbricazione segreto – e che venivano poi inserite nelle cavità del pupo e opportunamente “saldate” con caramello. Fu probabilmente così che venne importata in Occidente la formula della polvere da sparo, fino allora segretissima, insieme a quantità dimostrative della stessa. E fu quasi certamente così che vennero importati in Occidente i primi bachi da seta, avvolti nella quantità di foglie di gelso sufficienti a consentire la sopravvivenza dei preziosi animaletti durante il lungo viaggio. Alla luce di tutto ciò acquistano significato certi fatti riportati dalle cronache della Serenissima di quel tempo, come l’esplosione di un ordigno, indicato come “Pupasso di cen”, durante una cena a lume di candela nella casa della favorita di un Doge. Le candele erano risultate evidentemente troppo vicine al “pupasso” che il nobiluomo aveva probabilmente portato in dono alla bella venexiana per propiziarne i favori. Ah, dimenticavo di dire che il fornitore di Marco Polo era un cinese di nome Chen. Chiara adesso l’etimologia di “pupaccena”, no? Adesso un paio di dettagli interessanti. Primo dettaglio: le statuette erano ovviamente solubili in acqua, e questo consentiva, in caso di emergenza, di disfarsi rapidamente del corpo del reato. Forse la prima tisana conosciuta in Occidente fu un infuso dolce di foglie di gelso trangugiato da un contrabbandiere insieme a qualche compromettente baco bollito, e forse la parola “Tè” fu pronunciata per la prima volta da Marco Polo all’indirizzo del doganiere cinese che aveva privato, bevendosela, della prova del suo crimine. Secondo dettaglio: mi sono inventato tutto.