LE GRAND MACABRE INAUGURA LA STAGIONE LIRICA

Gabriella Maggio

Ph. Teatro Massimo

Le Grand Macabre  di György Ligeti e Michael Meschke da La balade du grand macabre di Michel de Ghelderode, nella versione del 1996 in lingua inglese è stata eseguita per la prima volta al Teatro Massimo di Palermo in apertura della Stagione 2024-2025 con la direzione di Omer Meir Wellber, al suo ultimo lavoro palermitano. Dopo la prima rappresentazione, molto apprezzata   a Stoccolma nel 1978 l’opera è stata rimaneggiata nel ’96. Le Grand Macabre è l’unica opera del  compositore ungherese György Ligeti,uno tra i più importanti ed originali del XX secolo. La sua musica, difficilmente classificabile, attinge alla musica popolare e alle tecniche sperimentate dai suoi contemporanei, risulta indipendente  dalle neoavanguardie, dal neofolclore, dal neotonale e dal postmoderno. Nella definizione dell’autore  Le Grand Macabre  è una  “anti-anti opera” che porta sulla scena personaggi grotteschi che vivono squallide  storie di sesso e potere sullo sfondo di un’apocalisse definitiva. La chiave di lettura dell’opera è l’ironia che tutto corrode, temi e personaggi , che svela l’insensatezza degli uomini  che si si confrontano con la morte a cui non possono sfuggire :  «Non abbiate paura di morire, buona gente; nessuno sa quando sarà giunta la sua ora. E quando ciò avverà, lasciate che sia. Addio, ma fino allora vivete lieti!». Il pubblico ha mostrato di gradire la novità ed apprezzare  la raffinata realizzazione scenica di Thilo Ullrich, e la regia di Barbora Horàkovà. Le Grand Macabre  richiede allo  spettatore una vigile attenzione, non permette alcuna  immedesimazione o condivisione della storia. Sembra attuare quello che L. Pirandello scriveva ne Il fu mattia Pascal : «Il signor conte si levò per tempo, alle ore otto e mezzo precise… La signora contessa indossò un abito lilla con una ricca fioritura di merletti alla gola… Teresina si moriva di fame… Lucrezia spasimava d’amore… Oh, santo Dio! e che volete che me n’importi? Siamo o non siamo su un’invisibile trottolina, cui fa da ferza un fil di sole, su un granellino di sabbia impazzito che gira e gita e gira, senza saper perché, senza pervenir mai a destino….  Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione dell’infinita nostra piccolezza…».

 

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