UN PASTORE, NON UN PRINCIPE: IL DESIDERIO DI SEMPLICITÀ DI PAPA FRANCESCO
Francesco Pintaldi
Il testo trasmette umiltà e autenticità e sembra confermare la personalità di Papa Francesco: un uomo di fede, ma anche profondamente umano e concreto. Il suo desiderio di una morte semplice e non spettacolarizzata va nella direzione di un papato vicino ai più deboli, lontano dagli sfarzi del passato. Anche il tono, privo di solennità e pieno di confidenza con Dio, suggerisce una spiritualità quotidiana, più intima che dogmatica. Il testo è una riflessione personale sulla sua morte, il tono è semplice, diretto e pragmatico, come spesso è il suo stile, e affronta il tema con un misto di umiltà, fede e anche un tocco di ironia.
Regina Pacis
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Accettazione della morte con realismo: Il Papa dimostra di avere un atteggiamento pragmatico nei confronti della propria morte e rifiuta l’idea di cerimonie eccessive o solenni. Questo riflette la visione del Papa che ha sempre predicato semplicità e sobrietà, anche nei riti ecclesiastici.
Scelta della sepoltura: Viene espresso il desiderio di non essere sepolto nella Basilica di San Pietro (dove tradizionalmente vengono sepolti i Papi), ma in Santa Maria Maggiore, vicino all’icona della Regina della Pace. Questa scelta mostra il suo forte legame con la Vergine Maria e con la spiritualità popolare. La statua di Maria Regina della Pace si trova nella navata sinistra della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. È stata realizzata dallo scultore Guido Galli nel 1918 su richiesta del Pontefice Benedetto XV per chiedere la fine della Prima Guerra Mondiale. La statua è scolpita in un blocco di marmo di Serravalle e raffigura la Vergine Maria seduta su un trono di marmi policromi. Con il braccio sinistro alzato, ordina la fine della guerra, mentre con il destro tiene il Bambin Gesù, pronto a far cadere un ramoscello di ulivo che simboleggia la pace. Sul basamento, una colomba aspetta ansiosamente la caduta del ramoscello per portare la pace agli uomini .
Critica agli eccessi cerimoniali: la volontà di un funerale semplice
Papa Francesco ha sempre manifestato una visione della Chiesa basata sulla sobrietà e sull’essenzialità, rifiutando le ostentazioni e i formalismi che spesso hanno caratterizzato il passato. Questa scelta si riflette anche nella sua decisione di avere un funerale privo di eccessi cerimoniali: niente catafalco imponente, nessuna cerimonia elaborata per la chiusura della bara, nessuna pompa magna. Questa posizione si inserisce in una lunga tradizione di critica alla spettacolarizzazione della morte e del lutto, che, nel contesto ecclesiastico, rischia di trasformare un momento di raccoglimento e preghiera in un evento mediatico eccessivo. Con questa decisione, Papa Francesco ribadisce che la centralità del messaggio cristiano non sta nell’apparenza, ma nella sostanza della fede. La morte di un Pontefice, per lui, non deve essere un’occasione di trionfalismo, ma un momento di umiltà e riflessione spirituale. Il rifiuto di un funerale sontuoso è anche un segno di continuità con il suo pontificato: sin dall’inizio, Francesco ha scelto di vivere con semplicità, evitando gli sfarzi della residenza papale e prediligendo uno stile di vita più vicino alla gente comune. Questa visione ha influenzato molte delle sue scelte pastorali, dal rifiuto dei segni esteriori del potere (come le croci d’oro e gli abiti riccamente decorati) fino al suo atteggiamento nei confronti della Curia romana, spesso criticata per una burocrazia eccessiva e per una certa autoreferenzialità. In questa decisione di evitare eccessi nel proprio funerale si coglie, dunque, un messaggio chiaro: la Chiesa deve essere testimone di essenzialità, evitando il rischio di apparire troppo distante dalle persone. Francesco sembra voler dire che la grandezza del cristianesimo non sta nelle cerimonie solenni, ma nella semplicità di un amore autentico per Dio e per gli uomini. Anche nella morte, il Papa desidera restare fedele a questo principio, lasciando un’eredità che non si misura in fasti e celebrazioni, ma nella coerenza con i valori evangelici.
L’idea del Papa come pastore, non come potente è, a mio avviso, una delle affermazioni più incisive del testo: il Papa non è un monarca, non è un capo di stato nel senso tradizionale e non è nemmeno un sovrano che esercita il potere con logiche politiche. È, prima di tutto, un pastore e un discepolo. Questa definizione ribalta completamente l’immagine di un papato associato all’autorità e alla grandezza terrena, richiamando invece la visione evangelica del servizio, dell’umiltà e della missione spirituale. La figura del Papa come pastore si ricollega direttamente all’immagine biblica del Buon Pastore, simbolo di guida amorevole e sollecita verso il gregge. Un pastore non domina, ma accompagna, non comanda dall’alto, ma cammina accanto. Il Papa stesso è chiamato a farsi ultimo tra gli ultimi, mettendosi al servizio della comunità ecclesiale e dell’umanità intera. Questo è un punto chiave del pontificato di Francesco, che ha più volte sottolineato come il ruolo del Papa non sia quello di un “principe” ma di un servitore, un servo dei servi di Dio. La contrapposizione tra pastore e potente assume un significato ancora più forte nel contesto storico in cui viviamo. Il Vaticano stesso, pur essendo il più piccolo stato del mondo, è una realtà con influenze geopolitiche. Tuttavia, Papa Francesco ha cercato di ridefinire il ruolo del Pontefice, ridimensionando l’apparato istituzionale e riaffermando che la vera autorità della Chiesa non si basa sul potere, ma sulla testimonianza evangelica. Questa visione si riflette concretamente nel suo stile di vita e nelle sue scelte quotidiane. Dal rifiuto di abitare negli appartamenti papali in Vaticano, preferendo la residenza di Casa Santa Marta, alla rinuncia a molti simboli di potere, Francesco ha voluto rendere visibile questa idea di un Papa-pastore, che non si pone al di sopra della gente, ma cammina con essa. Ha insistito sul fatto che il clero e i vescovi non devono essere burocrati, ma uomini di fede vicini alle persone, capaci di ascoltare e di rispondere alle necessità concrete delle comunità. Questo concetto è anche una critica implicita a un certo clericalismo che, nel corso della storia, ha reso la Chiesa più simile a una struttura di potere che a una comunità di fede. Francesco, invece, ha più volte affermato che la Chiesa deve essere pronta a incontrare il mondo e a sporcarsi le mani per aiutare chi è nel bisogno, senza arroccarsi su privilegi o posizioni di dominio. Con questa affermazione il Papa ribadisce che il suo ruolo non è quello di governare con autorità terrena, ma di guidare con l’amore. È un messaggio potente e controcorrente, che invita anche la Chiesa, nel suo complesso, a rivedere il suo modo di porsi nel mondo, riscoprendo la sua missione essenziale: essere una casa accogliente per tutti, specialmente per i più fragili e dimenticati.
Una preghiera personale e intima
L’ultima parte del testo tocca corde profondamente umane. Il Papa, pur consapevole delle tante grazie ricevute nella sua vita, rivolge un’ultima, semplice richiesta a Dio: che la sua morte non sia segnata dal dolore. Non c’è traccia di arroganza in queste parole, né il desiderio di sottrarsi all’inevitabile, ma solo la sincerità di chi, pur avendo sempre guardato con fede alla vita, non nasconde la sua fragilità davanti alla morte.
Ed è proprio in questa confessione, così spontanea e disarmante, che il lettore si riconosce.
Perché, al di là di ruoli e responsabilità, di titoli e onori, l’essenza dell’essere umano è la stessa per tutti: la speranza di un passaggio sereno, il bisogno di sentirsi accompagnati, l’attesa di una pace che non sia solo spirituale, ma anche fisica.
In questo momento di estrema verità, il Papa non è solo un’autorità religiosa, ma un uomo come tutti gli altri, che si affida a Dio con umiltà. La pagina è un messaggio di vicinanza e condivisione che invita ciascuno di noi a guardare alla vita e alla morte non con paura, ma con la consapevolezza di non essere mai davvero soli.