UN SOVRANO TRA MITO E REALTÀ: LA RIAPERTURA DELLA TOMBA DI GUGLIELMO II
Francesco Pintaldi
Dal DIARIO PALERMITANO di Paruta e Palmerino : Le ossa di re Guglielmo
A 6 di marzo 1575. – Si partêro di questa città di Palermo e andâaro a Monreale diversi signori, per vedere che l’illustrissimo e reverendissimo monsignor Ludovico Torres, di nazione spagnola, arcivescovo di Monreale, levò il corpo di re Guglielmo il buono, re di Sicilia, dalla solita sepoltura, dove era stato posto che morìo, che fu nell’anno 1188 (in verità, 1189); perchè era cosa indegna d’un tal re, essendo di pietra e calcina colorita in rosso; e lo si pose in una sepoltura dietro l’altare grande di detta madre chiesa di Monreale; dove si trova per fama, che ivi ancora fu generato dal re mal Guglielmo suo padre. E fu trovato quasi intiero; solo li mancava un pezzo di naso e delle labra; ed avia otto denti ed una bella capellatura lunga insino alla spalla, bionda e bene ancora attaccata con la pelle della testa, talchè, tirando, non si spiccavano facili. Avea le scarpe di tela d’oro con la punta alla moresca. Li panni, come raccolti, si giudicavano di raso carmiscino, avendo perso il colore per lo lungo tempo; ed un piomazzo sotto la testa, di tela d’oro.
Questa nota del Diario Palermitano è un interessante documento storico, sia per il suo valore testimoniale sugli eventi legati alla sepoltura di Guglielmo II, sia per la sua capacità di restituire un’immagine concreta e tangibile della memoria regale nel contesto della Sicilia del XVI secolo. Il testo riprende anche il rapporto tra potere politico, memoria storica e religione, elementi sempre intrecciati nella storia dell’isola. Il brano riporta un evento storico avvenuto a Monreale, relativo alla traslazione delle spoglie di Guglielmo II d’Altavilla, detto il Buono, re di Sicilia dal 1166 al 1189. Il racconto è nello stile tipico delle cronache cinquecentesche, con costruzioni sintattiche arcaiche con un’attenzione ai dettagli materiali e fisici del re defunto.
Aspetti storici e simbolici
L’episodio riflette il legame tra il sovrano normanno e la cattedrale di Monreale, da lui stesso fondata e arricchita di splendide decorazioni musive. L’arcivescovo Ludovico Torres, promotore dell’operazione, appare come un rappresentante del potere ecclesiastico spagnolo che, nel periodo post-tridentino, assumeva sempre più un ruolo di riforma e controllo sulle pratiche religiose e sulle memorie dinastiche. Il desiderio di dare una sepoltura più adeguata al re, ritenuta “indegna”, risponde alla necessità di riaffermare la grandezza della monarchia normanna e il prestigio della Chiesa siciliana.
Descrizione del corpo e del corredo
La narrazione diventa vivida quando descrive le condizioni del cadavere: il re è trovato “quasi intiero”, con dettagli macabri ma attraenti, come la capigliatura ancora attaccata alla pelle. Questa attenzione al corpo si inserisce nella tradizione di cronache medievali e rinascimentali in cui l’integrità delle spoglie poteva essere interpretata come un segno divino o di santità. Il corredo funebre, descritto con minuzia (scarpe di tela d’oro, vesti di raso carminio sbiadito, un cuscino di tela d’oro), restituisce l’immagine di una regalità raffinata, in linea con il carattere di Guglielmo II, noto per la sua politica pacifica e per il suo mecenatismo. Il dettaglio delle “scarpe alla moresca” sottolinea i legami culturali tra la corte normanna e il mondo arabo, caratteristica peculiare della Sicilia medievale.
Stile e linguaggio
Lo stile è semplice, quasi notarile, ma con una ricchezza di dettagli che tradisce un forte senso della meraviglia. L’uso di espressioni come “fu trovato quasi intiero” e “talchè, tirando, non si spiccavano facili” evoca la scena con immediatezza visiva, dando al lettore un senso di presenza diretta. Il testo è inoltre in lingua siciliana influenzata dall’italiano dell’epoca, con forme come “si partêro” (partirono) e “andâaro” (andarono), che manifestano una evoluzione della lingua volgare nel contesto della Sicilia spagnola.
Il periodo post-tridentino
Il periodo post-tridentino rappresenta una fase di profonda trasformazione per la Chiesa cattolica, caratterizzata da una disciplina più rigida, un maggiore controllo dottrinale e una rinnovata affermazione del potere ecclesiastico sulle comunità cristiane. Il periodo si riferisce alla fase successiva al Concilio di Trento (1545-1563), l’assemblea ecumenica della Chiesa cattolica convocata in risposta alla Riforma protestante. Questo periodo, che si estende dalla fine del Concilio fino al XVII secolo, è caratterizzato da un profondo rinnovamento della Chiesa, con interventi significativi sia nella dottrina che nella disciplina ecclesiastica, oltre a strategie mirate al controllo spirituale e politico delle comunità cristiane. Uno degli aspetti centrali di questa fase è la riforma interna della Chiesa. Il clero venne sottoposto a una disciplina più rigida, con l’obbligo per i vescovi di risiedere stabilmente nelle proprie diocesi, evitando il fenomeno dell’assenteismo. Inoltre, furono istituiti i seminari, con l’obiettivo di formare sacerdoti più preparati e moralmente integri, in modo da contrastare il dilagare di comportamenti ritenuti inadeguati alla loro funzione. Si rafforzò anche l’attenzione verso la catechesi, con un’impostazione più rigorosa nella trasmissione dei precetti religiosi ai fedeli. Parallelamente, la Chiesa avviò una lotta sistematica contro le eresie, intensificando il ruolo dell’Inquisizione per contrastare la diffusione delle idee riformate. Venne istituito l’Indice dei libri proibiti (Index Librorum Prohibitorum), un elenco di testi ritenuti pericolosi per la fede, la cui lettura era vietata ai credenti. Anche la produzione artistica e culturale fu sottoposta a un controllo più stretto, affinché rispondesse ai principi della Chiesa e contribuisse alla diffusione della fede cattolica. Un altro elemento fondamentale del periodo fu la promozione del culto e della devozione popolare. Si incoraggiò la venerazione dei santi e della Vergine Maria, si moltiplicarono le confraternite religiose e le processioni, mentre le chiese vennero arricchite con lo stile barocco, concepito per suscitare meraviglia e coinvolgimento emotivo nei fedeli. L’influenza della Chiesa non si limitava all’ambito spirituale, si estendeva invece anche alla sfera politica. I vescovi divennero figure chiave non solo dal punto di vista religioso, ma anche amministrativo, con un potere che si consolidava sempre più. Il papato rafforzò la propria autorità, accentuando la centralizzazione del potere ecclesiastico. La Chiesa stabilì forti alleanze con le monarchie cattoliche, come quelle di Spagna, Austria e Francia, che utilizzavano la religione come strumento di controllo sociale. Nel caso della Sicilia, questo processo fu particolarmente evidente. Nel 1575, anno dell’episodio narrato nel Diario Palermitano, l’isola si trovava sotto il dominio spagnolo ed era profondamente influenzata dalle riforme tridentine. Gli arcivescovi e i viceré spagnoli giocavano un ruolo cruciale nel rafforzare il potere della Chiesa, regolando la vita religiosa e culturale dell’isola secondo le direttive post-tridentine. Un esempio significativo di questa politica fu l’operato dell’arcivescovo Ludovico Torres, che si adoperò per dare una sepoltura più dignitosa a re Guglielmo II. La sua iniziativa rispondeva all’esigenza di riaffermare il prestigio della monarchia normanna e della Chiesa siciliana, in conformità con il nuovo spirito riformatore.
Ludovico de Torres
Ludovico de Torres, in spagnolo Luis II de Torres, (1533-1584) fu un arcivescovo e diplomatico spagnolo, noto per il suo ruolo significativo nella Chiesa cattolica durante il XVI secolo. Nato a Malaga, intraprese la carriera ecclesiastica e nel 1573 Filippo II lo propose per l’arcivescovato di Monreale dove attuò le riforme del Concilio di Trento, promuovendo la disciplina ecclesiastica e sostenendo l’Ordine dei frati minori cappuccini. Durante il suo episcopato, avviò importanti restauri nella cattedrale di Monreale e promosse la costruzione di infrastrutture locali. Morì a Roma nel 1584 e fu sepolto nella chiesa di Santa Caterina dei Funari.
Sepolcro di Louis de Torres – Cattedrale di Malaga
Suo nipote, Ludovico III de Torres (1551-1609), seguì le orme dello zio, diventando arcivescovo di Monreale nel 1588 e cardinale nel 1606. Durante il suo mandato, fondò il seminario arcivescovile e la Biblioteca “Ludovico II De Torres” nel 1591, arricchendo la diocesi con una vasta collezione di libri e opere d’arte. Morì a Roma nel 1609 e fu sepolto nella basilica di San Pancrazio.
Il “Diario Palermitano” di Paruta e Palmerino
E’ una cronaca storica che documenta eventi significativi avvenuti a Palermo tra il XVI e il XIX secolo. Questa raccolta di diari è stata pubblicata nel 1869 nella “Biblioteca storica e letteraria di Sicilia” a cura di Gioacchino Di Marzo. Tra gli autori principali di queste cronache figurano Filippo Paruta e Niccolò Palmerino. Filippo Paruta (1552-1629) è stato un poeta, erudito e numismatico palermitano, noto per la sua passione per la storia e la cultura siciliana. La sua opera “Della Sicilia descritta con medaglie” del 1612 utilizza la numismatica per descrivere la storia antica della Sicilia. Niccolò Palmerino, invece, è meno noto, ma il suo contributo è fondamentale per la documentazione storica di Palermo. Le cronache di Paruta e Palmerino offrono una visione dettagliata della vita palermitana dell’epoca, registrando eventi come epidemie, costruzioni architettoniche e cambiamenti sociali. Ad esempio, descrivono l’inizio dei lavori per la realizzazione dei Quattro Canti il 21 dicembre 1608, sottolineando l’importanza politica e simbolica di questa opera nell’urbanistica barocca della città. “A 21 di dicembre 1608, giorno di san Tomaso apostolo. Il detto signor vicerè (Villena) diede il primo colpo per fare le quattro cantonere alle strade”. (Paruta e Palmerino, Diario) Nei loro diari si trovano riferimenti a eventi come la peste del 1575, evidenziando come Palermo abbia affrontato l’epidemia con misure che anticipano concetti moderni di quarantena e sanità pubblica.
21 di dicembre 1608, giorno di san Tomaso apostolo. Il detto signor vicerè (Villena) diede il primo colpo per fare le quattro cantonere alle strade”. (Paruta e Palmerino, Diario)