PALERMO 30 MARZO 1282, DALLA PREGHIERA ALLA RIVOLTA IL GIORNO DEI VESPRI SICILIANI
Francesco Pintaldi
Il 30 marzo non è soltanto una data nel calendario, ma un simbolo di identità, resistenza e dignità. Ricordare i Vespri Siciliani significa rileggere una pagina di storia in cui il popolo si fece protagonista del proprio destino. E tutto cominciò davanti a una chiesa, al suono di una preghiera, in un giorno di Pasqua. Il 30 marzo 1282, lunedì di Pasqua, è una data impressa nella memoria storica della Sicilia: in quel giorno, a Palermo, scoppiò la rivolta dei Vespri Siciliani, un evento epocale che segnò l’inizio della liberazione dell’isola dal dominio angioino, ovvero dai francesi guidati da Carlo I d’Angiò. Tutto ebbe inizio nel tardo pomeriggio, durante la preghiera dei vespri (da cui il nome della rivolta), nei pressi della chiesa di Santo Spirito a Palermo. Secondo la tradizione, un soldato francese molestò una donna del posto. Il gesto, brutale e arrogante, scatenò la rabbia del popolo: il soldato fu ucciso, e in poche ore l’intera città insorse. La rivolta si propagò come un incendio inarrestabile, travolgendo Palermo e poi tutto il resto dell’isola.
La chiesa dove tutto ebbe inizio
La Chiesa di Santo Spirito, conosciuta oggi anche come Chiesa del Vespro, è un luogo simbolico e sacro. Costruita nel 1173 dai monaci cistercensi in stile romanico-gotico, si trova nel quartiere Brancaccio, all’interno del Cimitero di Sant’Orsola, non lontano dalla stazione centrale di Palermo. Dopo i tragici eventi del 1282, venne soprannominata proprio “Chiesa del Vespro”. Oggi è visitabile su richiesta o in occasioni particolari, ed è testimone silenziosa di quel grido di libertà che partì dal cuore del popolo siciliano.
Un’isola in rivolta
Nei giorni successivi la Sicilia intera si sollevò. A Palermo, le guarnigioni francesi furono assalite, i funzionari cacciati, molti soldati uccisi. La scena si ripeté a Trapani, Messina, Catania, Siracusa, Agrigento: in ogni città, i francesi furono espulsi o massacrati, i governi locali sostituiti da nuove autorità popolari. Tra gli episodi più singolari, c’è quello dei “controlli linguistici”: i siciliani chiedevano ai sospetti stranieri di pronunciare parole tipiche come “cìciri” (ceci). Chi non riusciva a riprodurre correttamente l’accento locale veniva immediatamente giustiziato.
Una guerra che cambiò la storia
La rivolta non si fermò a un moto popolare: si trasformò in una guerra internazionale, nota come Guerra del Vespro, che coinvolse la Spagna e il Papato. I nobili siciliani, con in testa Giovanni da Procida, invitarono Pietro III d’Aragona a salire sul trono di Sicilia, rivendicando l’eredità della dinastia sveva. Pietro sbarcò a Trapani nell’agosto 1282, accolto come liberatore, e diede inizio a un nuovo corso per l’isola. La guerra durò vent’anni, e si concluse nel 1302 con la Pace di Caltabellotta: la Sicilia restò agli Aragonesi, mentre agli Angioini rimase il Regno di Napoli.
Perché è un evento così importante?
Perché rappresentò una rivolta spontanea del popolo contro l’oppressione e le ingiustizie, segnò la fine del dominio francese e l’inizio della dominazione aragonese in Sicilia, diede vita a un’identità siciliana forte e indipendente, che ancora oggi si riconosce in quella fierezza e in quella resistenza, ispirò opere letterarie, teatrali e musicali, tra cui l’opera lirica “I Vespri Siciliani” di Giuseppe Verdi.
I protagonisti della rivolta
Giovanni da Procida fu l’anima diplomatica della rivoluzione: medico, educatore di Manfredi e grande tessitore di alleanze, fu uno degli artefici della chiamata a Pietro III. Alaimo da Lentini, signore di Ficarra, giocò un ruolo militare fondamentale, così come Palmiero Abate e Gualtiero di Caltagirone. Ruggero Mastrangelo, palermitano, è ricordato come uno dei primi capi popolari della rivolta. Tra le figure femminili spicca Macalda di Scaletta, nobile colta e coraggiosa, che partecipò attivamente alle trame politiche dell’epoca, arrivando persino a cercare influenza sul re aragonese.
Macalda di Scaletta
Macalda, la ribelle di Sicilia
Macalda di Scaletta, conosciuta anche come Macalda di Lamagna, è una delle figure più affascinanti e controverse della Sicilia medievale. Vissuta nel XIII secolo, in un tempo dominato da uomini e guerre, seppe imporsi con intelligenza, ambizione e coraggio, diventando protagonista in uno dei momenti più drammatici della storia isolana: i Vespri Siciliani. Nata in una famiglia aristocratica, Macalda sposò Alaimo da Lentini, tra i protagonisti della rivolta contro i francesi. Il matrimonio le aprì le porte del potere, ma non fu mai un’ombra del marito. Fu lei, infatti, a distinguersi per lucidità politica, spirito combattivo e una spiccata audacia personale, qualità che all’epoca erano tutt’altro che comuni – soprattutto in una donna. Durante la rivolta del 1282, Macalda non rimase ai margini: prese parte attivamente alla vita politica e militare, muovendosi con abilità tra le fazioni e i giochi di potere. In un primo momento si trovava nell’ambiente angioino, ma in seguito fu accolta alla corte di Pietro III d’Aragona, dove si fece notare per il suo carisma. Secondo alcune cronache, arrivò persino a tentare di sedurre il re aragonese, nel tentativo di guadagnare ulteriore influenza. Un gesto che fece scandalo – non solo per l’audacia, ma perché rompeva completamente gli schemi dell’epoca. Ma Macalda non era solo strategia e ambizione: era anche una donna colta e fuori dal suo tempo. Si racconta che sapesse giocare a scacchi, un’arte riservata quasi esclusivamente agli uomini. Durante la sua prigionia a Messina, fu solita sfidare il giovane Iusuf ibn Abd Allah, figlio del sultano di Tunisi, anch’egli prigioniero. Quelle partite tra una nobildonna siciliana e un principe musulmano sono diventate leggendarie, simbolo di raffinatezza intellettuale. Purtroppo, la sua parabola si concluse tragicamente. Dopo la morte del marito, ormai caduto in disgrazia, Macalda fu arrestata e rinchiusa nel castello di Matagrifone, oggi ridotto a rudere a Messina. Morì in prigione, in circostanze oscure, dimenticata da molti.