IL FAUST DI GOUNOD AL TEATRO MASSIMO DI PALERMO
Gabriella Maggio

Il mito di Faust è antico, se ne trovano testimonianze sin dal Medioevo. Il suo fascino è legato al desiderio ricorrente nell’uomo di oltrepassare i limiti imposti dalla sua condizione. Nel tempo ha ispirato grandi compositori, scrittori, pittori. Gounod , molto interessato al mito di Faust e all’opera di Goethe, accolse volentieri la richiesta di Lèon Carvalho, direttore del Théâtre Lyrique di Parigi, di comporre l’opera. Il compositore lavorò con lo scrittore Jules Barbier, che compose il libretto basandosi sul dramma in prosa di Michel Carré, Faust et Marguerite. Inserì il personaggio di Siébel en travesti, assente nel modello goethiano, ma dal drammaturgo considerato necessario per rappresentare un contraltare etico ed emotivo di Faust, e accentuò l’amore per Marguerite. L’opera debuttò il 19 marzo 1859. L’accoglienza del pubblico fu fredda, entusiasta quella della critica. Il Faust è stato recentemente in scena al Teatro Massimo di Palermo per la regia di Fabio Ceresa che così nota: “Avvicinarsi al mito di Faust significa confrontarsi con un archetipo universale che ha attraversato secoli e culture, segnando profondamente il nostro immaginario collettivo. L’opera di Gounod ha sublimato il poema di Goethe adattandolo con raffinatezza ai fasti del grand opéra francese, ma il cuore pulsante della vicenda rimane intatto: il patto con il diavolo, il desiderio di oltrepassare i limiti imposti dalla condizione umana, la ricerca di un senso ultimo all’esistenza. Il nostro allestimento si muove lungo questa linea, cercando al contempo di far emergere le contraddizioni profonde che innervano questa storia immortale. Il punto di riferimento è la più potente riscrittura moderna del mito faustiano: Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov. Un romanzo che intreccia satira politica, filosofia, umorismo nero e una struggente riflessione sul potere della creazione artistica. Bulgakov, per altro, conosceva e amava il Faust di Gounod, all’epoca popolarissimo nella sua versione tradotta in russo; nel suo romanzo, il debito con l’opera francese è dichiarato ed evidente … Il nostro allestimento si propone di restituire Faust a una dimensione di urgenza contemporanea, reinterpretando l’impianto ottocentesco per farne emergere nuclei tematici più vicini alla nostra sensibilità. La crisi dell’individuo, la ricerca di significati, il conflitto tra il bisogno di riconoscimento e il prezzo da pagare per ottenerlo, il rifiuto dello stigma sociale, sono elementi che risuonano con forza nel nostro quotidiano. Qual è del resto la vera natura di Mefistofele? Il suo operato è sorprendentemente positivo, ed è volto a smascherare le ipocrisie e i pregiudizi del tessuto sociale in cui opera – interpretando il messaggio messianico con paradossale lucidità, e confondendo le linee di confine che nelle nostre menti umane distinguono il bene dal male. Ancora una volta, il Diavolo ha l’ultima parola”. Sul podio Frédéric Chaslin, subentrato a Daniel Oren, ha mostrato qualche incertezza e una predilezione per i tempi lenti. Nel trio dei protagonisti si è distinto Erwin Schrott, ammaliante Mefistofele. Ivan Ayon Rivas è stato un Faust di timbro corposo e duttile tra accenti veristi, acuti e nuances. Al suo fianco la Marguerite di Federica Guida, decisa e al tempo stesso appassionata. Buona la prestazione del Coro, diretto da Salvatore Punturo . Funzionali le scene di Tiziano Santi e le luci di Giuseppe Iorio. I costumi di Giuseppe Palella sono stati talvolta sopra le righe.