UN LIBRO DI PIETRA, LE BALATE DEL CASSARO

Francesco Pintaldi

A 1º di maggio 1746. – Nel governo di Malvagna si diè principio a lastricare il Cassaro di pietra di Napoli, trasportata a posta da quella città, senza badare alle ingenti spese, che vi bisognano, purchè restasse servito con piena soddisfazione il pubblico. Ogni balata è larga quasi un palmo e poche oncie, e lunga due, di color cinericio, ma forse poco manco del marmo: e dispose la deputazione delle strade, che di sotto le si accomodasse per letto quantità di calce e pietra rotta, che si chiama << intercisato >> ed ha fatto principiare l’opera dalle Quattro Cantoniere o piazza ottagona” (Dal diario di Villabianca).

Le balate del Cassaro sono tra gli elementi più caratteristici e identitari del centro storico di Palermo. Pavimentano via Vittorio Emanuele, l’antica arteria principale della città, nota fin dall’epoca punica come Cassaro. Il termine “balata” deriva dall’arabo balat, che significa “lastra di pietra” o “pavimentazione”, e si riferisce alle grandi lastre in pietra calcarea compatta – spesso calcarenite, localmente detta “pietra di Billiemi” – che compongono il selciato di alcune delle strade e marciapiedi più antichi della città.

Una pavimentazione millenaria

Il Cassaro ha attraversato tutte le fasi storiche di Palermo, ma fu soprattutto durante la dominazione spagnola, tra il XVI e il XVIII secolo, che la strada assunse un aspetto monumentale. Il viceré don Giovanni de Vega avviò un piano di rinnovamento urbano che culminò nella realizzazione dei Quattro Canti (1610), la celebre piazza ottagona all’incrocio tra Cassaro e via Maqueda e nella lastricatura scenografica dell’intero asse viario da Porta Nuova a Porta Felice, collegamento ideale tra il potere reale e il mare. La posa delle balate avvenne in modo progressivo, secondo le necessità urbanistiche del tempo. Le pietre utilizzate provenivano da cave locali come quelle di Billiemi e Melilli, selezionate per la loro resistenza e la capacità di diventare più belle col tempo: il calpestio continuo ne leviga la superficie, conferendo loro una lucentezza simile al marmo. Un’annotazione preziosa su uno degli interventi più significativi proviene dal Diario palermitano di Giuseppe Maria di Blasi e Gambacurta, marchese di Villabianca (1720–1802), attento cronista della vita cittadina settecentesca. Nel suo scritto datato 1° maggio 1746, leggiamo che l’intervento fu voluto dal marchese di Malvagna, Francesco Paternò Castello, principe di Biscari, che in quegli anni ricopriva un ruolo di primo piano nel governo della città. Il titolo di marchese di Malvagna si riferisce all’omonimo borgo della Sicilia orientale (oggi in provincia di Messina) e fu portato da diversi membri della potente famiglia Paternò, protagonisti della vita politica e culturale dell’Isola.

Funzione simbolica e memoria popolare

Oltre alla loro robustezza e funzione pratica, le balate hanno assunto nel tempo un valore simbolico profondo. Hanno visto passare processioni religiose, cortei reali, rivolte popolari e la quotidianità dei palermitani. La loro presenza ha dato origine anche a espressioni popolari come “ nascìu supra i balati ro Cassaru”, usata per indicare una persona con profonda conoscenza della città e delle sue dinamiche sociali.

Le balate si estendono lungo tutto il Cassaro, distinguendo le zone del Cassaro alto (verso il Palazzo dei Normanni) e del Cassaro basso (verso il mare), quest’ultima particolarmente ricca di testimonianze storiche e monumentali. Ancora oggi, questo tratto di strada ospita eventi culturali, mercatini e celebrazioni, continuando a essere una delle aree più vive della città. Negli ultimi anni, grazie a progetti di valorizzazione urbana e pedonalizzazione (come quelli del Cassaro Alto e di via Maqueda), le balate sono tornate protagoniste del paesaggio cittadino. Restaurate con attenzione, sono diventate un emblema dell’identità palermitana e un’attrazione per visitatori e studiosi. Passeggiare lungo il Cassaro oggi significa posare i propri passi su una pavimentazione che è anche una pagina di storia. Ogni pietra, con la sua forma e levigatezza, racconta una parte di Palermo. È come leggere un libro di  pietra, in cui passato e presente si intrecciano tra l’ombra dei balconi barocchi.

 

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