CALATAFIMI TRA STORIA E LEGGENDE: UN CROCEVIA DI CIVILTÀ A CAVALLO DELL’ANNO MILLE
Francesco Pintaldi
Calatafimi Segesta è oggi un comune siciliano della provincia di Trapani, situato in posizione panoramica tra le colline dell’agro segestano. Ma il suo cuore storico affonda le radici in un’epoca lontana e affascinante, quando la Sicilia era terra contesa tra Bizantini, Arabi e Normanni e le acque termali attiravano viaggiatori da ogni parte del Mediterraneo.
Le origini leggendarie e il periodo elimo
Le origini mitiche di Calatafimi si legano alle figure di Eracle ed Enea, ma la sua storia documentata prende avvio dal declino della grande città elima di Segesta. Dopo la sua rovina, tre insediamenti ne raccolsero l’eredità: Calatafimi, Calatabarbaro e Calathamet. Solo il primo, grazie alla sua posizione strategica e alla capacità di adattarsi ai mutamenti storici, sopravvisse nei secoli.
La transizione bizantina e l’arrivo degli Arabi
Tra il VII e l’VIII secolo, la Sicilia bizantina era in declino. Il controllo dell’Impero d’Oriente si faceva sempre più fragile, e l’isola divenne vulnerabile alle incursioni arabe. Fu Eufemio, un generale bizantino ribelle, a chiamare in aiuto gli Arabi d’Ifriqiya nel 827, aprendo la via alla conquista musulmana della Sicilia. Proprio dal nome di Eufemio deriverebbe Qalʿat Fīmī, cioè la “fortezza di Fīmī”, antico nome arabo di Calatafimi. Il termine qalʿa significa infatti “castello” o “rocca fortificata”. Durante l’emirato musulmano, il sito divenne un importante centro militare e agricolo, con un impianto urbanistico fatto di vicoli stretti, case addossate e cortili interni. L’influenza islamica si avverte ancora oggi nei toponimi, nella struttura del centro storico, nella lingua e persino nei prodotti agricoli: cotone, agrumi e canna da zucchero furono introdotti in quel periodo. L’acqua, sempre protagonista del paesaggio segestano, venne incanalata per l’irrigazione e per l’uso nei mulini.
Calathamet e Hisn al-Hammah: il castello dell’acqua termale
Accanto a Calatafimi, un altro centro si sviluppò in epoca islamica presso le sorgenti termali del fiume Crimiso, oggi note come Terme Segestane. Il viaggiatore andaluso Ibn Jubayr, nel suo diario del 1185, descrive un luogo chiamato Hisn al-Hammah, ovvero “il castello dell’acqua termale”. Lo definisce “grosso paese con molti bagni”, sottolineando il calore estremo e le proprietà salutari delle sorgenti.
Dal diario di Ibn Jubayr
Dio ci guardi da una descrizione che tiene del futile e ci porta alla vanità dello scherzo, ci preservi dal mettere in carta cosa che frutti biasimo, perocché Egli, gloria a Lui! vuol esser temuto, Egli è il Condonatore. Restammo in questa città 7 giorni, alloggiati in uno dei suoi fondachi dove sogliono pigliare stanza i Musulmani, e ne partimmo la mattina del venerdì 22 di questo mese santo, 28 dicembre, diretti a Trapani, perocché là si trovavano due navi, delle quali l’una stava per far vela verso la Spagna, e l’altra, quella stessa che ci aveva portati ad Alessandria, verso Ceuta. Entrambe recavano pellegrini e mercanti musulmani., Sul nostro cammino si seguivano senza interruzione i villaggi e le masserie, vedevamo campi e luoghi còlti al cui terreno nulla avevamo [sin qui] osservato di uguale per fertilità, generosità ed estensione, cosicché li paragonammo a quelli della Campania di Cordova, se pure non sono anche più fertili e più forti. Durante il viaggio passammo una notte in una borgata detta ‘Alqamah (Alcamo), grande ed estesa, con mercati e moschee. I suoi abitanti e quelli delle masserie che trovansi lungo tutta questa strada sono musulmani. Di là partimmo sul fare del giorno di sabato 23 di questo mese benedetto, 29 dicembre, e dopo breve tratto passammo presso un castello detto Hişn al-hammah (Castello dell’acqua termale), che è una terra considerevole, con molti bagni. Dio ne fece scaturire le sorgenti dal suolo, e fece scorrere [loro acque] composte di elementi che il corpo quasi non può tollerarli, per la forza del loro calore. Passando presso una di queste sorgenti [che incontrammo] sulla via, scendemmo dalle cavalcature e ristorammo i corpi col prendervi un bagno. Giunti a Trapani nel pomeriggio del giorno stesso, scendemmo ad alloggiare in una casa presa a fitto.
Questo sito è identificato con Calathamet, oggi in rovina nella contrada Ponte Bagni, tra Calatafimi e Castellammare del Golfo. Al-Idrisi, geografo al servizio di re Ruggero II, lo cita nel suo Libro di Ruggero come una “valida rocca termale, tra le più forti dell’isola”. Calathamet era un vero e proprio centro abitato con mercato, chiesa cristiana (Santa Maria) e bagni pubblici, e fu uno dei luoghi in cui la popolazione di Segesta si spostò dopo l’abbandono della città elima.
La conquista normanna e la continuità di Calatafimi
Con l’arrivo dei Normanni nell’XI secolo, guidati da Roberto il Guiscardo e Ruggero d’Altavilla, Calatafimi passò sotto controllo cristiano. I Normanni mantennero molte delle strutture precedenti, islamiche o bizantine, adattandole a nuovi usi. Il Castello Eufemio, probabilmente sorto sui resti della rocca araba, divenne un punto chiave del controllo territoriale. Il suo nome riporta ancora alla figura di Eufemio, in un curioso gioco di ritorni storici.
Nel XII secolo, sotto Ruggero II, la Sicilia conobbe una straordinaria stagione di convivenza multietnica. Greci, Latini, Arabi ed Ebrei vivevano fianco a fianco, contribuendo a una cultura ricca e composita. Lo stile arabo-normanno ne è uno degli esiti architettonici più evidenti.
La sopravvivenza di Calatafimi: eredità e simboli
Mentre Calathamet e Calatabarbaro scomparvero progressivamente, Calatafimi resistette e prosperò, diventando uno dei centri principali del territorio segestano. La sua tenacia si legge nelle pietre del castello, nei nomi delle vie, nelle feste popolari e nei prodotti tipici.
La leggenda del fantasma del cavaliere al Castello Eufemio, i racconti sui sotterranei segreti che condurrebbero a Segesta, e la maledizione delle tre sorelle contribuiscono a tenere viva la memoria di un passato carico di mistero.
Le tre legende
Il fantasma del cavaliere del Castello Eufemio
La luna piena illuminava le rovine silenziose del Castello Eufemio di Calatafimi. In notti come questa, si racconta che una figura a cavallo appaia tra le antiche mura, avvolta in un bagliore argenteo. È il fantasma di un cavaliere medievale, un tempo comandante del castello, che vaga inquieto sotto il cielo stellato. Dicono gli anziani che sia stato ucciso a tradimento durante un assedio, colpito alle spalle da chi credeva amico. Da allora il suo spirito non ha trovato pace e continua a vegliare sul maniero, forse in cerca di vendetta o forse di redenzione perduta.
Chi ha osato avventurarsi vicino al castello in queste notti giura di aver udito un lontano tintinnio di armatura e il calpestio di zoccoli su pietre antiche. Alcuni hanno intravisto un’ombra bianca sul bastione diroccato: un cavaliere dal mantello svolazzante, fermo a scrutare la valle sottostante. Altri ancora raccontano di occhi luminosi che li fissavano per un istante dal buio, prima di scomparire nel nulla. Ogni volta, un brivido corre lungo la schiena dei testimoni. Il cavaliere fantasma continua il suo eterno pattugliamento, e chi ascolta il sussurro del vento tra le pietre giura di sentire un sommesso lamento – il mormorio di un guerriero tradito, condannato a rivivere per sempre l’ultima notte della sua vita.
I sotterranei segreti del castello
Nelle giornate tranquille, quando il vento soffia tra le colline di Calatafimi, c’è chi percepisce un sussurro provenire dal sottosuolo. Da generazioni circola la voce che sotto il Castello Eufemio si nascondano cunicoli e passaggi segreti. Questi tunnel misteriosi, scavati forse in epoca araba o normanna, collegherebbero la fortezza al cuore della città – e secondo alcuni addirittura all’antica Segesta, distante qualche chilometro. Si dice che i signori di un tempo li usassero per fuggire durante gli assedi o per muoversi nell’ombra, lontano da occhi indiscreti. In certe notti, pastori e viandanti hanno visto strani vapori uscire da fessure nel terreno vicino al colle del castello, come respiri di un gigante addormentato nelle viscere della terra.
Molti hanno provato a trovare questi passaggi nascosti. Si narra di esploratori con torce accese, di ragazzi del paese scesi in vecchie cisterne alla ricerca di una porta dimenticata. In una cantina del borgo medievale un contadino giurò di aver scoperto un arco murato, che sembrava l’ingresso di un corridoio buio. Ma appena provò a scavare attorno, il terreno franò e rivelò solo roccia e terra. Ogni tentativo ufficiale di mappare i tunnel è fallito, e nessuno ha mai potuto confermare l’esistenza dei sotterranei segreti. Eppure la leggenda persiste: c’è chi sostiene che nelle notti più calme, appoggiando l’orecchio al suolo presso il castello, si possa udire un eco remoto di passi sotterranei. Forse è solo la fantasia, o forse davvero le antiche pietre custodiscono gelosamente i loro passaggi, lasciando ai sognatori il brivido dell’ignoto sotto i piedi.
La maledizione delle tre sorelle
Quando il Castello Eufemio non era ancora un rudere ma una residenza nobiliare viva di luci e musiche, vi abitavano tre giovani sorelle nobili. Erano note in tutto il paese per la loro bellezza e grazia, sebbene un’ombra di solitudine accompagnasse i loro passi: nessuna delle tre aveva ancora trovato marito. Un giorno giunse al castello un affascinante cavaliere forestiero, di cui tutte e tre, senza saperlo l’una dell’altra, si innamorarono perdutamente. Il cavaliere, lusingato e astuto, alimentò segretamente le speranze di ciascuna, promettendo ad ognuna amore eterno. Le sorelle sognavano all’alba e sospiravano al tramonto, ignare di essere rivali nei sentimenti. Finché una sera d’inverno la verità emerse: scoprendo il crudele tradimento del loro amato, le tre sorelle precipitarono nella disperazione più profonda. Accecate dal dolore e dall’umiliazione, le giovani scelsero un destino tragico. Una dopo l’altra, avvolte nei loro veli candidi, salirono sulla torre più alta del castello, quella che domina il burrone sottostante. La prima sorella lasciò cadere uno sguardo colmo di lacrime alla luna velata dalle nubi, poi si lanciò nel vuoto senza un grido. La seconda, vedendo il corpo della sorella sparire nell’ombra della scarpata, gridò una maledizione verso il cielo – maledicendo l’uomo che le aveva illuse e quelle mura testimoni di inganno – e la seguì nel tragico volo. L’ultima, rimasta sola nel silenzio agghiacciante, sentì riecheggiare ancora per un attimo le voci amate; poi, con il cuore infranto, si gettò anche lei dalle mura antiche. Da quella notte terribile, si dice che il castello sia rimasto segnato dalla loro maledizione. Nelle gelide notti d’inverno, quando il vento soffia tra i ruderi, molti giurano di udire tre flebili lamenti confondersi con l’ululato del vento. Sono le voci delle tre sorelle, unite in un coro di dolore senza tempo. Il loro spirito inquieto aleggia ancora sul colle, e chi passa vicino al castello in quelle notti sente sul collo un soffio gelido e triste, come un pianto antico portato dal vento – memoria di un amore spezzato e di tre destini intrecciati nella tragedia.



