Sicilia, terra di sapori oltre che di cultura(Seconda parte)

( Tommaso Aiello)

IL VINO

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Terre coltivate a vigneto – Foto di T.Aiello

Tuttavia da qualche tempo la Sicilia non è nota soltanto per i vini dolci: fra le suggestioni di splendidi bagli e masserie, l’Isola può vantare moderni impianti a vigneto che prosperano nelle sue terre ubertose, in un microclima straordinariamente favorevole. In passato, invece, la gran parte della produzione vinicola, rivolta alla quantità e non alla qualità, era di gradazione eccessivamente elevata, più adatta al taglio che alla degustazione. Oggi gli enologi, sfruttando con moderne tecniche vitigni autoctoni e altri di recente importazione, riescono ad ottenere vini sempre più apprezzati, in grado di competere con crescenti successi nei mercati internazionali. Una volta, ogni plaga aveva i suoi vitigni ed erano le uve a cantarne i nomi. Uve che servivano con uguale docilità la mensa e la botte e rappresentavano il “genius loci” di paesi e masserie. Uve bianche, in prevalenza, lungo il litorale e nei primi rilievi, uve nere oltre i 500 metri.

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Uva bianca e uva nera – Foto T.Aiello

 

 

 

 

Ora in clima di riforma, la maggior parte di questi vitigni vanno scomparendo, ma ne sono rimasti ancora un bel po’cui bisogna aggiungere gli importati, alcuni dei quali, il “Trebbiano” per esempio, condizionano sensibilmente lo sviluppo delle colture. Il vitigno più prolifico è il “catarratto” che si articola in tante varietà. E’ l’uva siciliana per antonomasia. Nel 1960 occupava i tre quinti della superficie vitata, oggi è sceso a meno della metà, ma è col “grillo” il grande sostegno del Marsala, il fiore all’occhiello dei vini siciliani. Poi c’è l’ ”Inzolia” che nelle vigne di famiglia era l’uva da tavola per eccellenza: bella a vedersi coi riflessi giallo-verdi e ambrati, dolce e polposa. Difficile ottenere da essa un buon vino perché contiene troppo zucchero e poca acidità, oggi è stata domata dalla pazienza dell’uomo e dalle risorse della tecnica per cui dà prodotti magnifici come i Corvo e i Regaleali, i Donnafugata e i Settesoli. Il “trebbiano” toscano è da considerare come un padre putativo venuto da lontano nel 1960 per correggere la poca acidità dell’ “inzolia”, per ammorbidire un certo sapore erbaceo del “catarratto”.Per quanto riguarda le uve nere, il vitigno più diffuso è il “Calabrese”, detto anche “Nero d’Avola” che rappresenta la metà della produzione di uve nere. Il “Nero d’Avola” fa parte del riuscitissimo blend con “Merlot” e Cabernet Sauvignon” del “DOC Sicilia Noà ’12” dei fratelli Cusumano. Così è recensito da “Vini di Sicilia 2015”: “naso complesso che spazia dalla confettura di prugne alle note di marasca, cuoio, nocciola e caffè. Il passaggio in legno è ben dosato. Di grande morbidezza coniuga eleganza e potenza, un retrogusto ancora di caffè e nocciole e una leggera nota balsamica. Lunghissimo al palato”. Il “Nero d’Avola” è un “più” in tutto: nel corpo, negli zuccheri, nel profumo. Da quando si pratica l’irrigazione delle vigne, si è ammansita la sua eccessiva alcolicità e, perciò, lo si è reso appetibile anche ai palati più esigenti. Si presta a riuscitissimi tagli con confratelli deboli di corpo e di aroma ed è un nome di spicco nei vini di Vittoria e di Casteldaccia, di Camporeale, di Sclafani e di Cerda. E’ anche l’uva più richiesta per i rosati, cui trasmette freschezza, odori di fiori e tanta morbidezza. Suo fratello è il “ Nero Mascalese” che è più diffuso nelle falde dell’Etna dove esprime meglio le sue splendide doti come l’equilibrata alcolicità e acidità e il profumo di frutto. Il “Perricone” o “Pignatello” completa la triade delle uve nere siciliane. Negli ultimi tempi si sono aggiunti vitigni provenienti dalle altre regioni d’Italia. Tra le uve bianche ricordiamo: “Chardonney, Muller Thurgau, Prosecco, Riesling e Sauvignon”; tra le uve nere: “Cabernet, Merlot, Pinot, Sirah”.

 

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F.Bruni-Baccante e amorino.Leningrado

I campioni di vino siciliano in commercio sono alcune centinaia, forse troppi. Un cinquantennio di lavoro diuturno, serio, collettivo; l’impiego delle più moderne risorse tecniche e di personale specializzato, talora chiamato da altre regioni; l’apertura graduale alle suggestioni e ai messaggi provenienti da accreditati sistemi e scuole vitivinicole; la generosa assistenza dell’Istituto regionale della vite e del vino e soprattutto la crescita di una mentalità sempre meno campanilistica e sempre più europea hanno trasformato davvero la sostanza del vino siciliano, il suo gusto, la piacevolezza di fondo. Il fattore climatico, dunque, le caratteristiche del terreno e il tipo di uva sono gli elementi che fanno del nostro paese uno dei maggiori produttori vinicoli anche dal punto di vista qualitativo, non di ieri, ma da secoli. Il vino, infatti, appartiene profondamente alla nostra cultura, non va inteso nel senso aristocratico che ha avuto per tanto tempo, ma in quello di tradizione locale. Insieme all’olio e al grano, insomma, il vino ha fatto parte sempre della nostra storia, del nostro ambiente, della nostra economia. Possiamo concludere affermando che il vino è “una coltura sinonimo di cultura”

 

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