UNA TRAVIATA BELLE EPOQUE

(Salvatore Aiello)

(ph. R.Garbo)

La stagione del Massimo ha visto il ritorno de La Traviata, opera plebiscitariamente amata dal pubblico  che ha affollato le recite; tutto esaurito infatti per un’edizione che nasceva sotto buoni auspici, una produzione del Teatro, in partenza a breve per il       Giappone, che ha ancora  acclarato il valore delle maestranze intente a realizzare, nel laboratorio di Brancaccio sia le portentose scene che i raffinati costumi di Francesco Zito. Ciò ha comportato la riduzione dei costi di produzione e un rinnovato orgoglio cittadino per mettere in scena qualcosa di raffinato che si ispirasse ad una Palermo felice, quella dei Florio ad inizio Novecento. L’idea guida di Francesco Zito e di Antonella  Conte, in tandem per la scenografia, puntava a trasportare la vicenda di Violetta Valéry ai primi del Novecento; la Belle Epoque faceva da padrona sciamando nei saloni che ricordavano la reggia palermitana dei Withaker a Malfitano omaggio questo alla città degli ultimi Gattopardi. Data questa premessa era scontato che il pubblico finalmente ritrovasse un’ambientazione in consonanza con la  regia curata da Mario Pontiggia che teneva conto del testo e della Musica del sommo Verdi autore della trilogia romantica, un momento altissimo della sua produzione. A tanto impegno rispondeva un cast di tutto rispetto, certamente non memorabile, ma nel complesso di buon livello a cominciare dalla protagonista la palermitana Jessica Nuccio dalla voce gradevole, suadente per timbro, sorretta da una tecnica ragguardevole che le consentiva piani, pianissimi e legato di prima maniera con mezze voci preziose quasi crepuscolari e con accensioni talvolta perentorie. Potrà diventare una Traviata di riferimento se saprà rivestire ancora di anima e personalità gli accenti e i colori, specialmente nel primo atto dove tra fatuità e superficialità inizia e si consuma il dramma della tisica p rotagonista.Con lei Simone Piazzolla un baritono dalla voce preziosa, nobile per timbro ed emissione, per sapienza del dominio del fiato, per la cura di tutte le dinamiche che in qualche modo ci riportavano al glorioso Bruscantini; bene la resa del vecchio Germont passando dai toni persuasivi a quelli austeri e impetuosi del borghese che impone parametri morali e pregiudizi; da antologia il duetto col soprano “Dite alla giovane”e il “Di Provenza”. Terzo ma non ultimo l’Alfredo Germont del rossiniano  René Barbera passato autorevolmente al nuovo ruolo con un potenziale interessante per squillo, facilità della zona acuta, morbidezza d’impasto e timbro di squisito tenore lirico, sempre nei ranghi senza mai eccedere. Un plauso significativo va infine a Francesco Ivan Ciampa un direttore e concertatore che ha diretto e cantato l’opera seguendo irresistibilmente il palcoscenico con un’intesa speciale e particolare  finalmente lasciando che i cantanti si esprimessero al meglio anche nei tagli aperti, regalando pagine struggenti e momenti lirici carezzevoli e vibranti. Completavano adeguatamente e professionalmente il cast: Piera Bivona (Flora), Adriana Iozzia (Annina), Giorgio Trucco (Gastone), Paolo Orecchia (Il barone Douphol), Italo Proferisce (Il Marchese D’Obigny), Romano Dal Zovo (Dottor Grenvil), Cosimo  Diano (Domestico di Flora), Carlo Morgante (Giuseppe), Giuseppe Bonanno (Matador), Monica Piazza (Zingarella). Bene il coro istruito da Piero Monti; significative le luci di Bruno Ciulli. Tradizionale la coreografia di Giuseppe Bonanno. Pieno consenso di un pubblico assai plaudente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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