I VESPRI SICILIANI

Francesco Paolo Rivera *

Quando, sulle pagine della storia, si fa riferimento a quell’avvenimento che va sotto il nome di “Vespro” o di “Vespri” vengono subito in mente le tre tele dipinte da Francesco Hayez rispettivamente nel 1822, nel 1826 e nel 1846 (la prima, dipinta a Brera, la seconda a Milano e la terza, quella conservata nella Galleria nazionale di arte moderna e contemporanea di Roma,  dipinta a Napoli (nel palazzo del p.pe Ruffo), raffiguranti il momento iniziale della rivolta dei palermitani contro gli Angioini: il 30 marzo 1282 (lunedì di Pasqua) alla fine della funzione serale del vespro, sul sagrato della Chiesa del Santo Spirito di Palermo (quella che si trova all’interno del Cimitero di Sant’Orsola)  un soldato francese, certo Drouet (o Droetto, o Droghetto), con la scusa di controllare se nascondesse armi addosso, appoggiò le sue mani sul seno di una nobildonna palermitana che usciva, al termine della funzione del suo matrimonio, dalla chiesa in compagnia del marito e degli altri congiunti. Il fratello della nobildonna oltraggiata, disarmato il soldato, lo uccise con la sua stessa spada (era infatti severamente vietato al popolo di portare armi). Questo fu l’inizio di una insurrezione popolare che si trasformò in una guerra che durò circa venti anni, dalla quale derivò il passaggio del dominio dell’isola agli aragonesi. Certamente il gesto del soldato francese fu un gesto abominevole che scatenò l’ira dei presenti e la rivolta popolare, certamente tale oltraggio fu indirizzato (non sappiamo se volutamente o per caso) verso il marito della nobildonna oltraggiata, Ruggero (o Ruggiero) di Mastro Angelo (o Mastrangelo), (del quale si farà cenno in seguito) ma è anche certo che già la rivolta covava nell’animo dei palermitani e della Sicilia tutta. A questo punto, in mancanza di notizie storiche, vale la pena fare una indagine su quanto il pittore Hayez abbia voluto raccontare nelle sue tele. Intanto dall’esame delle tele – dando per scontato che quanto rappresentato dal pittore abbia esatta corrispondenza con quanto sia realmente accaduto (l’Hayez eseguì le sue opere più di 500 anni dopo la data dell’accadimento) –  alcuni cronisti sostengono che il giustiziere del Drouet fosse stato il marito dell’oltraggiata, altri il fratello. Stando a quanto dipinto dall’Hayez nelle sue tele, il marito della nobildonna è raffigurato, sia pure stravolto in viso, mentre sorregge l’oltraggiata svenuta, invece colui il quale ha in mano la spada con la quale ha eseguito la vendetta è la immagine di una persona diversa di quella che si presume essere il marito (forse il fratello), infatti, in tutti i dipinti, l’uomo giovane con la spada in mano, è raffigurato distante dalla nobildonna oltraggiata. Ciò fa presumere che l’intendimento del pittore – al di là dell’oltraggio – sia stato quello di attribuire ai dipinti il significato simbolico della rivolta popolare contro lo straniero finalizzata – sicuramente – all’unificazione dell’Italia. Tornando a trattare l’argomento storico “Vespro”, occorre osservare che la Sicilia, nel XIII° secolo, era una terra molto ambita dagli Stati europei di quell’epoca, perché situata al centro del Mediterraneo in un punto strategico per il controllo dei traffici tra oriente e occidente, per la ricchezza e lo splendore del territorio e per la dolcezza del suo clima. Il Papato era stato a lungo in conflitto contro la casa imperiale degli Hoenstanfen durante il periodo della dominazione sveva in Sicilia, e nel 1258, Papa Urbano IV, deciso a strappare il regno a Manfredi, figlio di Federico II° di Svevia, aveva intrapreso una trattativa con Carlo I° di Angiò per favorirne la sua ascesa al trono di Sicilia.  La discesa in Italia dei franco-angioini avvenne alcuni anni dopo, durante il papato di Clemente IV° e nel febbraio 1266 finalmente i due eserciti si affrontarono nei pressi di Benevento.  Le truppe di Manfredi, dopo vari tentativi, abbandonate, per diserzione, dai vari reparti di mercenari, furono messe in fuga dai francesi e Manfredi, rimasto solo con i suoi compagni d’arme, cercando una morte eroica, si gettò nella mischia e morì (secondo quanto riferì, incontrando Dante nel terzo canto del Purgatorio) in conseguenza di due colpi di spada, uno alla testa e l’altro sul petto (1). Dopo la disfatta dell’esercito di Manfredi, Carlo d’Angiò attese la discesa in Italia di Corradino di Svevia (figlio di Corrado fratellastro di Manfredi) ultimo pretendente al trono di Sicilia, il quale il 23 agosto 1268 fu sconfitto nella Battaglia di Tagliacozzo (nei pressi di Scurcola Marsicana) dalle truppe di Carlo I° di Angiò (2). Dopo la dominazione degli svevi, la sconfitta di Manfredi di Hoenstanfen a Benevento (febbraio 1266), e l’uccisione di Corradino di Svevia, la Sicilia passò sotto il dominio di Carlo d’Angiò (fratello di Luigi IX° di Francia), il quale lasciò l’amministrazione dell’isola ai suoi vicari, che esercitarono i poteri con la violenza, riducendo la popolazione alla fame. Anche i baroni siciliani, vessati dai dominatori, non sopportando la tirannia angioina, stavano organizzandosi segretamente per un coinvolgimento popolare. Personaggi come Giovanni da Procida, Palmiero da Lentini (3) e Ruggero Mastrangelo, (marito della nobildonna oltraggiata dal soldato francese) stavano preparando la rivoluzione, quando improvvisamente l’avvenimento del 30 marzo 1282 fece scoppiare il “Vespro”: la rivoluzione fu di tutto il popolo palermitano. “Se mala segnoria, che sempre ancora / li popoli soggetti, non avesse / mosso Palermo a gridar “Mora, mora!”. Così, Dante, all’VIII° canto del Paradiso della Divina Commedia, fa riferimento alla ribellione, e, infatti, nel corso di quella serata i palermitani si abbandonarono a una vera e propria “caccia ai francesi”. Furono uccisi circa quattromila francesi al grido di “morte ai francesi” (4) e a quello di “AnTuDo” (5): i pochi francesi che sopravvissero al massacro furono quelli che riuscirono a rifugiarsi a bordo delle loro navi ancorate lungo la costa. I palermitani, conquistata la città, nominarono Capitano del Popolo, proprio Ruggero Mastrangelo, il quale, assieme a Nicoloso d’Ortoleva, Nicolò d’Ebdemoni e Arrigo Baverio, assunse il governo del “Libero Comune di Palermo”. Palermo si confederò subito col Comune di Corleone e questa unione dette origine a quella che divenne la bandiera simbolo della Sicilia: Il rosso e il giallo (i colori dei due Comuni) con al centro il simbolo della “Triscele” (6) e la scritta “Antudo”. Circa un mese dopo, con  l’adesione della città di Messina (grazie a Emanuele Maniscalco), la rivoluzione si estese in tutta l’isola, nacque così la “Communitas Siciliae”, organizzazione federativa per la applicazione di un libero Stato di Sicilia (su basi repubblicane), che ebbe, però, breve durata, infatti i francesi (appoggiati dalla Chiesa) cominciarono ben presto a riprendere il dominio dell’isola, il che costrinse i siciliani a rivolgersi alla monarchia aragonese, anche perché quest’ultima (governata dal Re Pietro III°, marito di Costanza figlia di Manfredi), rivendicava il diritto di governare la Sicilia. Poiché anche l’imperatore bizantino Michele Paleologo (7) era intenzionato ad approfittare della situazione, il re Pietro III° sbarcò con il suo esercito a Trapani il 30 agosto 1282, dando inizio a un conflitto tra siciliani e aragonesi da una parte e francesi e Papa Martino IV° dall’altra (8). La flotta francese fu sconfitta nel 1284 (da Ruggero di Lauria) avanti il golfo di Napoli, il Papa scomunicò Pietro III°, dichiarò sciolto il Regno di Aragona e indisse una crociata contro di lui, che non ebbe alcun effetto pratico. Il 31 agosto 1302 venne sottoscritto, fra Carlo di Valois (Capitano generale di Carlo II° di Angiò) e Federico III° di Aragona, un trattato – la Pace di Caltabellotta –, che concludeva la prima fase dei Vespri Siciliani e delle guerre (del Vespro) tra Aragonesi e Angioini per il possesso della Sicilia: in conseguenza del quale il Regno di Sicilia veniva limitato, territorialmente, al meridione peninsulare dell’Italia (nasceva di fatto il Regno di Napoli) e il Regno di Trinacria, con a capo re Federico, rappresentava la Sicilia e le isole (9). Federico, avrebbe sposato Eleonora (sorella del duca di Calabria Roberto d’Angiò e figlia di Carlo II°) e che alla morte di Federico II° il regno sarebbe ritornato agli angioini.  Era chiaro che un tale accordo serviva per dar tempo a Federico di riorganizzarsi dopo i danni subiti per effetto della guerra, infatti – contrariamente agli accordi sottoscritti – nel 1313 la corona regia venne conferita al figlio Pietro. Ciò provocò la reazione angioina e la ripresa della guerra: Pietro regnò dal 1321, e alla di lui morte (1342) gli successe il figlio Ludovico (di soli cinque anni) sotto la tutela di Giovanni d’Aragona, il quale riuscì a raggiungere un accordo con gli Angioini l’8 novembre 1347 (siglato nel Castello Ursino di Catania), si andava a chiudere così, la seconda fase dei Vespri, anche se il parlamento siciliano non volle ratificarlo. Gli angioini proseguirono, infruttuosamente la guerra nel 1314 al fine di riprendere il possesso dell’isola. Gli aragonesi, dal canto loro, nel 1442, conquistarono il Regno di Napoli con Alfonso V° di Aragona, detto il Magnanimo, il quale strappò la corona a Renato d’Angiò, ultimo Re angioino. Il Regno di Sicilia verrà soppresso nel 1816 da Ferdinando I° di Borbone. Che cosa spinse gli italiani del Risorgimento a ricordare gli avvenimenti del “Vespro” di circa 500 anni prima a Palermo …? che cosa spinse il pittore Francesco Hayez a immortalare, più volte, sulle sue tele quegli avvenimenti …? Sicuramente  (10), trasferitosi a Milano, venne influenzato dall’atmosfera che si viveva a quell’epoca nei territori dell’Italia settentrionale. L’Italia era suddivisa in tanti piccoli Stati, che dopo il Congresso di Vienna, erano soggetti al dominio diretto o indiretto degli Asburgo d’Austria (11).  Le società segrete, la Carboneria e la Giovane Italia, di orientamento democratico-radicale, tenevano alta la volontà del popolo di unificare l’Italia in nome degli ideali della libertà e dell’indipendenza Nel 1848 i moti popolari portarono alla prima guerra d’indipendenza italiana, che ebbe scarso successo, quindi nel 1859 gli accordi segreti di Plombieres – stipulati tra Napoleone III° e Camillo Benso conte di Cavour – portarono alla formazione di una alleanza contro l’Austria. In pieno Risorgimento, la memoria della rivolta palermitana del Vespro, di cinquecento anni prima, divenne per tutti il simbolo della libertà dall’oppressione straniera: come i siciliani di cinquecento anni prima, gli italiani di quell’epoca rivendicavano la propria autonomia, la propria libertà. In questa atmosfera risorgimentale, Francesco Hayez, che (conseguito nel 1850 la cattedra di pittura dell’Accademia di Brera) entrato in contatto con personaggi come Manzoni, Berchet, Pellico e Cattaneo, era ritenuto il maggiore esponente in Italia della corrente romantica, eseguì, su commissione, parecchie opere, di ambientazione medievale, che contengono, però, un messaggio patriottico criptato, come “Il Bacio” e “Il Vespro siciliano”.

Il primo, raffigura due giovani innamorati che si scambiano un appassionato bacio, all’interno dell’androne di un edificio medioevale. Dal mantello di lui emerge l’elsa di un pugnale, forse si sarà trattato di un bacio di un imminente commiato … il giovane innamorato era chiamato dall’impegno verso la patria …; una figura in penombra fa supporre la presenza di un congiurato che attende il congedo dei due innamorati …, o di un occasionale curioso …, o di qualcuno intento a spiare …! (12) La coppia viene effigiata dal pittore come la personificazione dell’unità nazionale … “la pelle di lei è la pelle dell’Italia unita, il suo corpo è la nazione …, la sua bocca è il punto dell’Unione, … non c’è separazione, non c’è contrasto tra donna e patria!” Dell’altro simbolo, l’amore per la patria e l’impegno politico espressi dal pittore nel soggetto del “Vespro siciliano”, se ne è accennato. Sicuramente l’artista non ebbe mai alcun contatto diretto con Palermo, e tanto meno lo ebbero i committenti (m.sa Visconti di Aragona, conte di Arese e p.pe Ruffo di S. Antimo), ma è chiaro che egli abbia voluto esprimere, tramite le scene rappresentate, il significato simbolico della rivolta del popolo contro lo straniero, significato che, malgrado siano trascorsi oltre settecento anni dalla rivolta siciliana, è quello che ancora oggi ispira in chi lo ammira.

*Lions Club Milano Galleria – Distretto 108Ib-4

Note:

1)Secondo i cronisti, in una prima fase della battaglia, i mercenari tedeschi che militavano nelle file dell’esercito di Manfredi, sembravano invincibili, tutti i colpi degli avversari rimbalzavano sulle loro armature, costruite a strati di piastre metalliche, ma presto i franco-angioini si accorsero che tali corazze non proteggevano le ascelle quando i guerrieri alzavano le braccia e, a loro volta, cominciarono a colpire i nemici proprio sotto le ascelle. In questa battaglia, poi, i comandanti francesi ordinarono ai loro uomini di colpire i destrieri dei cavalieri nemici, cosa – per quei tempi – ritenuta scorretta, che causò gravissimi danni alla cavalleria sveva;

2) Con un espediente (usato dalle truppe saracene nelle crociate), l’aiutante di campo del Re Carlo, indossate le vesti del Re, si lanciò in battaglia con l’avanguardia preceduta dalle insegne reali. Questa avanguardia venne sbaragliata dagli uomini di Corradino, i quali credendo di avere conseguito la vittoria, si lanciarono all’inseguimento dei fuggiaschi apparentemente in ritirata, mentre l’esercito di Carlo d’Angiò, prese alle spalle il nemico e lo decimò, e Corradino, con i suoi seguaci, catturato ad Astura (a sud di Anzio), fu imprigionato a Napoli nel Castel dell’Ovo, assieme al suo amico, Federico I° – Margravio (comandante militare) di Baden Baden e assieme decapitati nell’attuale piazza del Mercato di Napoli il 29 ottobre 1268;

3) Giovanni da Procida (Salerno 1210 – Roma 1298) fu medico della famosa Scuola Salernitana, diplomatico, Consigliere di Federico II° di Svevia, e maestro educatore di Manfredino. L’Abate Palmiero da Lentini, partecipò alla rivolta del Vespro, accolse la flotta di Pietro III° di Aragona, comandata dall’ammiraglio Ruggero di Lauria, sbarcata a Trapani, combattette con la flotta aragonese nella battaglia di Ponza del 1296, morì a seguito delle ferite riportate nella battaglia navale di Catania del 1300;

4) pare che i palermitani, uccidessero tutti coloro che, richiesti di pronunciare il nome dei ceci (“ciciri” in dialetto siciliano) per difficoltà di pronuncia da parte dei sudditi di lingua francese (shibbòleth) li denominavano “sciscirì”; e sicuramente è molto improbabile che i rivoltosi abbiano usato, in sostituzione di quello “a morte, a morte!”, il grido di “mora, mora”, (cke spesso appare in molte cronache dei fatti, forse preso in prestito dalla Divina Commedia dantesca) in quanto la parola “mora”, nell’antica lingua siciliana, pare che avesse il significato non di “morte” ma di “cumulo di pietre”;

5) Acronimo di “Animus Tuus Dominus” (il coraggio è il tuo Signore), fu il grido di guerra dei rivoltosi;

6)Anticamente la “triscele” era un simbolo formato da tre spirali unite in un punto centrale, al quale venne introdotta la raffigurazione di un essere a tre gambe (nel greco antico “triskelè”) al centro del quale, nel tempo, venne aggiunta la raffigurazione del volto della Gorgona o della Medusa. Con questo emblema si volle rappresentare la Sicilia, isola di forma triangolare, con ai vertici i tre promontori (Peloro, Pachino e Lilibeo): la “Trinacria”:

7) Michele VIII° Paleologo fu “basileus ton romaion” che tradotto dalla lingua bizantina significava “re o imperatore dei romani” che era il titolo dei sovrani dello Impero Romano di Oriente o “Impero bizantino”. Carlo d’Angiò, approfittando della scomunica papale, stava organizzando un corpo di spedizione (400 navi, 8.000 cavalieri) contro Bisanzio. Scoppiata a Palermo la rivolta del Vespro, non appena vi aderì anche la città di Messina, Carlo d’Angiò decise di usare il corpo di spedizione per assediare Messina, ma fu anticipato dallo sbarco dell’esercito aragonese di Pietro III° (marito di Costanza di Sicilia figlia di Manfredi) il quale riteneva Carlo d’Angiò un usurpatore, in quanto il regno sarebbe dovuto passare alla moglie. L’esercito aragonese di Pietro III° era finanziato da Michele VIII° Paleologo. In conseguenza di quanto sopra, il 18 ottobre 1282 il Papa Martino IV° scomunicò il basileus Michele VIII°, Pietro III° di Aragona, Giovanni da Procida e Benedetto Zaccaria, (ammiraglio genovese, vincitore della battaglia della Meloria, diplomatico, abile mercante) che era il principale esponente degli agenti inviati dall’Imperatore per finanziare la rivoluzione contro gli angioini;

8)Martino IV°, francese, iniziò la carriera ecclesiastica come un semplice prete. Partecipò ai negoziati per l’assunzione della corona di Sicilia da parte di Carlo d’Angiò al quale fu legato politicamente. Il 23 marzo 1281 fu ordinato a Orvieto Papa col nome pontificale di “Martino IV°”; avrebbe dovuto essere denominato “Martino II°” perché il predecessore con quel nome era uno solo, ma in realtà dopo il primo “Martino I°” salirono sul soglio pontificio due altri Papi, che si chiamarono erroneamente “Marino II°” e “Marino III°” e ritenendo che il nome “Marino” fosse una variante di “Martino” egli ebbe il titolo di “Martino IV°”. A causa della sua passione per le anguille del Lago di Bolsena e per il vino di Vernaccia fu ricordato da Dante “tra i golosi” nel XXIV° canto del Purgatorio “… ebbe la Santa Chiesa e le sue braccia / dal torso fu, e purga per digiuno / l’anguille di Bolsena e la Vernaccia …”;

9)per indicare il Regno della parte continentale si adottò la terminologia di “Regno di Sicilia al di qua del Faro”;

10)nacque a Venezia nel 1791 da famiglia poverissima (il padre era un pescatore originario di Valenciennes, Città della Francia settentrionale) e fu mandato a studiare presso una zia materna a Milano.

11)il Cancelliere p.pe di Metternich definì la parola Italia” una espressione geografica … che riguarda la lingua ma che non ha il valore politico che gli sforzi de gli ideologi rivoluzionari tendono a imprimerle.

12) Come il dipinto del Vespro” anche il “Bacio” venne realizzato dal pittore in più versioni, con piccole varianti cromatiche che sintetizzavano i cambiamenti politici del momento.  Nella prima, quella del 1859, anno dell’ingresso di Vittorio Emanuele II° a Milano e della seconda guerra d’indipendenza  (tela commissionata dal conte Alfonso Visconti di Saliceto, oggi esposta alla Pinacoteca di Brera,  forse la più famosa) che esprime le speranze del pensiero nazionale associate all’alleanza tra la Francia e il Regno di Sardegna (l’azzurro dell’abito della ragazza e il rosso  della calzamaglia del giovane alludono al tricolor francese); la seconda, quella del 1861,   l’abito della ragazza assume la tonalità neutra del  bianco in omaggio all’unificazione italiana, nella terza versione, del 1867 , l’uomo con calzamaglia rossa indossa un manto verde e sulla scala alla quale si appoggia,  è disteso un drappo bianco, colori che simboleggiano i colori della bandiera italiana.

 

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