PALERMO TOPONOMASTICA FEMMINILE

Antonella Grandinelli

Via Elpide

Della sua vita abbiamo poche notizie.  Giuseppe Emanuele Ortolani nella sua “Biografia degli uomini illustri della Sicilia”  del 1819 tra cui vi sono soltanto due donne, Elpide e la Regina Costanza,  racconta che era in corso già  dal ‘600  una furibonda disputa tra i letterati  riguardo al fatto che Elpide fosse messinese o palermitana o secondo altri ancora romana o trapanese. La cittadinanza di Elpide era uno degli argomenti di sostegno del  primato tra Messina e Palermo che ambivano  al ruolo di capitale dell’Isola dinnanzi alla corona spagnola. Elpide, poetessa e filosofa, visse nel V secolo d.C. e scrisse i suoi inni in lingua latina e greca. Sfortunatamente oggi ne sono sopravvissuti solo due, Felix per omnes e Aurea Lux, scritti in latino e dedicati ai santi Pietro e Paolo, inclusi nella Liturgia delle ore, presente nei breviari. Il  Felix per omnes ha ispirato l’incipit dell’inno nazionale dello stato Vaticano stato del canonico savonese Mons. Raffaello Lavagna.  La dotta Elpide fu la prima moglie di Severino Boezio, filosofo, santo per la chiesa cattolica, romano ma vissuto lungamente anche a Palermo (da cui la principale argomentazione alla base delle rivendicazioni dei palermitani). Lo stesso Boezio, nel suo De consolatione philosophiae, la sua opera più fortunata, la definì “fida compagna di preoccupazioni, gioie e studi” (fida curarum et gaudiorum et studiorum socia). Vincenzo Auria, autore seicentesco, si dichiara addirittura certo che fosse lei l’autrice di opere filosofiche che Boezio si attribuì. Una lapide in lingua latina, andata perduta ma di cui si conserva la trascrizione, apposta nel luogo della sua sepoltura, tra i grandi letterati dell’epoca, nei portici della Basilica Vaticana di San Pietro, dimostra il tenero legame di Elpide col marito:

Mi chiamai Elpide, figlia della Sicilia,
che portò lontano dalla patria l’amore per lo sposo,
senza il quale i giorni erano dolorosi, le notti inquiete, le ore tristi,
perché eravamo non solo una carne, ma anche un solo spirito.
La mia luce non si è spenta: restando in vita un tale marito,
sopravviverò in un’anima più grande.
Ora qui riposo, straniera a questi sacri portici,
chiamata al trono del giudice eterno.
Nessuna mano profani la tomba, a meno che lo sposo
Non voglia di nuovo unire il mio corpo al suo,
affinché compagna nel talamo e nella tomba, neppure la morte possa separarci
e la cenere ricongiunga i compagni di una vita.

Nel 1643 il Senato Palermitano donò  a quello Messinese un  busto marmoreo di Elpide  del XV secolo. Oggi quel busto, attribuito a Mino da Fiesole, è esposto al museo regionale di Messina. A proposito del busto, in una scena della sua Cicalata “I pregi dell’Ignoranza” Pippo Romeo, poeta satirico messinese, così si prende gioco della ingenuità di un musicista:

Sapiti chi in Sinatu cc’è, d’Elpi, un menzu bustu,
mugghieri di Boeziu, un marmu assai di gustu!
Lu viulinista Giunta, un annu chi sunava
‘nta l’Accademia nostra, ‘stu bustu cuntimplava,
ma non sapia cu’ fussi: curiusu di natura
mi dumannò: “Don Pippu, chi cosa è dda figura?”
Cci dissi ‘ntabbacatu: – O figghiu don Andria
Tu solus peregrinus (e cu’ lu cridiria?)
chi non sapiti ad Elpis, matri d’Adamu ed Eva,
di lu criatu geniri tiru di prima leva?
“Da veru? E chi significa in testa ddu cunsertu?”
– Pirchì fu sempri virgini… “Ed appi figghi?”. – Certu.
Non vitti mai mariti, bizzocca, ritirata,
e puru ad Eva e Adamu fici ‘nta ‘na vintrata. –
“Ah! – dissi suspirannu – Diu mi la benedichi!
Va trova a’ tempi nostri ‘sti virgineddi antichi!…

 

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