Inaugurazione stagione lirica palermitana

(di Gabriella Maggio e Carmelo Fucarino)


Il 22 gennaio 2010 si è aperta la stagione lirica del Teatro Massimo col Nabucco di Giuseppe Verdi, opera di intenso romanticismo per i temi  storici, politici e sentimentali della trama  e per l’interpretazione che di essi se ne è data e che è giunta, sostenuta da ancora  forte suggestione, sino a  noi. L’evento è stato preceduto da una fitta pubblicità non solo locale, ma anche dell’autorevole “domenicale” del “Sole 24 Ore” del 17 gennaio 2010, nel quale il Sovrintendente del Teatro, Antonio Cognata, in un’ampia ed interessante intervista rilasciata a Carla Moreni, sottolinea con una punta di legittimo orgoglio il risanamento del bilancio del prestigioso Teatro Massimo, ridato ai Palermitani  nell’ormai lontano pomeriggio  del 12 maggio 1997 proprio col Coro “ Va pensiero …” del Nabucco.  Adesso, dice il Sovrintendente, va costruito il “rapporto”  tra la città ed il Teatro. Il risanamento del bilancio è stato realizzato grazie a risparmi, innovazioni,  spirito di collaborazione di tutte le componenti dei lavoratori.  Ma ancora “ bisogna migliorare” il modo di operare e di innovare.  La rappresentazione è stata all’altezza delle aspettative nella sua totalità ed il pubblico numeroso ha mostrato di apprezzarla.

Il ventinovenne cigno di Busseto così dichiarò a proposito del primo grandioso trionfo alla prima del Teatro alla Scala (75 recite nell’anno), il 9 marzo 1842, carnevale: “Nabucco nacque sotto una stella favorevole, giacché anche tutto ciò che poteva riuscire a male contribuì invece in senso favorevole”; e  aggiunse:con quest’opera si può dire veramente che abbia principio la mia carriera artistica”. Era la sua terza opera. A dir il vero il libretto, rifiutato dal giovane compositore prussiano Otto Nicolai, si dice che sia stato fatto ”scivolare in tasca” a Verdi dall’impresario della Scala Bartolomeo Merelli con il quale aveva un contratto di scrivere tre opere in otto mesi e che voleva riciclare i costumi e gli scenari del ballo omonimo di Antonio Cortesi. Si narra che il giovane restò folgorato dai versi del “Va’, pensiero”, tema che nella sinfonia annunzia come fondamentale, quasi un leit-motiv wagneriano, assieme a quello della maledizione di Ismaele. Oltre che da questo Nabucodonosor, titolo originario abbreviato poi in Nabucco dallo stesso autore, Temistocle Solera, dalla vita  a dir poco romanzesca, trasse il libretto dall’omonimo dramma di Auguste Anicet-Bourgeois e François Cornue e divise in modo inusuale l’opera non nei classici atti, ma in quattro quadri con un titolo e un versetto di Geremia. Adattò poi entrambe le fonti alla dinamica drammaturgica e alle ricorrenze funzionali di Verdi, soprattutto alla centralità narrativa assegnata al Coro, di stampo tragico eschileo, che trovava il corrispettivo come struttura corale negli ottoni e nella banda. Evidenti sono ancora i debiti con la tecnica di Rossini (Guglielmo Tell, ma soprattutto la coralità del Moïse et Pharaon). La partitura massiccia fa prevalere il dramma dello scontro di popoli, ma anche il conflitto di personalità incarnate in specifici tipi vocali, quello tipico baritono/basso (Nabucco/Zaccaria) o baritono/soprano (Nabucco/Abigaille). C’è naturalmente spazio anche per il dramma intimo, come quello di Abigaille alla fine dell’opera. A parte la prima prova della vena di melodismo popolare, momenti toccanti il canto sincopato della schiava morente, orchestrato con mano leggerissima (corno inglese, arpa, violoncello e contrabbasso soli) o la scena sconvolgente di Nabucco, alla fine della seconda parte, tra follia, terrore, pianto, svenimento, espressa con mezzi semplicissimi. Come era d’uso allora in casa Ricordi, i ruoli principali, tutti di estrema difficoltà tecnica, furono tagliati su misura sulla tessitura vocale e sulle qualità dei migliori interpreti della piazza (soprano Giuseppina Strepponi e baritono Giorgio Ronconi). Gli interpreti e l’orchestra di questa ripresa odierna, dopo 23 anni di assenza dal Massimo (ultimo titolo in forma di concerto prima della chiusura nel 1974 e soltanto sesta edizione in tutto il Novecento), diretti splendidamente da Paolo Arrivabene, rispondono a queste esigenze, il possente Nabucco del baritono Roberto Frontali e lo Zaccaria del basso profondo Roberto Scandiuzzi, e tutti gli altri interpreti, nessuno escluso. Non meno coinvolgente la scenografia di Alessandro Camera, con il cilindro e l’anfiteatro mobili e lo splendore dei colori e nella simbologia dei segni, non ultimo a schioccare il cerchio di fuoco. Forte la resa di  Abigaille da parte della splendida Amarilli Nizza con la sempre terribile entrata in scena, “Prode guerrier!… d’amore Conosci tu sol l’armi?”. E ancora ha travolto il pubblico, in una eccezionale serata al gran completo, elegante e prodigo di applausi, nella cornice delle splendide mise e dei decolté delle signore, la forza espressiva e l’empito lirico del celebre coro, per il quale l’opera è nota, struggente e forte inno alla libertà di tutti i popoli, che qualche lacrima ha fatto sgorgare. A questo il bis, anche se alla prima scaligera stranamente fu bissato il coro “Immenso Jeovha”.

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