Chi ha ucciso Droetto? (III)

(Pinella Bongiorno)

L’evento storico dei Vespri è divenuto un ricco repertorio mutuato sotto forma di proverbi, canti, giochi infantili e altro che rievocano fortemente il tragico eccidio. Per dirla con Giuseppe Pitrè: «Io non conosco fatto storico, per quanto grande e clamoroso, che abbia lasciato tante tradizioni quante ne occorrono in Sicilia sul Vespro».2 La tradizione orale tramanda che durante la cacciata, gli oppressori furono sottoposti a una prova di dizione: la parola ciciru che, pronunciata dagli odiati francisi, diventava siserò: l’errore decretava la loro condanna a morte. Vero oppure no, rimane il fatto che « gli  insulti e i tumulti contro i soldati angioini erano episodi quotidiani»,3 assicura Corrado Mirto, segnalando il caso del feudatario Guglielmo di Porcellet risparmiato da una folla che, seppure inferocita da anni di soprusi, tuttavia non mancò di riconoscenza per colui che si era distinto e li aveva trattati con più umanità.

Quello che mancò a Carlo I d’Angiò, nella sua brama di conquista, fu una visione lungimirante, che gli avrebbe permesso di valutare i siciliani come un popolo ricco di «interessi, sentimenti e tradizioni», anziché mirare a una terra da saccheggiare da cui trarre solo vantaggi. Su questo punto si accorda la tesi di Niccolò Rodolico, dimostrando che: «la perdita della Sicilia era stata per il Regno quasi come lo staccarsi della pietra angolare di un arco. Nei sessant’anni seguiti ai Vespri né Carlo I, né Carlo II, né Roberto erano riusciti a riconquistare la Sicilia, […] la Sicilia era necessaria al Regno, come i mari che bagnano le coste sono necessari alla vita stessa degli abitanti del Regno. E i mari della penisola sono dominati da chi domina la Sicilia».4 Denis Mack  Smith, nell’introduzione alla sua “Storia di Sicilia”, opportunamente conviene: «Fintanto che la strada maestra fra Oriente e Occidente passò per lo stretto di Messina, l’esser padroni della Sicilia ebbe un particolare valore strategico ed economico. […] In nessuno dei grandi conflitti europei la Sicilia potè rimanere neutrale».5 Lo storico inglese focalizza la sua riflessione sulla popolazione siciliana e sulla identità isolana messa a dura prova dal susseguirsi di così tante dominazioni. Egli s’interroga, perciò, sull’indole dei siciliani e se essi costituiscono un popolo; in ultima analisi giunge alla considerazione «che si accetti o meno l’esistenza di una nazione siciliana, è questione di terminologia. Ciò che è difficile negare è la presenza diffusa di quell’atteggiamento dello spirito che Lampedusa chiama “una terrificante insularità d’animo”, le cui origini senza dubbio vanno cercate nella reazione di un popolo, molte volte conquistato e mal governato da un governo dopo l’altro».6 Tanto da non lasciare alcuna scelta, in quel lontano 1282, «poiché parve ai Siciliani non sopravanzasse più alcun rimedio se veramente vogliamo dar nome all’opera, dall’effetto, questa non è da stimarsi una ribellione, bensì ribattimento delle ingiustizie».7 L’insurrezione popolare scaturisce da un desiderio di riscatto che covava da lungo tempo; e i francesi, calcando troppo il giogo, risvegliarono gli animi in un momento in cui la pace, perlomeno quella interiore sollecitata dalla Santa Pasqua, placava e compensava quella civile compromessa dagli usurpatori. «Era il terzo giorno della domenica di Resurrezione, e le donne palermitane, secondo un antico costume, accompagnate da’ loro uomini, visitavano la chiesa del Santo Spirito, fuori le mura della città. Quivi la riferita stoltezza de’ Francesi fingeva di cercare portatori di armi. Sotto il quale pretesto certuno, forse più degli altri stimolato dal furore di libidine, temerariamente osò mettere le mani addosso ad una di quelle donne, ed assicurando ch’ella nascondesse di sotto le vesti il pugnale dello sposo, spinse troppo avanti le mani temerarie. Non sofferse il marito più oltre il disonesto oltraggio alla pudicizia della moglie, e arditamente, con voce di dolore straziante, incominciò a gridare al macello dei Francesi.»8


2G. Pitrè, Il Vspro Siciliano nelle tradizioni popolari della Sicilia, ed. Il Vespro, Palermo 1979, p. 5.

3 C. Mirto, Il Regno dell’isola di Sicilia e delle isole adiacenti, ed. Edas, Palermo 1997, vol. I p. 16.

4 N. Rodolico, Storia degli italiani, Santoni, Firenze 1964, p. 159.

5 D. Mack Smith, Storia della Sicilia medievale e moderna, Laterza, Roma-Bari 1976, vol. I p. 2.

6 Idem, p. 4.

7 N. Speciale, I Vespri Libro primo delle Istorie Siciliane,(1882) Linee d’Arte Giada s. r. l., Palermo 1982, p. 27.

8 Ivi, pp.27-28.

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