L’istituzione scolastica in Italia o dell’anamnesi (I)

(Pinella Bongiorno)

Nel XVIII secolo l’opinione secondo cui l’apprendimento del leggere e dello scrivere si addicesse soltanto a coloro che si avviavano alla carriera ecclesiastica era alquanto diffusa. Analoga, o poco diversa dalla Sicilia, era la situazione in tutta Italia, dove l’analfabetismo e la deprivazione culturale erano, e rimasero per tutto il Settecento di poco differenziati.
Faceva eccezione, in modo poco rilevante, la Lombardia in grazia del periodo trascorso sotto la dominazione austriaca: le leggi teresiane, difatti, sollevarono dall’ignoranza le classi sociali più svantaggiate.
La chiusura di molte scuole, riservate quasi esclusivamente ai giovani più abbienti, fu causata dall’espulsione, avvenuta in gran parte dell’Europa, dell’ordine religioso dei Gesuiti. Tale situazione aveva indotto l’arciduchessa Maria Teresa d’Asburgo a creare in Austria, nel 1772, una sorta di ministero della pubblica istruzione: Studien Hof Kommission. Questa « Commissione aulica degli Studi si attribuiva l’importantissimo compito di assumere a carico dello Stato, l’istituzione di scuole popolari in tutti i paesi soggetti alla corona arciducale, per la frequenza gratuita e obbligatoria dei bambini dai 6 ai 14 anni, senza alcuna distinzione di ordine sociale e di sesso». 1
In Sicilia, già nel 1721, era stata approvata la creazione di una scuola, a spese del governo, per l’istruzione gratuita di giovani nobili; ciò nonostante il dominio austriaco (1719-1734) si caratterizza come insopportabile a causa dell’aggravio tributario imposto all’Isola.
Di conseguenza l’assunzione al trono di Carlo III di Borbone fu avvertita, quasi, come il ritorno all’antico dominio spagnolo rimpianto dalla popolazione siciliana.
Gli storici evidenziano il notevole impulso dato alle attività culturali, nel cui ambito si promuovevano gli studi e le accademie. Domenico Scinà scriveva «Aperti furono nuovi licei e nuovi professori con grossi salarii condotti».2
Lo spagnolo fu la lingua comunemente usata per redigere documenti ufficiali fino al 1770, eppure l’influenza della cultura italiana era sempre presente tanto che, nel 1741, il Vicerè aprì la sessione parlamentare con un discorso in italiano.
Quando Carlo III lascia il Regno di Sicilia al figlio Ferdinando IV, i legami dell’Isola con l’Italia si rafforzano e prende vita un interessante movimento culturale segnato, peraltro, da nuovi contatti con l’Europa determinato dal Bildungsreise di numerosi viaggiatori d’Oltralpe.
Anche Palermo, nel 1767, estromise i Gesuiti dopo che, per ben due secoli, avevano gestito l’educazione della gioventù, che era stata quasi un «monopolio dell’istruzione e rimase il deciso campione della Scolastica contro l’Illuminismo».3 In un rigurgito d’intolleranza e di sospetto, nel 1769 furono applicate pene  severe ai lettori di Voltaire e degli Enciclopedisti, ritenuti ostili alla monarchia e alla religione.
In tutti i casi, per chi vantava un’istruzione difforme dai precetti della Chiesa e dalla cultura ufficiale si può esser certi che avrebbe destato parecchie riserve. A maggior ragione se si trattava di una donna!


1 Angelo Filippuzzi, Origini e cause delle attuali sciagure d’Italia, Campanotto editore, Pasian di Prato(UD) 1966, p. 40.
2 Domenico Scinà, Prospetto della Storia letteraria di Sicilia nel secolo XVIII in F. Brancato, Il regno di Carlo III di Borbone nella critica storica, Nuove Prospettive meridionali, a. I, n. 1, Palermo 1991, p. 35.
3 Denis Mack Smith, Storia della Sicilia medievale e moderna,vol. II, Laterza editore, Roma-Bari 1976, p. 389.

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