I Fatti di Bronte: scrittori a confronto

(Gabriella Maggio)

Un antico disegno del panorama di Bronte: così doveva apparire, arrivando da Catania, il paese  all’epoca dei fatti (da un disegno della Storia della città di Bronte  di Gesualdo De Luca, Milano 1883).

LUCY RIALL in “La Sicilia e l’unificazione”-Einaudi –cap.III “ La dittatura di Garibaldi” scrive:

“ Ad agosto e a settembre, di fronte a un peggioramento dei fenomeni del banditismo e della violenza contadina per la questione della terra, vennero introdotte misure più <<energiche>>, in gran parte su iniziativa di Crispi e Depretis…..Così, le rivolte contadine di Bronte vennero affrontate con la prontezza consentita dalle magre risorse del governo e del cattivo stato delle comunicazioni. Non appena le notizie della rivolta di Bronte raggiunsero Palermo, Crispi inviò in quell’area il generale Nino Bixio perché i restaurasse l’ordine. Bixio circondò la città, impose il coprifuoco e procedette ad arrestare centinaia di persone sospettate di aver partecipato all’insurrezione. Cinque degli insorti di Bronte furono giustiziati dopo un processo sommario; in seguito ad analoghi incidenti nei dintorni, vennero condannati a morte sei insorti a Montemaggiore, nove a Biancavilla e tredici ad Alcara li Fusi.

G.C.ABBA scrive in “Da quarto al volturno” :

“Bixio in pochi giorni ha lasciato mezzo il suo cuore a brani, su per i villaggi dell’Etna scoppiati a tumulti scellerati. Fu visto qua e là, apparizione terribile. A Bronte, divisione di beni, incendi, vendette, orgie da oscurare il sole, e per giunta viva a Garibaldi. Bixio piglia con sé un battaglione, due; a cavallo, in carrozza, su carri, arrivi chi arriverà lassù, ma via. Camminando era un incontro continuo di gente scampata alle stragi. Supplicavano, tendevano le mani a lui, agli ufficiali, qualcuno gridando: Oh non andate, ammazzeranno anche voi! Ma Bixio avanti per due giorni, coprendo la via de’ suoi che non ne potevano più, arriva con pochi: bastano alla vista di cose da cavarsi gli occhi per l’orrore! Case incendiate coi padroni dentro; gente sgozzata per le vie; nei seminari i giovanetti trucidati a pié del vecchio Rettore. “Caricateli alla baionetta!”. Quei feroci sono presi, legati, tanti che bisogna faticare per ridursi a sceglier i più tristi, un centinaio. Poi un proclama di Bixio è lanciato come lingua di fuoco: “Bronte colpevole di lesa umanità è dichiarato in istato d’assedio: consegna delle armi o morte: disciolti Municipio, Guardia Nazionale, tutto: imposta una tassa di guerra per ogni ora sin che l’ordine sia ristabilito”. E i rei sono giudicati da un Consiglio di guerra. Sei vanno a morte, fucilati nel dorso con l’avvocato Lombardi, un vecchio di sessant’anni, capo della tregenda infame. Fra gli esecutori della sentenza v’erano dei giovani dolci e gentili, medici, artisti in camicia rossa. Che dolore! Bixio assisteva cogli occhi pieni di lagrime.”

Le aspettative dei contadini siciliani erano state accese dalle parole di G. Garibaldi.

2 Giugno 1860, da Palermo:
«Italia e Vittorio Emanuele
Giuseppe Garibaldi comandante in capo delle forze nazionali in Sicilia, in virtù dei poteri a lui conferiti, decreta:
– Art. 1. Sopra la terra dei demani comunali da dividersi, giusta la legge, fra i cittadini del proprio comune, avrà una quota senza sorteggio chiunque si sarà battuto per la Patria. In caso della morte del milite questo diritto apparterrà al suo erede.
– Art. 2. La quota, di cui è parola all’articolo precedente, sarà uguale a quella che sarà stabilita per tutti i capi di famiglia poveri non possidenti, e le cui quote saranno sorteggiate. Tuttavia se le terre d’un comune siano tanto estese da sorpassare i bisogni della popolazione, i militi e i loro eredi otterranno una quota doppia di quella degli altri condividenti.
– Art. 3. Qualora i comuni non abbiano demanio proprio, vi sarà supplito colle terre appartenenti al demanio dello Stato e della Corona.
– Art. 4. Il Segretario di Stato sarà incaricato della esecuzione del presente decreto.»

13 Giugno 1860: Messaggio ai cittadini
“A voi robusti figli dei campi, io dico una parola di gratitudine in nome della Patria italiana, a voi che conservate il fuoco della libertà sulle vette dei monti, affrontando in pochi e male armati le numerose ed agguerrite falangi dei dominatori. Voi potete tornare oggi alle vostre capanne colla fronte alta, colla coscienza di aver adempiuto un’opera grande. Come sarà affettuoso l’amplesso delle vostre donne inorgoglite dì possedervi accogliendovi festose nei focolari vostri.
E voi conterete superbi ai vostri figli i pericoli trascorsi nelle battaglie per la santa causa dell’Italia. I vostri campi non saranno più calpestati dal mercenario, vi sembreranno più belli e più ridenti. Io vi seguirò col cuore nel tripudio delle vostre messi, e delle vostre vendemmie e nei giorni in cui la fortuna mi porgerà l’occasione di stringere ancora le vostre destre incallite, per narrare delle vostre vittorie e per debellare nuovi nemici della Patria, voi avrete stretto le mani di un fratello!”

A Bronte però non era stata abolita la tassa sul macinato che penalizzava i più poveri, ma, soprattutto, non era stata realizzata la divisione delle terre della Ducea. Tutti credevano che, caduto il regime borbonico in Sicilia, fosse venuta meno anche la donazione a suo tempo fatta all’ammiraglio Nelson.

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