COME ERAVAMO: Le regole del gioco

(Renata De Simone)

Chissà se in Sicilia qualcuno si ricorda ancora del gioco chiamato mediatore? Se la risposta è no si consiglia di consultare un prezioso libretto dal titolo:

Delle regole di giocare e pagare nel mediatore e nel tressette del Signor Chitarrella, corretta ed emendata da Francesco Angodar napolitano: Napoli, 1846 tipografia di Matteo Vara,vicolo Figurari a S.Biagio, n.52”
Il testo comincia con l’illustrare l’etimologia della parola mediatore, gioco così detto perché sta in mezzo fra il quadriglio ed il tressette. Nel paragrafo che porta il titolo Del numero dell’ordine e del valore delle carte si dice quale è il valore delle singole carte dei quattro ordini, detti anche pali, ovvero spada, coppa, denaro e bastone. L’otto si dice donna,il nove cavallo, il dieci re. Nel gioco hanno maggior valore prima i tre, poi i due, quindi gli assi. Seguono i re, i cavalli, le donne, i sette, i sei, i cinque, i quattro. Si passa poi ad illustrare le unioni: l’unione del due e del tre dello stesso colore è detta venticinque, del due e dell’asso ventotto, dal modo di numerare le carte nel gioco della primiera,l’unione dell’asso, due e tre (sempre dello stesso ordine) è detto Napoletana dal nome della città di Napoli, in cui si usava, a detta dell’autore.
Andiamo poi al modo di giocare : i giocatori devono essere quattro e si distribuiscono fra loro trentasei carte, nove per ciascuno, le rimanenti quattro costituiscono il monte.
Uno mischia le carte, quello a sinistra alza, l’altro a destra è di prima mano. Questi, se ha pochi ammattatori chiama, se ne ha parecchi, fa mediatore.[ Qui il significato comincia ad essere poco chiaro]. Ma ci viene in aiuto il successivo capoverso : Chiamare vuol dire chiamare il tre di un altro e colui che ha in mano il tre chiamato è socio di colui che chiama, ed allora si gioca come il tressette.
Fare il mediatore consiste nel chiamare un tre, un due o un asso e giocar solo senza compagno. Se si chiama non si dà il tre. Si dà se si fa il mediatore. In questo caso, invece del tre ricevuto si restituisce un’altra carta a piacere. Nell’uno e nell’altro caso il giocatore prende il monte e scarta quattro carte, componendo un altro monte.

In questo gioco è proibita ogni parola (si crede che lo abbiano inventato quattro muti), ma è permesso bussare, cioè battere sulla tavola, lisciare, ossia strisciare una carta e piombare, ovvero lasciare una carta. Questo tra soci.  Bussa chi ha un ammattatore e ne desidera un altro, liscia chi ha due o tre carte a quel palo, piomba chi ne ha una sola.
Se si ha un tre o un due con l’asso, ossia ventinove, o ventotto con una terza carta, si gioca con la superiore dicendo: liscio o busso.
Il manualetto continua così, per 23 pagine in quarto, dal prezzo fisso di grana 10, snocciolando regole e consigli che mescolano la tecnica all’opportunità del comportamento: Di prima mano sempre si bussa, anche col cavallo secondo; Con sette battute senza punto né in mano né al monte si vince, ma anche: In parecchi casi,ove si scrta, ivi si gioca- E’ regola antiquata che conviene giocando evitare lo scarto; Dopo una lunga giocata, conta le carte.
L’accorto autore così frena gli intemperanti: Se la fortuna ti è contraria non fare alcun gioco (una nota avverte il lettore che il fortunato in amore non gioca a carte); stimola poi in questo modo l’astuzia dei giocatori:Guarda se puoi il monte e le carte degli altri, le tue poi a miglior tempo; Procura veder le carte degli altri, ma le tue tienile ben chiuse e custodite.
C’è pure un consiglio diventato proverbiale: Nel mischiar le carte conviene fare andare tutte unite le buone: ciò che dicesi correttamente far mazzone. Qua e là qualche regola di galateo: Un ottimo giocatore, meno in qualche urgente necessità, non verrà mai all’ultimo, a carte contate.
Passando alle regole di pagamento un avvertimento al perdente: Prima delle ore 24, da che hai giocato, o paga o ritorna a giocare. E, per finire, l’amara considerazione : Fin qui delle regole, il resto nella fortuna.

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