INVITO ALL’OPERA

Gioconda: Vo’ farmi più gaia, ~ più fulgida ancor.

(Carmelo Fucarino)

Foto di scena per gentile concessione dell’Ufficio Stampa teatro Massimo

 

Altro grande evento di quest’anno il ritorno, dopo 41 anni, al Teatro Massimo di Palermo della Gioconda di Amilcare Ponchielli nella coproduzione dell’Opéra Royale de Wallonie, Centre lyrique de la Communauté française de Belgique – Opéra de Nice – Esplanade-Opéra de Saint-étienne, regia di Jean Louis Grinda, direttore
Srboljub Dinic, scene finalmente essenziali di
Eric Chevalier-Nicolas de Lajartre, costumi smaglianti di Jean-Pierre Capeyron, coreografia Marc Ribaud.
Per il ritardo nella consegna della partitura l’opera debuttò l’8 aprile 1876 a chiusura di stagione della Scala con solo quattro serate. La composizione era stata troppo lenta e laboriosa, dall’autunno del 1874 all’aprile del 1876, intervallata da altri lavori, per le perplessità e i dubbi sul libretto che Arrigo Boito (anagramma Tobia Gorrio) andava elaborando dal dramma di Victor Hugo Angelo, tyran de Padoue. Egli fu il più romantico e demoniaco della Scapigliatura milanese. Scrisse e musicò Mefistofele e Nerone e compose i libretti di Otello e Falstaff per Verdi, tradusse da Shakespeare per la Duse, durante la loro ardente relazione, Antonio e Cleopatra, Romeo e Giulietta e Macbeth. Ma a differenza di lui che tendeva ad un forte realismo tragico, Ponchielli era ancora legato ad una soluzione lirica-contemplativa di stampo donizettiano, sul modello francese di grand opéra. Eppure per questi il successo era cominciato al Teatro Dal Verme di Milano nel 1872 con una nuova versione di I promessi sposi, con i quali ebbe iniizio l’attivo e congeniale sodalizio con l’editore Giulio Ricordi che gli commissionò subito la nuova opera I Lituani. Il libretto manzoniano era stato intensamente elaborato da un altro poeta e pittore scapigliato, quell’Emilio Praga del bozzettismo impressionistico, elegiaco e sentimentale, di Tavolozza. La Lucia fu inoltre interpretata da Teresina Brambilla, sposata nel 1874, nipote di Teresa, soprano leggero, e sorella di tre cantanti d’opera. Voce lirica adatta alla nuova temperie verista, interpretò anche l’Aida di Verdi, l’Elena del Mefistofele di Boito e l’Elsa del Lohengrin di Wagner.

Nonostante le indecisioni il successo fu grandioso con 27 chiamate sul proscenio e ovazioni soprattutto per i primi due atti che resteranno sempre i più celebri. Fece furore il tenore spagnolo Julián Gayarré (in Italia Giuliano Gayarre) nella romanza del II atto Cielo e mar!, il più bissato insieme al preludio. Si consolino gli odierni spettatori: in quella prima l’ultimo atto fu eseguito intorno all’una di notte e l’aprile milanese non doveva essere tanto clemente. Ma già a maggio con il proposito di rimediare ai difetti della lunga e tormentata redazione Ponchielli si accinse a modificare la partitura con tagli, specie nel secondo atto, grosse modifiche al finale del primo e terzo atto, l’aggiunta della ‘furlana’, la sostituzione del coro d’introduzione e dell’aria di Alvise all’inizio del terzo atto abbinata ad una nuova romanza di Laura (l’adagio Vita, conflitto – di duolo e d’onta!). In questa forma ebbe altro successo al Rossini di Venezia il 18 ottobre. Non contento, fece seguire altre modifiche nell’edizione del Teatro Apollo di Roma nel gennaio 1877, convinto dal direttore Luigi Mancinelli a chiudere con poche battute il cantabile concertato del III atto. Numerosi altri sostanziali interventi precedettero l’edizione del 27 novembre 1879 a Genova, prima dell’altro trionfale debutto alla Scala del 12 febbraio 1880. Già in una lettera a Giulio Ricordi (31 dicembre 1875) Ponchielli poetava: Oh Gioconda! Gioconda! Gioconda!!! / Questa, è dunque letal baraonda / Che m’involve, mi turba la mente?!! / Oh! cervello che sempre si pente, / Dona pace al fatal menestrello, / Che rovina di Chiappe sarà!… / Scendi, o Musa, sul povero ostello, / Ria Babele v’alberga diggià!!!”. Riuscì invece a trovare il travagliato equilibrio tra i forti conflitti, talvolta cerebrali, di Boito e la sua sensibilità calda e liricamente sognante. Il musicista, ritenuto secondo del tempo dopo Verdi, è oggi ricordato solo per questa opera, che mise in ombra le altre che restano ignote e ignorate. Mentre nel 1885 preparava un altro allestimento con protagonista la moglie Teresina, fu colpito dalla broncopolmonite. Nel viaggio di rientro in treno a Milano in carrozze non riscaldate, la malattia si aggravò. Morì a soli 51 anni
il 16 gennaio 1886.

L’accoglienza del pubblico del Massimo al gran completo è stata entusiastica, con frequenti lunghi applausi a cominciare dall’intensa e vibrante interpretazione della soprano Daniela Dessì-Gioconda, che nell’intervista a RAI3 ha voluto lanciare un appello ai giovani, perché l’opera possa sopravvivere a questi giorni tristi e bui per la sua esistenza. Applausi convinti per Elisabetta Fiorillo (la cieca, romanza I, 5, Voce di donna o d’angelo), Marianne Cornetti (Laura Adorno), Alexander Vinogradov (Alvise Bodoero), Aquiles Machado (Enzo Grimaldo). Straordinario Alberto Mastromarino, Barnaba (O monumento), la grande invenzione di Boito che prelude al Jago del suo Otello, “una parte odiosa, antipatica, ma originale” (Ponchielli). E uno straordinario “bravo” per il tenore che ha avuto il coraggio di subentrare al titolare con pochi giorni di preavviso.


L’opera ha tutti gli ingredienti per entusiasmare, gli strabilianti e originali momenti metateatrali, favoriti dalle innovazioni boitiane: a cominciare dai corali, fra i quali non manca a Palermo anche quello di voci bianche, la frenetica furlana (o friulana, danza ripresa pure da Bach e Mozart, fino a Ravel), interrotta a sorpresa dalla celestiale preghiera (Angel Dei), accompagnata dall’organo, poi la barcarola di Barnaba, lo splendido tableau vivant di inizio II atto con l’intenso contrasto ritmico e timbrico tra le voci di marinai e mozzi, ma anche con i dialoganti strumenti, la serenata dietro le quinte. L’apice i sei movimenti, dall’aurora alla notte, della celeberrima Danza delle Ore (si dice su suggerimento di Luigi Manzotti, autore del Ballo Excelsior), sulla bocca di tutti come O sole mio, riuscita qui alquanto lenta. E poi le grandi romanze, Cielo e mar! (atto II), ma soprattutto Suicidio! (IV, 2, a Boito, “mi pare di non aver fatto vaccate e di avere interpretato specialmente nella romanza del Suicidio le tue idee acido prussiche“), e Ora posso morir (IV, 5), tra le più celebri interpretazioni di Maria Callas, che con questa opera debuttò all’Arena di Verona (in rete “Video per Gioconda Callas”, YouTube tre brani fra cui la registrazione in studio del settembre 1952 di Suicidio, Orchestra della RAI di Torino, diretta da Antonino Votto). Tutte le grandi si cimentarono con il personaggio, dalla rivale Tebaldi, a Giulietta Simionato, a Fiorenza Cossotto, a Montserrat Caballé. Non minor gara per i tenori da Di Stefano, a Del Monaco, a Pavarotti, a Domingo.

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