La solidarietà nel dolore

(Carmelo Fucarino)

image In margine alla mia relazione su Il caso Notarbartolo, tenuta il 18 scorso nel teatro Al Convento.

Nell’autunno 2007 Dacia Maraini ha fatto rappresentare un dramma inedito, Notarbartolo, un uomo giusto (Premio Marisa Fabbri 2006, presentato alla Jane House Productions in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura, CUNY Graduate Center e il Living Theatre). Quasi alla fine dell’ultimo terzo atto in un dialogo immaginario, Notarbartolo e Leopoldo leggono una lettera scritta dal poeta Giovanni Pascoli e recitano alcuni versi delle poesie, da lui scritte dopo il misterioso omicidio del padre (in rete Italian Drama Workshop, autunno 2007, e Oggi 7, 7 maggio 2006, NY, p. 5, Letteratura e teatro/Una sera con Dacia Maraini).

L’eccezionale documento pascoliano si può leggere in Maria Pascoli, Lungo la vita di Giovanni Pascoli, Memorie curate e integrate da Augusto Vicinelli, con 48 tavole fuori testo, Arnoldo Mondadori editore, Milano 1961 (in rete Parte Terza, cap. V) e in Appendice a Leopoldo Notarbartolo, Memorie della vita di mio padre Emanuele Notarbartolo di San Giovanni
Tipografia pistoiese, Pistoia, 1949 (in rete in “Mediterranea Ricerche storiche”). Forse le scuole palermitane potrebbero meglio conoscere il poeta “fanciullino”, professore a Messina, ma sempre un uomo del Nord.

«Ma c’era allora in appello a Firenze un altro processo [il delitto e il processo della famiglia Murri], che suscitava la partecipazione del Pascoli, e di più coinvolgeva la Sicilia e – a lui ben nota – la mafia: il processo contro Raffaele Palizzolo accusato come uccisore di Emanuele Notarbartolo e finito il 23 luglio con l’assoluzione dell’accusato. Un altro figlio, il giovane Leopoldo Notarbartolo, privato del padre! E Giovanni, sentendosi quasi fratello nel dolore a quel giovane ufficiale di marina, di cui tanto bene gli avevano parlato i Corcos, proprio il 10 agosto gli scriveva una delle più umane e meditate sue lettere, che ci svela forse anche i pensieri segreti – e per forza rassegnati – di tanti anni.

Caro nobile cuore, è il 10 agosto. Leggo nei giornali che lei s’imbarca per andare alla sua nave nelle acque lontane. 10 agosto. Ho bisogno di scriverle, mio forte fratello nella sventura. Sono moltissimi anni (quasi tutti quelli della vita così più e così mesta della mia sorella) in questo giorno io perdei il mio padre. Fu assassinato nella strada del ritorno (da Cesena a San Mauro), poco prima di arrivare a Savignano, sulla sera, da due uomini (uomini?) in agguato, mentre solo solo sul calessino tornava, ripeto, alla sua famiglia; mia madre e otto figli! Tutta la famiglia fu spezzata, mia madre morì un anno e poco più dopo, tre fratelli più grandi di me morirono a non molta distanza; i superstiti quasi tutti o naufragarono nella vita o uscirono appena a riva, ma a una riva desolata, senza essersi potuti accompagnare per via … Eccoci qui noi due, il fratello rimasto il più grande e la sorella ch’era la più piccina; eccoci qui, soli soli, con non altra compagnia che un povero buon canino. La sorella era troppo misera per maritarsi, il fratello troppo tenero di lei per darle una dominatrice della casa, ch’ella mi pulisce e abbellisce da tanti anni! Eccoci qui soli soli, e non le so dire quanti siano stati e siano ancora gli strazi materiali e morali che abbiamo sofferto! Per quanto pensati e ripensati, se ci avviene di parlarne, ci fanno ancora piangere come se fossero stati sofferti da altri, non da noi. Tuttavia alla riva, per quanto desolata, siamo arrivati: ho cominciato ad avere una casa di mio, dalla quale, alla mia morte, la mia sorella-figlia non potrà essere scacciata, come sua madre da un’altra grande casa; ho un buono stipendio, ho un buon nome. Né però la fortuna mi si mostra, nemmen ora! benevola: per questa casa ho vendute le medaglie che m’ero guadagnate ad Amsterdam, il mio buon nome è stato anche poche settimane fa gettato nel fango dai dotti più famosi d’Italia; mi è stato, da chi meno avrebbe dovuto, fatto un insulto atroce davanti il figlio di quel re che io piansi con un inno di dolore e di gloria … Ma bisogna contentarsi. Io mi meraviglio sempre di trovarmi salvo, e, le giuro, quando siedo alla parchissima mensa, io ringrazio istintivamente qualcuno, che forse è Dio, che mi dia l’insperata gioia del pane quotidiano. E lo benedico di avermene dato assai anche per la mia sorellina, e anche per altri. Ma insomma, alla mia patria, alla giustizia e alla bontà della mia patria, devo ben poco – non devo nulla.

I due assassini, uno alto con la barba, l’altro piccolo coi baffi, furono veduti da due bambine … La polizia seppe, probabilmente, tutto; ma non volle approfondire. In Romagna c’era allora uno spirito di setta, dall’apparenza politica e dalla sostanza delinquente volgare, che era tal quale è la mafia, se non peggio. La polizia volle che l’orribile delitto rimanesse impunito. E così è rimasto. Quando, giunto a una certa età, volli scoprire qualche cosa io, trovai tutte le tracce disperse, tutte le voci confuse; trovai, è spaventoso dirlo, la polizia nemica, complice postuma. E rischiai la prigione, io!

Per questo verso, la mia è la sua storia. Al tempo del processo di Bologna, ebbi da una signora a me ignota una lettera nella quale mi confidava d’aver sentito esclamare: «L’assassinio Notarbartolo l’abbiamo avuto, molti anni sono, tale quale in Romagna! è l’assassinio del povero Ruggero Pascoli». Ecco perché, o mio sventurato fratello, in questo lugubre anniversario io le scrivo. Perché? Per consolarla! Ripeto a lei i pensieri che faccio tra me. Le dico, come mi dico, che è ineffabilmente meglio esser figli d’un assassinato che d’un assassino! Le dico, come mi dico, che è cosa da esaltare fino al delirio esser come siamo lei e io, forti e fedeli servi della patria nostra che non fece il suo dovere verso noi! Noi, o patria, la nostra opera e il nostro amore TE LO REGALIAMO, non te lo rendiamo, come devono gli altri. Oh! se un giorno di battaglia per il mare nostro e la nostra terra, ella avesse a cadere col nobile cuore squarciato sul castello di comando della sua nave! Quale profonda sovrumana sovradivina gioia dire, con l’ultimo grido o con l’ultimo respiro: GRATIS!

Ecco perché le scrivo. E poi c’è un’altra cosa. A Palermo fecero un comitato pro Sicilia, cioè pro Palizzolo. Mettiamo che tanti (ci ho visti certi alti nomi) credessero all’innocenza di quell’uomo. Ora hanno urlato EVVIVA, hanno delirato … Ma è sottentrato il silenzio. Silenziosamente il figlio della vittima s’è allontanato. Vedrai, caro fratello, che qualche cosa o qualcuno ora li abbrancherà al cuore … Una voce griderà loro: Dunque tutto ha da finir così? Griderà: Intendete che operare PRO SICILIA vuol dire scoprire gli assassini di quella pura e grande esistenza?

E intenderanno. Per moralizzare un popolo ci vogliono delle vittime. Il sangue del padre e il dolore, tacito e virile, del figlio saranno utili al loro popolo.

E con questa speranza l’abbraccia, amato fratello, il suo aff.mo

GIOVANNI PASCOLI

Castelvecchio di Barga, 10 agosto 1904

Che mescolanza di rassegnazione e ribellione, di umiltà e di orgoglio, di dolore e di amore : proprio tutta pascoliana questa lettera!»

[in nota 10] Il Notarbartolo rispose con una pur bella lettera il 16 agosto dalla Spezia: anch’egli augurando che il suo dolore di figlio giovasse alla Sicilia; almeno come il dolore del Pascoli aveva giovato alla poesia figlia di quel dolore e così all’umanità. Le lettere furono da me pubblicate nella «Fiera letteraria» del 12 sett. 1954, con cenni a una minuta inedita.

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