Il prezzo dell’annessione forzata

(Carmelo Fucarino)

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Perché i fazzoletti verdi del Nord sappiano quanto costò ai Siciliani l’annessione accentrata fatta per brutale decretazione (a loro ben nota). E quanto più vantaggioso sarebbe stato il federalismo con le nostre leggi e senza questi balzelli a noi ignoti a favore dello Stato savoiardo. Con buona pace!

R.D. 2 dicembre 1860: istituzione Luogotenenza generale: autorizzò «ad emanare, sino a che il Parlamento sia adunato, ogni specie di atti occorrenti a stabilire e coordinare l’unione delle anzidette Provincie col resto della Monarchia, ed a provvedere ai loro straordinari bisogni».

Due DD. 4 dicembre 1860: istituzione Consiglio di Luogotenenza e nomina dei componenti: La Farina esasperato antiregionalista e savoiardo antigaribaldino, Filippo Cordova centralista, il principe Romualdo Trigona di Sant’Elia, quello del “complotto dei pugnalatori”. Il luogotenente piemontese, il primo nostro Montezemolo precisò: «Qui vi potranno essere uomini più o meno savi, più o meno prudenti, ma nemici dell’attuale ordine di cose non debbono esservi». Chiaro l’intento di adeguare con atti di forza e poteri eccezionali le strutture dell’isola a quelle del Regno di Savoia.

La liquidazione della rivoluzione proseguì con una sventagliata di decreti estensivi hic et simpliciter dal dicembre 1860: D. Luogoten. 12 dicembre, liquidati con conio e distribuzione di una medaglia commemorativa «a tutti coloro, i quali hanno combattuto per la liberazione della Sicilia nell’anno 1860», i picciotti garibaldini; D. 15 dicembre: estensione alla Sicilia delle leggi, dei decreti e dei regolamenti sulla Guardia Nazionale pubblicati in Piemonte; D. 16 dicembre, entrata in vigore della legge sulla tariffa doganale torinese del 9 luglio 1859; D. 19 dicembre, approvazione del regolamento di cabotaggio fra tutte le province del Regno; D. 11 dicembre 1860, divieto di «asportazione delle armi senza il permesso dell’autorità pubblica»; D. 17 dicembre (ben 147 artt.), applicazione della «legge intorno ai reati di stampa e alle loro punizioni», di fresca memoria borbonica. Premesse le burocratiche disposizioni generali, si elencò la serie di reati: la «provocazione pubblica a commettere reati» (tit. I, cap. II), i «reati contro la religione dello Stato, di altri culti e il buon costume» (cap. III), le «offese pubbliche contro la persona del Re» (cap. IV), le «offese pubbliche contro il Senato e la Camera dei Rappresentanti, i Sovrani ed i capi dei Governi esteri e i membri del corpo diplomatico» (cap. V), le diffamazioni e ingiurie pubbliche e i libelli famosi. La pena era il carcere da sei mesi ad un anno e una multa da 40 a 400 ducati. Fin qui riguardava la salvaguardia del potere, ma poi trattava delle pubblicazioni periodiche (cap. VII), dei disegni, incisioni, litografie ed altri emblemi di qualsiasi sorta (cap. VIII). Disposizioni speciali riguardavano i discorsi tenuti al Senato e alla Camera, nei giudizi, e sui banditori complici. Concludeva con i “giudizi dei reati di stampa” (Titolo II).

Se pure fossero rimasti ancora dubbi, l’intento di uniformazione forzata fu chiaro con i due Decreti luogot. 17 febbraio 1861, quello famigerato «che dispone di pubblicarsi in Sicilia le leggi, i decreti e i regolamenti sulla coscrizione militare, vigenti nelle altre provincie d’Italia»; e quello ancor più grave: «Art. 1. Dal 1 novembre 1861 avranno esecuzione nelle Province Siciliane salve modifiche articoli singoli il Codice penale, approvato per legge data a Torino, 20 novembre 1859, il Codice di procedura penale, legge sull’ordinamento giudiziario e sugli stipendi dei funzionari dell’ordine giudiziario del 13 e 20 novembre 1859», non che i Regolamenti che vi avevano relazione, ed istituzione della Corte Suprema di Cassazione.

Senza porre indugio si andò facendo tabula rasa del vecchio ordinamento con il puro e semplice strumento dell’estensione. Come se non bastasse, con D. 14 febbraio 1861 il Luogotenente ottenne “l’esercizio dei pieni poteri”. Fu parimenti abolito il concordato con il Papa del 1818 e rese esecutive le leggi piemontesi sui benefici ecclesiastici e le comunità religiose.

D. 17 febbraio 1861, «ritenuto che tutte le popolazioni d’Italia hanno ugualmente il dovere di concorrere con egual proporzione alla sacra difesa del territorio Italiano», dispose che «saranno immediatamente pubblicati nelle provincie Siciliane le seguenti leggi, regolamenti, reali decreti ed appendici al regolamento, relativi alla legge militare già vigente nelle altre provincie dello Stato».

R.D. 17 luglio 1861 fu esteso in tutte le province del Regno il corso legale della lira, suoi multipli e sottomultipli. Nell’allegato ragguaglio il ducato, titolo 833,50, peso g 19,119, ebbe valore di £ 4,25, l’oncia di lire 12,75. Con legge 28 luglio sui pesi e le misure si indicarono le disposizioni generali e si allegò la tabella dei pesi e misure metriche decimali, metro cubo e quadrato, litro, grammo, ara. D. R. 8 settembre 1861 fu stabilito il censimento del Regno per il 31 dicembre a chiari fini tributari.

Mentre si vide subito alla prova dei fatti con l’eccidio di Bronte la tanto promessa quotizzazione dei demani comunali fatta da Garibaldi, si sostituì l’imposta unica progressiva sul reddito con un assai oneroso peso fiscale, frastagliato in una ragnatela di tasse, che non risparmiarono alcun ceto sociale: Legge 21 aprile 1862, n. 585, tassa di registro, n. 586, tassa di bollo, n. 587, annua tassa proporzionale sulla rendita reale o presunta, n. 588, tassa sulle operazioni di assicurazione e sulle società anonime ed in accomandita per azioni, Legge 6 maggio n. 593, tasse ipotecarie, Legge 20 luglio 1864, n.1821, pesante revisione dazio di consumo (Tariffe A) e di fabbricazione (tariffe B), graduata per classi di comuni con facoltà ai Consigli comunali di imporre sulle bevande e sulla carne una tassa addizionale a quella governativa e inoltre il dazio di consumo sugli altri commestibili e bevande, sui foraggi, combustibili, materiale da costruzione, sapone, materie grasse ed altre di consumo locale esclusi materiali di costruzione di arsenali; Legge 14 luglio 1864, n. 1831, sulla perequazione fondiaria, n. 1830, tassa di ricchezza mobile, sconosciuta ai Siciliani, con l’aberrazione che, come quella della fondiaria, il totale della raccolta era calcolato dal Governo preliminarmente ed era poi suddiviso con criteri arbitrari sulle singole regioni.

A dare il colpo di grazia e ad esasperare la disoccupazione e la miseria di un intero strato sociale fu l’estensione delle impossibili tariffe doganali che portarono alla rovina le millenarie attività manifatturiere della seta, del cotone e del tabacco, anche se ancora a basso profilo per potersi dire industrie. Con Legge 24 novembre 1864, n. 2006, si presentò un’altra mazzata sul piacere dei poveri e sulle necessità generali con la regolamentazione: 1. della tariffa del prezzo di privativa dei tabacchi, 2. della privativa del sale, 3. della tariffa doganale su alcuni merci.

Con Legge 26 gennaio 1865, n. 2136, si predispose altro pesante giogo sui proprietari con la tassa imposta sui fabbricati. Poi a due mesi, altro schiaffo alla sopportazione dei nuovi sudditi con D. R. 26 marzo, n. 2213, si ordinò un appannaggio enorme: «art. 1. L’assegnamento annuo previsto dall’art 21 dello Statuto a favore del Principe ereditario è stabilito nella somma di £ 500.000; 2. In occasione di matrimonio sarà aumentato fino alla somma di un milione». E le nozze si prospettavano vicine. Seguirono a maggio la Legge 20 marzo 1865, n. 2248, sull’amministrazione comunale e provinciale con Regolamento esecutivo e quella sulla sicurezza pubblica (artt. 123) del ministro G. Lanza e quello sulla sanità pubblica.

Questa una sintesi di alcuni dei più eclatanti pedaggi per l’Unità. Per amor di patria si mantiene il velo sugli arresti arbitrari e le fucilazioni sommarie, in uno stato d’assedio durato per un decennio e con i successivi e ricorrenti interventi militari, fin oltre il Novecento. E tutto questo per un’Italia unita grande, che per ciò conta nel contesto mondiale. Si immagini che peso avrebbe lo Stato Padano nel Consiglio d’Europa, anche e soprattutto senza il mercato del Sud!

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