Danilo Dolci e il suo sciopero alla rovescia

(Daniela Scimeca)

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In un’epoca in cui il precariato è ormai la realtà lavorativa con cui la nuova generazione deve far i conti, un mondo dove la disoccupazione tocca vette altissime e per chiedere i propri diritti ci si incatena davanti ai palazzi istituzionali, un mondo dove persino le direttrici della scuola di tua figlia ti chiedono carta igienica e matite colorate e dove tanti papà di buona volontà si mettono in gioco per aggiustare rubinetti gocciolanti, riparare sedie e banchi rotti o imbiancare classi troppo sporche, in un mondo dove i sindacati con tanta storia e ideali dietro sembrano ormai aver perso di significato così come gli scioperi considerati ormai una scusa scaltra per non andare a lavoro, ecco in un mondo così forse vale la pena di rileggere un classico di Danilo Dolci dal titolo Processo all’art.4. Titolo molto significato visto che richiama un articolo fondamentale della nostra Costituzione, oggi più che mai dimenticato nei meandri della sempre più complicata burocrazia, dimenticato soprattutto dai politici o politicanti che siano, che però con quell’articolo dovrebbero far i conti ogni giorno per rendere giustizia ai loro votanti. L’articolo recita: «la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto»; in effetti dovrebbe essere scritto su tutti i muri, portato in corteo come uno dei tanti striscioni e invece non è così. E pensare che la prima edizione di questo libro risale al 1956, se ci si pensa son passati più di cinquant’anni.

L’incredibile attualità di questo libro-denuncia ha fatto si che anche Roberto Saviano si sia interessato alla storia di Dolci che appunto in quel lontano 1956, poco prima che fosse pubblicato il libro, era impegnato, assieme ad alcuni disoccupati, a ristrutturare una strada dissestata nei pressi di Partinico (cittadina in provincia di Palermo). Tale ristrutturazione era in realtà una forma di protesta non violenta per il lavoro che mancava ma anche per la mancanza di servizi come appunto una banale strada. E proprio con quell’azione originale e simbolica Dolci inventava lo sciopero alla rovescia, lo sciopero di chi ha buona volontà, voglia di lavorare e la mette al servizio degli altri. Con quell’azione per la prima volta si rovesciava l’idea di protesta inconcludente e la si rendeva creativa mettendola al servizio della pubblica utilità. Un’idea rivoluzionaria che però non fu né capita né tanto meno gradita alle istituzioni e Dolci, assieme ai suoi disoccupati di buona volontà, fu arrestato. Iniziò poi una campagna di solidarietà e si creò un fronte di difesa a quello che fu denominato il caso Dolci. In poco tempo scrittori e intellettuali dell’epoca come Calamandrei, Bobbio, Vittorini e Levi dando la loro significativa testimonianza si schierarono con Dolci dando notevole contributo alla sua lotta e visibilità alle sue idee rivoluzionarie. Sui giornali si moltiplicarono gli articoli, le lettere di protesta e i manifesti a favore di Dolci e alla sua opera meritoria e persino in Parlamento furono presentate varie interrogazioni sul caso. Lo sciopero alla rovescia di Dolci fu rivoluzionario soprattutto perché metteva a nudo i pericoli della disoccupazione che porta inevitabilmente con se disperazione, violenza, disorientamento, ignoranza e troppo spesso consegna gli uomini alla malavita, alla mafia, al lavoro nero e all’illegalità. Tutto ciò crea una frattura profondissima tra la gente e lo Stato che non assicura lavoro e diritti fondamentali anzi viene visto come nemico e non come struttura con delle leggi da rispettare, esse saranno eluse perché non danno garanzie. Ma una democrazia in cui non ci sia il rispetto delle leggi è malata e inevitabilmente degenera. E’ compito dunque dello stato democratico farsi carico dei problemi dei più, cercando di guadagnarsi la fiducia e il rispetto di tutti. Dolci lo aveva capito e, in assenza di altre alternative valide, cercava soltanto di dare a quei poveri disoccupati una scelta in più in termini di speranza, rinnovamento, condivisione; per loro Dolci aveva inventato un’alternativa utile e preziosa che sperava svegliasse le coscienze dei politici per un rinnovamento propositivo. Il suo fu un pensiero rivoluzionario si ma anche scomodo perché metteva a nudo una realtà la cui responsabilità era imputabile alle istituzioni, una realtà che tuttavia era possibile cambiare, invertendo certi ingranaggi ormai troppo incancreniti e convenienti solo a pochi a svantaggio di moltissimi. Le leggi di uno stato democratico dovrebbero essere sempre neutre e mai a vantaggio di una parte, inoltre legalità e giustizia dovrebbero essere concetti e ideali da tutti accettati e rispettati. Lo sciopero alla rovescia metteva in luce una problematica scottante e mirava a scardinare un sistema malato. L’azione non violenta e propositiva di Dolci rappresentava uno schiaffo morale a chi avrebbe potuto cambiare le regole ma non lo faceva o non ci provava neppure, ecco la semplice ma geniale idea di una mente illuminata da cui forse le frange più estremiste dei giovani indignati dovrebbero prendere esempio.

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