Carmen «de frontera» «Jamais Carmen ne cédera! Libre elle est née et libre elle mourra»!» (atto IV)

( Carmelo Fucarino)

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E dire che la Carmen (libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy dall’omonima novella di Prosper Mérimée) era nata sotto la cattiva stella di una violenta campagna di stampa e aveva ottenuto scarsissimo successo proprio alla prima del 3 marzo 1875, quando la Spagna degli zingari e dei toreri suscitò scandalo. L’autore non poté vederne l’affermazione, perché morì il 3 giugno dopo un attacco di angina e un imprudente bagno nel fiume. Eppure, come scrive F. d’Amico, «lo spagnolismo nella Carmen non è colorismo o esotismo, esso non solo esercita una precisa funzione drammatica, ma imposta addirittura un realismo ambientale che orienta automaticamente tutto il lavoro su un piano in cui il rapporto con la realtà è ben più diretto e immediato di quanto la storia dell’opera avesse mai sperimentato». Già nel 1872 uguale sorte era toccata a L’Arlésienne, tratta dal dramma ben più valido di Alphonse Daudet, anche se grande successo ebbe la suite che trasse da questa sfortunata opera. Ironia della sorte, queste sono oggi le opere più presenti nei cartelloni dei teatri lirici mondiali. Per Carmen si trattava per di più di un lavoro strettamente legato alla commissionante Opéra Comique di Parigi che richiedeva un dialogo parlato. Soltanto dopo dal compositore Guiraud fu adattato a recitativo strumentale e in parte fu soppresso. Bizet collaborò al libretto scrivendo le parole della celeberrima habanera L’amour est un oiseau rebelle.

La direzione del teatro Massimo ha voluto scegliere anche per questo titolo fortunato e avvincente la strada difficile con una edizione assai innovativa. Se nella stagione presente la novità è spesso consistita nella coproduzione di qualche opera desueta e nuova per i teatri italiani, ma di grande valore artistico, per la realizzazione di quest’opera assai popolare che calamita spettatori e affezionati di ogni categoria ha voluto seguire una strada nuova. È naturale che ciò comporta grandi rischi o di frastornare la massa o di fare indignare gli aficionados fedeli alla tradizione operistica. E la coproduzione con il Liceo di Barcellona, il Regio di Torino, e la Fenice di Venezia, c’è riuscita a pieno.  Ad attizzare alcune eclatanti reazioni bastava solo la ripresa della regia del catalano Calixto Bieito, che l’aveva presentato un anno fa al Liceo di La Rambla, dopo 17 anni (con RobertoAlagna), firma certamente prestigiosa, ma come precisa la stessa nota del teatro, «tra i più noti, controversi e stimolanti artisti del momento». Probabilmente non si trattava solo della attualizzazione del contesto agli anni Settanta, del moderno popolo vociante e delle strutture moderne, l’imponente sagoma taurina che tutti i turisti conoscono, anche se non sanno che era semplice pubblicità di un brandy, poi la bandiera spagnola o la polvere della prevedibile Plaza de Toros, in una caratterizzazione andalusa che è un omaggio del regista alla sua città, ma che non si attaglia a Palermo. Così la rozza primitività e la ferrea disciplina militare, la trasbordante sensualità che si spinge al sexy, sono elementi estranei al “realismo ambientale” rilevato da d’Amico.

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Nell’edizione spagnola (foto sopra insieme ad altre bellissime in “El Pais com Cultura”, 21. 11.2011, “Calixto Bieito abre la temporada del Liceo con una ‘Carmen’ sin tópicos”): «Ni plaza de Sevilla, ni fábrica de tabacos. La versión de Calixto Bieito de Carmen transcurre en la frontera entre Marrueco y Ceuta, adonde llega Micaela para llevar al soldado Don José, aquí un legionario, un mensaje de su madre». Precisa Bieito: «La ‘Carmen’ è un’opera sulle emozioni di frontiera, sugli abissi dell’amore, sulla distruzione e l’autodistruzione fisica e sentimentale. È un’opera in cui la percezione della morte è molto presente. È una storia d’amore e di morte. Una storia anonima di violenza tra un soldato e una donna. Don Josè è un uomo innamorato che trasforma il suo amore in un’ossessione malata che lo porta al crimine e alla distruzione. Si trasforma in un delinquente. La Carmen, tra le tante altre cose, è la prima opera che affronta la tematica della violenza contro le donne». La splendida interpretazione di Carmen di Elena Maximova non è riuscita probabilmente a coprire e riscattare le manchevolezze di altri interpreti, i dubbi nella direzione orchestrale di Renato Palumbo, che abbiamo già sperimentato nel recente Trovatore. Merito a sovrintendente e direttore artistico per questa sprovincializzazione e apertura internazionale del Massimo. Forse nelle scelte delle coproduzioni non bastano però la grandezza e la fama di certi teatri, – e chi può mettere in dubbio l’infuocata platea del coliseo de la Rambla, la fama stabile e consolidata del regio di Torino e della Fenice di Venezia. Eppure qualcosa mancava, forse nell’amalgama del cast. Si comprende la difficoltà di trovare degli specialisti accaparrati da piazze più lucrose. Ieri sera in un commento anteprima della Central Park Night di Bocelli, il passaggio di altri spettacoli dava il polso della bravura artistica di certi matadores di un tempo. Si deve sperare che anche nella lirica, come nella società, si chiuda una pagina e si torni ai sacrifici necessari nell’arte, alle prove incessanti. Si bandisca l’idea del successo immediato, la pretesa del prodotto di consumo usa e getta, se non vogliamo che in futuro saranno i cinesi e i giapponesi a occupare le scene liriche, come ora lo sono artisti dell’Europa dell’Est.

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