Un arcobaleno teso tra l’isola Zen e Israele

(Carmelo Fucarino)

image

In una calda mattinata di sole del nostro incerto dicembre, il 14 scorso, in un’Aula Magna piena all’inverosimile di grembiulini variopinti, su una tela bianca si sono materializzati un banco e dei volti di scolari gesticolanti allegria. I loro volti, i movimenti, il loro vociare senza suono riprendevano una realtà virtuale che nell’intrecciarsi di impulsi digitali metteva in contatto due mondi lontani, geograficamente e ancor più culturalmente, qui a Palermo una sala abbagliata di sole, fuori il paesaggio di monte Pellegrino, un miracolo di scuola calata in un ambiente surreale, là all’altra riva del Mediterraneo, nell’infuocato ed esplosivo Medio Oriente, sulla riva che riecheggia di salmi e muezzin, delle ragazze che parlavano la lingua di Gesù.

Ecco il miracolo di quella mattina di sole. Perché i miracoli talvolta avvengono. Occorre ferma volontà e la certezza che è possibile un dialogo anche fra bambini che parlano lingue diversissime. In questo miracolo ha creduto la nostra socia Antonella Savarino, che ha messo insieme le sinergie di insegnanti e alunni della sua scuola e ha chiesto e ottenuto sostegno dalle istituzioni (Assessori, Provveditore Leone e dirigente scolastico Domenico Di Fatta, padre Miguel Pertini). All’incomunicabilità della parola, la biblica confusione di Babele, si è sopperito con la chiarezza e l’evidenza dell’immagine e le due realtà così lontane si sono chiarificate nel messaggio che hanno sviluppato su un identico tema, «La natura: un bene comune da difendere». Così ragazzi delle due sponde del Mediterraneo, quelli delle scuole palermitane “Giovanni Falcone” e “N. Garzilli” e la scuola israeliana Arnon hanno sviluppato in immagini parlanti lo stesso tema, una grande gamma di letture e riflessioni che hanno messo in imbarazzo coloro che hanno dovuto sceglierne solo dodici per formare il calendario di solidarietà 2012. Su questa linea di solidarietà si è posto da alcuni anni il Lions Club Palermo dei Vespri con l’iniziativa che all’origine ebbe al centro gli alunni della Scuola Falcone per la realizzazione di un calendario, i cui ricavati servissero a finanziare dei progetti sociali. Fu allora un azzardo. La fama dello Zen (Zona Espansione Nord, acronimo stordente e algido) nel mondo, nella rappresentazione distorta e traumatica dei mass-media nazionali, si standardizzò come Bronx palermitano. È certo che tali cosiddetti giornalisti non erano mai stati nel vero Bronx newyorchese, né di notte e neppure di giorno, anche in anni più recenti, nonostante e anche dopo la pulizia ostentata e propagandata dal volenteroso sindaco Rudy Giuliani. Non meno fuorviante, anche se con le migliori intenzioni, fin troppo smaccata e buonista l’intitolazione del quartiere a San Filippo Neri, il prete della Roma cinquecentesca dell’ubriacatura della Controriforma cattolica, il “secondo apostolo di Roma”, fondatore dell’Oratorio che raccoglieva i ragazzi di strada e li faceva pregare giocando, perciò il “santo della gioia” o “giullare di Dio” (il suo celebre motto, «state buoni se potete»). Eppure nel 1969 il progetto di una nuova edilizia popolare nacque sotto alti auspici e fu affidato allo studio di uno dei massimi architetti, Vittorio Gregotti. Mai in Sicilia, forse neppure in Italia (eccezion fatta per le Milano 1 e 2 berlusconiane, con altre mire e benedizioni cristiane), si era proceduto ad un così vasto insediamento popolare in una periferia urbana che si voleva allora in grande espansione. Complessa, se non difficile oggi, a delitto compiuto, l’analisi delle disastrose conseguenze della scelta urbanistica: se fu l’agglomerazione di una nuova città come sfogo di un ceto popolare, se cooperò anche la peculiare struttura architettonica gregottiana che si rifaceva alle insulae romane. Certo non di poco conto furono le assegnazioni degli alloggi ad una sola classe sociale, furono determinanti per il degrado l’abbandono degli amministratori, della “politica” nel complesso, i ritardi burocratici e le omissioni colpevoli. L’abbandono è ancora evidente nel degrado architettonico per assenza di finanziamenti per la manutenzione. Non entro nel campo minato delle responsabilità del degrado umano, in quel connettivo sociale che l’opera di pionieri ha aiutato a sopravvivere. Primo fra tutti padre Miguel Pertini, con il suo progetto di recupero umano, a partire dalla religione, poi il preside della scuola media intitolata a Giovanni Falcone.

image

La storia dell’esperienza del Lions è documentata dalla serie di stupendi calendari, nati dalla creatività dei ragazzi, dai più piccoli ai grandicelli. Essi hanno sviluppato ogni anno in 12 poster un tema a commento della società. Sono partiti nel 2010, presidente Lions Salvatore Pensabene, dal loro quartiere, disegnando il loro Zen ideale, «Così sogno il mio quartiere», quello che avrebbero voluto che fosse, se… L’analisi si è allargata alla città con il calendario 2011 dal tema “Insieme difendiamo il bene comune della Città”, presidente Giuseppe Maccarone. In questa espansione dal centro propulsore si è sentito il bisogno di valicare il muro del quartiere e condividere l’esperienza con altra realtà sociale quale l’Istituto N. Garzilli. E infine quest’anno, presidente Lions Giovanni Ammirata, il salto di portata storica, dalla città al mondo, all’altra sponda del Mediterraneo. Al di là delle difficoltà del ponte e dell’approssimazione dell’audio, al di là degli scambi di saluti e di convenevoli fra le autorità, le voci in israeliano, la traduzione in italiano, si è aperta una finestra nel mondo. Soprattutto si è compiuta l’opera più sublime che un uomo possa fare, quella che io ho intensamente sognato e voluto, piantare un albero per le future generazioni. Questo è il dono più grande che si possa fare per il futuro dell’uomo e dell’universo. E il ricavato dei calendari servirà a questo, a gettare i primi semi per il bosco del mondo, in due realtà bruciate dal sole. E poi il seme della solidarietà nello scambio delle visite, perché solo vivendo nelle case di altri popoli si può togliere la scorza della diffidenza e del rifiuto, la ruggine dell’odio e della distanza ideologica e razziale. Per una società che abbatta tutti i muri, costruiti, si dice, per difesa. Dietro il muro, chi è l’escluso e chi il recluso? Se l’avvenire è dei giovani, apriamo loro le nostre case, perché vivano in un mondo senza mura e fossati e sentieri minati. Ascoltiamo le loro voci che sanno sempre comunicare, anche per segni e per immagini.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Il nostro sito web utilizza i cookie per assicurarti la migliore esperienza di navigazione. Per maggiori informazioni sui cookie e su come controllarne l abilitazione sul browser accedi alla nostra Cookie Policy.

Cookie Policy