MASCHERE DI CARNEVALE

( Gabriella Maggio)

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Maschera è parola d’origine incerta. La prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca , 1612, riporta quanto segue

MASCHERA.

Definiz:

Faccia, o testa, finta di carta pesta, o di cosa simile. Larva la dicono alcuni in latino.

Esempio:

Bocc. n. 79. 39. Ordinò d’avere una di queste maschere, che usar si soleano a certi giuochi.

Esempio:

E Bocc. nov. 32. 25. E misongli una catena in gola, e una maschera in capo.

Esempio:

E Bocc. num. 39. La maschera aveva viso di Diavolo, ed era cornuta.

Definiz:

¶ Diciamo in proverbio: Cavarsi la maschera, che vale dire il suo parere a uno alla libera, e quasi con ira. Lat. aperte iram evomere.

Definiz:

E Mandare in maschera: trafugar nascosamente una cosa. Lat. clàm surripe

   

La quinta edizione, 1863-1923, dello stesso dà l’etimologia maskhara , dall’arabo, persona che fa ridere. Ne la “Storia della mia vita” Giacomo Casanova ( 1725-1798) riferisce che a Costantinopoli comici della Commedia dell’Arte, presi prigionieri e ridotti in schiavitù, recitavano i loro repertori. Pertanto maskhara, come persona che fa ridere, potrebbe derivare a sua volta dall’italiano maschera/mascara. Interessante è il termine siciliano mascu riportato dal Traina e dal Mortillaro col significato di fragile, caduco ( dal latino vascus, a,um, vano) e l’espressione esseri canna masca, essere debole incostante. Il Dizionario Etimologico della Lingua Italiana di Cortellazzo-Zolli, Zanichelli, rintraccia il tardo latino mascha. Il Dizionario della Lingua Italiana Treccani, invece, la voce preindoeuropea masca , fuliggine, fantasma nero. Tuttavia i dizionari concordano che maschera indica “finto volto di cartapesta o altro materiale, riproducente lineamenti umani, animali, o del tutto immaginari” (Treccani). A carnevale si usa indossare una maschera o travestirsi completamente per essere, per un giorno, una persona diversa dall’usuale, a cui è lecito dire quel che vuole, ma soprattutto suscitare il riso. Sul “Corriere della Sera” di ieri 20 febbraio Armando Torno lamenta la scomparsa delle maschere tradizionali italiane dall’immaginario collettivo e naturalmente dai negozi che vendono abiti di Carnevale e la definisce una grave perdita della cultura popolare.

Oggi le maschere che piace indossare a Carnevale non sono legate alle nostre tradizioni, a quello che Torno chiama “l’unico vero federalismo che abbia conosciuto il Belpaese”, ma sono ispirate da personaggi di moda che vengono dai cartoons, dallo spettacolo, dalla politica. Questo, però, accade già da qualche decennio, perchè è cambiato il senso del ridicolo e per godere della salutare risata usiamo situazioni che poco hanno a che fare col passato popolare dell’Italia. Questo passato era tenuto vivo dai ricordi degli anziani, dai libri di scuola, dalla televisione che allora era diversa. Basta scorrere i palinsesti televisivi odierni e confrontarli con quelli del passato per rendersi conto della differenza. I ricordi nelle famiglie hanno poco spazio, così come la conversazione se riflettiamo sul fatto che rincasare ed accendere il televisore sono gesti che si sovrappongono come automatismi. La scomparsa delle maschere italiane antiche, Colombina, Arlecchino, Gianduia, Pulcinella ed altre, è un dato di fatto di cui dobbiamo prendere atto, secondo me, senza drammatizzare. E’ accaduto e continua ad accadere, che elementi culturali scompaiano o meglio si modifichino, basta scorrere con curiosità ed interesse l’ormai immenso volume della storia. Si può concedere che oggi c’è una sempre più forte accelerazione di velocità nel cambiamento, ma niente di più. Pazienza per Arlecchino, Brighella, Pantalone, Colombina, che i nostri ragazzi non riconoscono più e non sentono vivi, perché nessun mezzo di comunicazione forte li propone. Già questo è accaduto nel Settecento quando alcuni di questi personaggi, popolari già da almeno due secoli, sono stati sostituiti da altri. Penso all’operazione culturale realizzata da Carlo Goldoni che nelle sue commedie sostituì Colombina con Mirandolina in La locandiera e Pantalone col Sior Todero in Il sior Todero Brontolon . Anche allora si levò la protesta degli attori e del pubblico abituati alla Commedia dell’Arte, spettacolo popolare, tanto quanto quei tempi permettevano. Si trattava di una trasformazione delle maschere in caratteri , dettata dal fatto che le maschere non parlavano più al cuore dell’autore ed a quello dei suoi spettatori. Qualcuno può sicuramente sollevare qualche obiezione : Carlo Goldoni è stato “Qualcuno” che lavorava per nobili fini artistici ed i “media” di oggi, responsabili della scomparsa delle maschere tradizionali, sono piuttosto scadenti ed obbediscono a basse logiche commerciali. Ammettiamo pure che sia così. Una soluzione potrebbe essere quella di un’operazione culturale meditata e di ampio respiro che s’impegni non solo a conservare per le generazioni future questo patrimonio culturale, ma lo faccia in maniera tale da suscitarne l’interesse, sfruttando i mezzi di comunicazione e le tecnologie odierni. Insomma come diceva G.B. Vico la filologia deve essere unita alla filosofia. E’ necessario che la cultura si apra con mentalità laica al presente, accogliendone le istanze, per mantenere salda la sua funzione di tramandare quello che noi riteniamo sia parte della nostra identità e costruendo nello stesso tempo il futuro.

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