Le trame luminose e segrete di Giacomo Failla

( Anna Maria Ruta)

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Sublime – Peso della leggerezza è il titolo della mostra che raccoglie gli ultimi e intensi lavori del catanese Giacomo Failla: importante questo scambio culturale, che da un po’ di tempo in qua si è intensificato tra le sponde opposte dell’isola.

Failla ama i percorsi intricati e si impegna nei suoi dipinti in trame fitte e segrete di segni, che richiamano spesso l’idea di un labirinto, franto, chiuso in un reticolo che si ripete e rimanda all’idea di un costante inizio, senza una fine, ma con sbocchi liberatori. E’ possibile evaderne? E’ possibile da lì imboccare il percorso che porta alla Bellezza, al Sublime?

E’ possibile certo far sprigionare da queste forme barlumi di luce, che illuminano il reale, brandelli di chiarore, che consentono di penetrare pian piano nei meandri occulti di un quid segreto, che può suggerire la via della rinascita. In queste forme si imbriglia il groviglio delle passioni, che non si lasciano completamente interpretare, ma consentono solo di intravedere i frammenti di una tormentata soggettività, suggerendo il travagliato processo riflessivo ed emotivo di un artista, che trova sfogo anche nella poesia, che Failla attraversa contemporaneamente alla pittura. Cerca la luce Failla, vi si perde dentro, la fa emergere dalle tessiture figurative e dalle vibrazioni dinamiche del colore con bagliori improvvisi, e nella luce cerca il centro salvifico (Cammino verso il centro, Solo nel centro, Magia ritrovata, 2008), duettando con la natura, con il vento, le nuvole, il cielo, in uno stretto contatto con la realtà cosmologica, la cui iconografia predominava spesso nei suoi dipinti anteriori, viva e palpitante, magica. Nelle sue prime fasi il groviglio semantico era denso, fatto di fitte foreste d’ombra (Reichswald Nurnberg, Cristalli sognati, Dietro la persiana, 2009), che rimandavano alla lezione di grandi maestri moderni, perfino, alla lontana, a quella di Boccioni. E nella delicata trama di segni e cromie, si potevano leggere umbratili echi di culture altre, che testimoniavano il viaggio continuo non solo della mente, ma anche del suo immaginario nello spazio. Ampi scenari, i suoi dipinti raccontavano di un innato nomadismo interiore, che nasceva dal bisogno di accostarsi all’altro, di conoscere realtà più autentiche e vere, nature e società primordiali, che la sua mano evocava attraverso l’iconografia di stoffe esotiche, di fili sottili che si intrecciavano e parlavano, come nelle opere di Maria Lai.
Oggi la sua pittura ha acquistato in luminosità ed eleganza cromatica, la tavolozza si è ampliata con l’uso di altri colori, più tersi, ma soprattutto l’immagine ha fatto un balzo in avanti conquistando in volume e profondità: uno dietro l’altro si intravedono nelle sue tele strati di mondi diversi, che si susseguono, si incontrano e si scontrano. Avanzano concrezioni di materia più raffinata, più studiata e limata, meno plastica, che avvia a segni più captanti, rispetto alle pennellate più scomposte del passato. Questi lacerti di realtà talora si intravedono appena nascosti nel magma del colore, altre volte esplodono con sicurezza sulla tela creando nuova tensione interpretativa e nuova relazione dialettica con l’occhio osservatore.

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Giacomo Failla – Alone, 2012 – Acrilico su tela

Dalla sua pennellata sottile affiorano caos e ordine, la materia, solo apparentemente leggera, trasparente, oltrepassa l’occhio e penetra la mente e con la calamita dei colori ipnotizza lo sguardo e pone domande, più che dare risposte: ciò che appare e ciò che nasconde nel suo profondo, l’occhio, non sempre riesce a percepirlo, ma ne coglie bene la profondità del travaglio, che è quello di ogni essere sensibile. E ne intuisce lo studio, la cultura pittorica, internazionale, che dall’Action Painting, da Pollock e da Hans Hofmann in particolare, arriva alle colature di Schifano e agli intrecci di Lichtenstein. Ma nei gialli e rossi più ampiamente distesi, meno contorti, si intravede anche l’amore per Rothko. La fitta rete cromatica si è allargata aprendosi a spazi più uniformi, a prospettive più monocromatiche, che danno il senso dell’infinito e di un lento, graduale rasserenamento (vedi anche l’uso frequente dei bianchi e dei blu e vedi certi titoli come Good Time, Al lover me, Blue Heart, Haeven and Hell, Liebe, Green Connection, Sky Line, Summertime). Summertime, la frequentazione della poesia gli fa anche privilegiare il suono, che fuoriesce dai suoi dipinti, spettacolarizzando l’energia vitale e facendone un artista a tutto tondo, un artista totale, che va conosciuto e seguito nel suo itinerario creativo.

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