No more, si può!

(Carmelo Fucarino)

clip_image002

Con risoluzione n. 54/134 del 17 novembre 1999, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, con l’invito a governi, organizzazioni internazionali e ONG a celebrare la giornata con attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica. La data scelta nell’Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi di Bogotà del 1981 è in ricordo del feroce assassinio in quel giorno del 1960 delle tre sorelle Mirabal attiviste contro la dittatura di Rafael Trujillo (1930-1961) nella Repubblica Dominicana, bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare, mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione, torturate, massacrate e strangolate.

In Italia solo dal 2005, sempre con ritardo e in sottotono, alcuni Centri antiviolenza e Case delle donne hanno avviato delle iniziative. Eppure anche da noi il bilancio è pesante, quando in Spagna: 129 donne uccise per “motivi di genere” nello scorso 2011, 105 solo nei primi nove mesi del 2012, oltre le migliaia di segnalazioni ai Centri antiviolenza. Finalmente organizzazioni politiche, sindacali e sociali si sono da noi attivate con manifestazioni che coprono a macchia d’olio le città da Nord a Sud, anche con striscioni supponenti. E finalmente una richiesta seria, una Convenzione rivolta a Monti e Napolitano, perché si raccolgano i vari provvedimenti estemporanei in una legislazione organica e completa e si avvino progetti di formazione e di prevenzione nelle scuole. Non c’è nulla di buono da sperare, se si considerano i tempi dei recepimenti di provvedimenti esterni, con ritardi e, diciamolo pure, omissioni colpevoli, fino ad far pagare multe comunitarie pesanti ai soliti cittadini. I tecnici al timone hanno altre cosette da sistemare prima del time-out.  Cosa e come si può fare in una società in cui la violenza è istituzionalizzata ed esplode anche nelle forze preposte alla tutela dei diritti e della sicurezza per antonomasia dei cittadini? Si può in una occupazione dei media da parte di promozioni di violenza gratuita, dai banali polizieschi ai disgustosi horror? L’invasione di tv e stampa della violenza non ha limiti, fino a trascinare nel precipizio pure la semplice promozione di un prodotto. Sì, è chiaro, la violenza, le budella, il vomito, il turpiloquio fanno audience, occorre il pugno allo stomaco per scuotere l’attenzione di spettatori apatici e sconfortati. Però ci furono tempi orrendi, l’omicidio reale sulle scene romane che non sentivano più nulla dopo l’orrido di Seneca e degenerati, la gioventù dorata inglese che uccideva per semplice piacere sadico, altri rinomati momenti eroici del nazismo.  Perciò due riflessioni e qualche domanda angosciosa. C’è stata una corrente di pensiero, forse allora di parte alquanto interessata, che ha condannato il bel prodotto confezionato delle varie Piovre, dei padrini, delle biografie di mafiosi eccellenti. Erano immorali perché portavano il rischio di eroicizzare i protagonisti. Si temeva che potessero con il carisma del bravo attore e delle gesta eccezionali divenire simbolo da imitare e rivivere, in una linea d’ombra equivoca tra il bene e il male orrendo, quella deriva di imitazione del luciferino. Eppure dal 2007 in seconda serata e dal 2008 anche in prima serata nell’encomiabile Rai 3, ideato da Matilde D’Errico, Maurizio Iannelli e Luciano Palmerino va settimanalmente in onda il format Amore criminale. Il titolo dice tutto, si tratta di storie d’amore concluse nel sangue per mano del partner o ex-partner, attraverso interviste ai protagonisti (famiglie delle vittime, amici, colleghi di lavoro, Forze dell’Ordine, magistrati, avvocati) e ricostruzioni filmate. Il programma è stato premiato nel 2008 da Telefono Rosa.  Seconda riflessione. Ha ricevuto il Premio Fondazione il Campiello la raccolta di Dacia Maraini L’amore rubato. Anche in questo caso si tratta di un vero e proprio format, un tipo di narrativa mai affrontata dalla letteratura, almeno, che io sappia, italiana. Si tratta come i vari serial, di stampo poliziesco, l’affollata platea americana, da un po’ di tempo anche l’altrettanto italiana, Montalbano docet, di una raccolta a senso unico su un tema unico, otto storie tragiche di violenza maschile. È possibile scrivere, confezionare un simile format, in cui vicenda per vicenda si ripete nel breve arco di mesi la stessa esperienza? Dai tempi delle prime forme narrative, dalla prima costruzione di opere aperte, fossero poesia, la stupenda variatio catulliana, o la razionalità e la perizia tecnica dell’architettura boccaccesca, fino alle raccolte del Paolieri della nostra infanzia o al Pirandello delle novelle per un anno, sempre è stata fondamentale la norma della variazione di temi e strutture ed emozioni, finanche la misteriosa Sherazade. Non so quale effetto possa produrre sul lettore la lettura di otto storie di coppia, cominciate, per esempio con una dichiarazione di caduta dalle scale, e conclusa con una violenza per amore, tutte cominciate in allegria e dopo il secondo nell’attesa della tragedia. Ed è possibile scrivere una serie di vite così angoscianti, senza almeno l’intervallo di una settimana televisiva? Ma perché non si può scrivere di amori felici alla follia, perché per insegnare cosa è l’amore si deve dire cosa non è? La Maraini della trasognata Baharia è lontanissima, anche con la sua autobiografia dell’orrore altrui. È si può chiamare questa letteratura, quella volta alla dimostrazione di un assunto, con storie verosimili, ma certamente minoritarie davanti a tanti amori pieni solidali completi, ma non narrativi. Sì, madame Bovary. E si può parlare di arte con storielle così poco convincenti e prevedibili? Battute sul tema dello stalking o della prepotenza gratuita o di gruppo, fino all’assassinio? Una dietro l’altra storie di angoscia e di annullamento. E cosa c’entra l’amore “rubato”? Sciascia finì come narratore quando pretese dalla storia narrata la finalità di un pamphlet moraleggiante. La narrativa è altro. Lo spirito è al di sopra e oltre la propaganda, sia pure salvifica. Il mio sogno, che l’amore abbia una rivincita in storie di vero amore, quelle semplici e belle, quelle dei primi romanzi del mondo occidentale che seguivano, sì, una struttura precisa, l’incontro, l’innamoramento, il distacco e le disavventure e poi il ricongiungimento e il trionfo di Amore. Sì, il cosiddetto romanzo greco, le coppie immortali di Chérea e Callíroe, di Leucippe e Clitofonte, di Dafni e Cloe, di Abròcome e Anzia, di Teàgene e Caricléa. Perché anche quello seguiva una sua precisa didattica e una sua etica programmatica e standard, ma in positivo. La morte era lasciata oltre la porta, nel suo inderogabile e innominato corso. Se di insegnamento si vuol parlare altra è la via rispetto alla narrazione dell’orrore.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Il nostro sito web utilizza i cookie per assicurarti la migliore esperienza di navigazione. Per maggiori informazioni sui cookie e su come controllarne l abilitazione sul browser accedi alla nostra Cookie Policy.

Cookie Policy