TERRA DI PANE E DI VINO

 

( Tommaso Aiello *)

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Il tempio di Segesta

Proseguiamo il nostro itinerario verso Salemi,l’antica Alicia fondata dagli Elimi,e poi ribattezzata dagli Arabi”Salem”o”luogo delle delizie”.

image                                  La panificazione nell’antichità(Archivio Aiello)

Malgrado le distruzioni causate dal terremoto del 1968,Salemi possiede tuttora vari monumenti che meritano una visita.Ma la superstite più rara ed affascinante è una tradizione,un’arte:quella dell’ex-voto modellato in pane. “Uomini che mangiano pane” era l’espressione con cui Omero distingueva i Greci e gli altri popoli civili del mondo antico da quelli barbari che ignoravano l’arte dell’agricoltura.Per millenni in tutto il bacino mediterraneo il pane è stato un elemento di profonda sacralità,ma in Sicilia questo fenomeno acquista dimensioni straordinarie.Frutto di un lungo e faticoso consociarsi di uomo e natura,segno tangibile della generosità divina.Per i siciliani il pane è stato sempre il sostegno della vita,e come tale va rispettato,consumato con cura,mai sprecato.Molto spettacolari sono i pani esposti sugli altari di San Giuseppe il 19 marzo.Questa festa apre il ciclo delle feste patronali che si prolungano in moltissimi comuni della Sicilia fino alla tarda estate. Essendo San Giuseppe il santo protettore dei poveri,degli orfani e di chi si trova in grandi ristrettezze di vita,la festa di questo santo rappresenta il trionfo della carità,lo spirito della beneficenza,non disgiunto forse da una certa vanità da parte di chi per voto prepara la mensa per i poverelli.Ogni anno per devozione al Santo alcune famiglie preparano le”cene”,costruendo in casa un pergolato ricoperto di verde e decorato con arance,limoni e centinaia di piccole e preziose sculture in pane.

 

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Pergolato per la mensa(Foto Aiello)

 

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L’addobbo del pergolato(Foto Aiello)

                                            

Dentro questa costruzione viene eretto un altarino a più ripiani dove vengono collocati,secondo un criterio consacrato dalla tradizione e che dovrebbe corrispondere a una gerarchia di valori,i pani scolpiti dalle abili mani delle donne e che rappresentano”Il Sacramento,Il nome di Maria,La discesa degli angeli,La mano di S.Francesco e Santa Chiara,S.Giuseppe e il Bambino Gesù,Il Santo Padre” contornati da una serie di altri pani più piccoli come angeli con candeliere,angeli con incensiere,panieri con fiori,panieri con frutta e poi ancora la vigna con canne e uva, la serpe e la lumaca(come nella realtà),la palma e per finire i pani a forma di “buccellato”.Ai due lati della stanza sono poi esposte le pietanze che sono tantissime”tutti li pitanzi di lu munnu”.In tempi passati le famiglie che preparavano le cene,avendo tutte un parente che lavorava all’estero, si facevano mandare alcuni cibi particolari che mancavano nelle nostre zone.La “cena” di S.Giuseppe ripropone ancora alcuni temi essenziali in stretta analogia con quelli relativi ai riti solstiziali:l’offerta delle primizie,l’ostentazione dei prodotti,l’orgia alimentare. Come in altri riti,come quello del Capodanno,anche qui il gruppo sociale avverte i rischi connessi con la vita dell’anno agricolo,in un particolare momento di paura e di crisi,quando una gelata potrebbe compromettere il paziente lavoro dell’annata.

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Il Sacramento(Foto Aiello) S.Giuseppe e il Bambino Gesù(foto Aiello)

In queste feste che provengono in origine da quelle agricole della fertilità,il banchetto collettivo rappresenta ancora una concentrazione di energia vitale con tutti gli eccessi che comporta e convoglia apprensioni e speranze sul destino del raccolto e sulla usufruibilità dei prodotti.

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                La terza ricchezza alimentare della nostra Sicilia(Foto Aiello)

Proseguendo il nostro itinerario per la strada 188a si passa accanto i paesi di Vita e di Calatafimi.Anche qui i vigneti e gli oliveti più ricchi di questi comuni sono fuori della portata dell’occhio,ma i loro frutti arrivano nella vallata per la trasformazione.Anche qui il pane è protagonista,nella tradizionale forma a ciambella frastagliata che si chiama “cucciddatu”,quando è la celebrazione della festa della Madonna di Tagliavia. I “cucciddati” sono il principale elemento decorativo delle offerte dei “Ceti” che sfilano in cavalcata su muli bardati a festa e della “Carrozza del pane”,un grande carro ricoperto di pani e fiori.E non è raro vedere anche un carro del vino e delle olive,composto dai semitorchi in cui una volta si pigiavano l’uva e le olive.Dopo tanti chilometri di paesaggio agricolo,domato e trasformato attraverso i secoli di zappa e

 

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Agricoltori che zappano le vigne negli anni ’60.

vomere,qui le grandi masse di pietra nuda,le macchie scure dei pineti,i tagli che il fiume ha scavato a picco in colline finora dolci,danno il senso di un mondo vergine e primordiale,tanto che viene del tutto naturale scorgere dall’altro lato della vallata,seminascosto fra grosse rocce e dirupi imbruniti dal rimboschimento,il tempio di Segesta,testimonianza splendida e suggestiva di una civiltà e di una cultura passata.Un territorio,quello che abbiamo visitato,che ha tante facce e tanti aspetti:da quello primitivo e selvaggio,quasi del tutto incolto,a grandi estensioni di terra dove la fanno da padrone il grano,il vigneto e l’uliveto,i cui frutti sono la base,come dicevamo all’inizio,della “Dieta Mediterranea” che oggi tutto il mondo rivaluta.( Fine )

 

*(Consulente del Distretto Lions per la cultura)

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