L’ ETNA E I SUOI MITI

 

(Gianfranco Romagnoli)

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In fondo alla piana di Catania si erge poderosa la mole dell’Etna, vulcano attivo che, con i suoi 3500 metri circa, è il più alto d’Europa, tanto che lo si vede da gran parte della Sicilia. Oltre a fertili orti e prospere vigne alle sue pendici, a belle selve verdeggianti sui suoi fianchi e a suggestive nude distese di nera roccia lavica più in alto, la montagna offre il mirabile spettacolo della sommità spesso coperta di candida neve, pittorescamente contrastante con la corona di fiamme che fuoriescono dal cratere durante le frequenti eruzioni. Il fatto che questo vulcano rappresenti efficacemente l’archetipo della montagna sacra, per di più rafforzato dalla presenza della corona di fuoco, ha fatto sì che, a causa del religioso timore che esso incuteva, fin dalla più remota antichità si siano formati e tramandati numerosi miti, tendenti anche a spiegare i fenomeni naturali connessi alla sua presenza, come le eruzioni, i boati e i terremoti. Nell’ epoca più antica l’Etna fu ritenuta la sede del dio indigeno Adrano, divinità del fuoco e delle acque e personificazione del vulcano.

Questa divinità era venerata nella vicina omonima città, fondata dal tiranno siracusano Dionigi il Vecchio nel 400 a.C. nei pressi di un più antico insediamento siculo. Molti pellegrini, portando ricchi doni, affluivano al santuario di Adrano, custodito da cani sacri che erano mansueti verso i veri devoti, ma sapevano riconoscere e assalivano ferocemente i malintenzionati venuti per rubare nel tempio.

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Al culto e alla figura di Adrano si sovrappose, con l’arrivo dei Greci, quella del dio greco Efesto, che il padre Zeus precipitò ancora in fasce giù dal monte Olimpo perché troppo brutto e che, a causa di quella caduta, divenne anche zoppo: in compenso il padre gli diede come sposa la bellissima (e infedele) dea dell’amore Afrodite. Efesto si stabilì all’interno del cratere etneo, dove organizzò una fucina di fabbro nella quale, aiutato da giganteschi Ciclopi e da automi da lui stesso costruiti, forgiava i fulmini per suo padre e fabbricò persino il carro del Sole. Con il fuoco della fucina e il rumore delle martellate dei mitici fabbri, gli antichi si diedero una spiegazione delle fiamme e dei boati generati dall’Etna.

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A seguito dell’identificazione di Efesto con la divinità latina Vulcano, si collocò nell’omonima isola vulcanica dell’arcipelago delle Eolie, all’interno del cratere. un’altra officina del dio.

 

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C’è ancora un altro mito, con il quale gli antichi cercarono di spiegare il fenomeno naturale dei terremoti. Zeus, dopo avere detronizzato il padre Crono per divenire signore degli dei, dovette affrontare la ribellione dei Titani, fratelli del padre, e aiutato dagli altri dei olimpici si scontrò con essi nella battaglia nota come Titanomachia, sconfiggendoli e relegandoli nel regno sotterraneo del Tartaro. Tuttavia un altissimo gigante dalla forza poderosa e dal mostruoso aspetto draghiforme, chiamato Tifeo (o Tifone), generato successivamente da Crono, desideroso di vendetta affrontò Zeus ed ebbe la meglio su di lui, recidendogli i tendini e nascondendoli. Soccorso dal dio Apollo, che ritrovò i tendini e glie li restituì, Zeus si diede ad inseguire Tifeo scagliandogli contro numerosi fulmini: giunti in Sicilia, appena il gigante ebbe varcato con un solo passo lo Stretto di Messina, gli lanciò addosso l’Etna, sotto il quale Tifeo rimase imprigionato. I terremoti sarebbero causati dai suoi vani tentativi di scrollarsi di dosso l’immane peso del vulcano.

 

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Secondo un’altra versione del mito riportata da Ovidio nelle Metamorfosi e tramandata dalla tradizione popolare, Tifeo sostiene l’intera Sicilia, alla quale è stato legato, come in una crocifissione, supino, con la testa a est, i piedi a ovest e le due braccia tese perpendicolarmente al corpo lungo l’asse nord-sud dell’isola. In questa posa, sorregge Messina con la mano destra, Pachino con la sinistra, Trapani gli sta poggiata sulle gambe e il cono dell’Etna sta proprio sulla sua bocca, rivolta verso l’alto. Ogni volta che si infuria, Tifeo vomita fuoco e lava attraverso il cratere del vulcano, mentre ogni suo tentativo di liberarsi scatena i terremoti.Oltre a questi miti classici, l’Etna è la cornice di una leggenda medioevale, giunta in Sicilia con i Normanni e legata al ciclo leggendario bretone di cui è protagonista Re Artù. Si narra che il mitico sovrano, sconfitto e ferito gravemente nella decisiva battaglia contro i Sassoni che gli costò il regno, fu soccorso dalla sorella, la fata Morgana, la quale lo trasportò all’interno del cratere dell’Etna dove fece magicamente sorgere, al centro di una pianura fiorita, un fastoso palazzo. Qui Artù, con i suoi cortigiani, riposa ancora, immune dalla morte, finché un giorno tornerà nel mondo per riprendersi il suo regno. Per non restare lontana dal fratello, Morgana si stabilì in un palazzo sottomarino di cristallo al centro dello stretto di Messina: da lei prende nome il fenomeno ottico noto come Fata Morgana, che in certe condizioni atmosferiche, attraverso la rifrazione dell’aria che funge da lente di ingrandimento, fa sembrare la sponda calabrese e quella siciliana dello stretto così vicine, da dare l’impressione di poterle toccare allungando una mano.

 

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La leggenda di Re Artù nell’Etna narra ancora che lo stalliere di un vescovo, al quale era fuggito un cavallo, inseguendolo arrivò all’orlo del cratere e si inoltrò in esso attraverso un ripido sentiero, che scendendo fino al fondo lo condusse nella amena pianura in cui sorgeva il palazzo. Qui giunto, fu ricevuto dal re che gli fece restituire il cavallo e gli diede molti doni per il suo padrone, insieme all’invito a venirlo a visitare. L’invito tuttavia non fu accolto dal prudente prelato, che vide in tutto ciò un’opera di magia non compatibile con la religione cristiana.

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