La baronessa di Carini per il festival “Nebrodi in canto” a Ficarra

(Salvatore Aiello)

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Ci sono avvenimenti decisamente importanti nella nostra tormentata Sicilia che meriterebbero più risalto, soprattutto per ricordare, alla nostra contemporaneità, che fra tante brutture c’è gente capace ancora di sognare e con la voglia di riappropriarsi della storia del proprio paese per rilanciarne tradizioni, attività significative. Gli Dei hanno dotato la Sicilia di rare bellezze naturali e impianti storici e culturali che debbono trasformarsi in ricchezza attraverso l’incremento del Turismo a 360°. E questa, è l’idea portante degli amministratori di Ficarra, dolce, ameno paese dei Nebrodi “al piano superiore di Brolo”, collina assai fertile per la ridondanza dei suoi uliveti e terra di Gattopardi che nei secoli l’hanno barattata, qualche volta tradita e anche sfruttata, col merito però di avere promosso un apprezzabile mecenatismo che oggi costituisce la testimonianza, la memoria storica e la ricchezza del territorio per i visitatori che possono godere di incontrare l’arte di Gagini, Laurana, Serpotta, della scuola di Antonello da Messina e soprattutto la possibilità di inoltrarsi in musei che meriterebbero maggiore conoscenza quale quello dell’Arenaria, del Baco da seta, l’Etnoantropologico e,non ultimo, il percorso degli olivi secolari e gattopardiani.Ottima l’accoglienza turistica

 

Abbiamo accolto l’invito di seguire, il 2 di agosto, la ripresa della Baronessa di Carini di Giuseppe Mulè, punto di interesse del Festival “Nebrodi in canto” alla sua terza edizione, organizzato dal Comune cittadino,dall’Università di Paris 8 e l’Operacademy di Oradea (Romania). Scelta coraggiosa e valida che ha visto protagonista il maestro Salvatore Scinaldi appassionato cultore ed esecutore di operisti siciliani caduti, purtroppo, nel dimenticatoio per alterne vicende, qualche volta estranee alla vita musicale.

 

Salvatore Scinaldi

 

Con la caduta del Fascismo anche la musica di Mulè tacque e dire che il suo carnet di opere aveva ricevuto ovunque consensi. La baronessa di Carini, soggetto recuperato dalla tradizione orale e dagli studi fervidi di Salamone Marino, captò l’attenzione del giovane musicista di Termini Imerese che in un semplice atto, complice il fratello Francesco Paolo, condensò la vicenda tragica d’amore consumata da Caterina La Grua e Ludovico Vernagallo. Ancora una storia di amore e morte tra famiglie rivali che si conclude con un femminicidio, nota triste per la condizione amara della donna che si protrae ancora oggi. L’opera vide la luce il 16 aprile 1912 al Massimo di Palermo con un’interprete di levatura storica quale la divina Claudia Muzio, direttore Gaetano Bavagnoli ed ebbe nel secolo varie riprese. Non essendo reperibile la partitura per orchestra, a Ficarra, si è pensato di ricorrere allo spartito per canto e pianoforte cogliendo la linea melodica ed espressiva della musica di Mulè, cifra eclettica pur con spunti ed esiti di nuovi risvolti ma sempre nella strenua difesa della grande tradizione operistica italiana. Lo spettacolo ha avuto come introduzione tre brani ricordando, in qualche modo, che la rappresentazione affondava le radici nella tradizione popolare poichè la Chiesa e il potere avevano, nei secoli, occultato i fattacci storici che ebbero come sfondo il triste maniero carinese, per lasciare che fossero i cantastorie a perpetuare la memoria di una faida familiare di cui i recenti studi hanno rivelato di natura soprattutto economica. Una cantilena araba della tradizione libanese affidata alla voce gentile di Marianne Helou dava inizio alla recita, seguita dal canto popolare siciliano “Chianci Palermu” interpretato dal promettente giovane tenore Davide Vitale, e a conclusione il canto garbato e sensibile del soprano Federica Faldetta nel proporre “Là dentro il mistero” di Mulè.  L’incipit dell’Opera era affidato al flauto di Simone Spera in consonanza col pianismo di Salvatore Scinaldi che conferiva espressività, legato, accese sonorità e cura delle dinamiche di cui è ricca la partitura in presente dialogo col canto affidato a giovani dignitosi interpreti. La norvegese Maria Steinsvik vestiva i panni dell’infelice baronessa Caterina La Grua, adeguata per elegante phisique du role e stile, offriva un canto risolto in tensione lirica ed espressiva sopperendo ad una non proprio pienezza del mezzo vocale. Filippo Micale con generoso piglio, timbrata e solida vocalità tenorile era Ludovico Vernagallo. Gonga Dogan (Turchia) spostava la vocalità mezzopranile alla corda sopranile, disegnando una Violante dal colore ammaliante e suadente ma soprattutto elegante nei piani e nel legato senza mai scadere in accenti di effetto. Di denso approccio il Matteo del baritono rumeno Relu Proca di cui avremmo preferito una linea più curata per disegnare il personaggio viscido e servile. Completava il cast Simone Spera (don Vincenzo La Grua). Nel complesso in risalto il coro del Liceo Musicale Regina Margherita di Palermo. Gradevole lo spettacolo che aveva come scenario le pietre secolari di piazza Monastero con gli storici palazzi Piccolo e della Badia, curato dalla regia di Carmelo Agnello che ha in qualche modo raccontato la storia lasciando spazio all’interpretazione di idee che in verità avrebbero meritato più concreta risoluzione. Di effetto le chitarre di Claudio Sciacca, Manuel Tumeo, Antonio Corica, Giorgio Gabriele,Salvatore Villano,Rosalba Ducato. In risalto i costumi delle due protagoniste, anonimi quelli dei protagonisti maschili ridotti a meri contadini verghiani. Prolungati e convinti gli applausi del numeroso pubblico che hanno siglato alla fine il successo di una manifestazione degna di meritevole attenzione.

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