L’ATTESA
(Gabriella Maggio)
Juliette Binoche e Lou de Laâge
Eleonora Duse
Il film d’esordio di Pietro Messina, L’attesa, riprende a distanza il dramma di Luigi Pirandello La vita che ti diedi, che rappresenta l’amore di una madre che vive dei ricordi del figlio: Ma sì che egli è vivo per me, vivo di tutta la vita che io gli ho sempre data: la mia, la mia; non la sua che io non so! Il dramma pirandelliano, scritto per Eleonora Duse, non ebbe grande successo ed ancora oggi è poco rappresentato. Il parallelo tra il dramma e il film corre anche al di là del tema. Nell’ espressione del volto della brava Juliette Binoche viene spontaneo intravedere quello della Duse, affiorante nell’immaginario del dotto regista e del direttore della fotografia, Daniele Ciprì. In un paesaggio aspro e scabro, distante dalle solite immagini della Sicilia fatte di agrumeti, mare e sole sorge un’antica villa che sembra abbandonata. Dalle immagini precedenti che presentano una donna in lutto che accarezza un crocifisso, un funerale in chiesa, persone vestite di nero, s’intuisce che un grave lutto ha colpito gli abitanti. L’arrivo improvviso di Jeanne, la fidanzata di Giuseppe, il figlio di Anna, da lui invitata a trascorrere qualche giorno di vacanza a casa sua, cambia la prospettiva iniziale in un sottile e ben condotto intreccio di verità e menzogna, che strania lo spettatore rendendolo incerto sul significato delle scene che guarda.
Il film si svolge prevalentemente all’interno della villa, nella fuga delle stanze ampie e severe che riempiono i lunghi silenzi delle protagoniste. L’attesa del giovane fa nascere tra le due donne, diversamente legate a lui, una forte complicità, favorita dall’uso della loro lingua materna, il francese e dalla condivisione del cibo. L’arrivo del giovane è previsto da Anna nel giorno di Pasqua, che sarà il giorno della personale resurrezione laica attraverso l’accettazione della verità. La sua esperienza di mater dolorosa culmina durante la processione del venerdì santo, senza facili cadute emotive, frequenti quando si tratta un tema straziante. Il regista sviluppa la scena con misura sul volto della Binoche. Il film ben interpretato anche da Lou de Laâge non suscita entusiasmi immediati, ma si giova dei ripensamenti e delle analisi successive, che ne rivelano i tratti felici nella fotografia, della tecnica narrativa, della sicilianità asciutta e scabra. Il film rivela anche la cultura ed i modelli cari a Messina, in particolare vi si colgono echi di I. Bergman e di R. Rossellini di Viaggio in Italia per la funzione della processione e per l’abbraccio finale delle protagoniste. Presentato a Venezia, è stato insignito del Leoncino d’oro dell’Agis.