GISELLE O DEL BALLETTO
(Gianfranco Romagnoli)
Sere fa, mentre con il telecomando facevo il solito annoiato giro dei canali televisivi, ho avuto la fortuna di imbattermi in una più che dignitosa messa in scena del balletto Giselle di Adam, rappresentato in un noto teatro di Palermo. Come tutte le altre volte che l’ho visto, mi sono lasciato prendere dalla magia del racconto, tratto da Thèophile Gautier e sublimato dalla musica e dalla danza, elementi che raggiungono la piena fusione in questo balletto come, a mio parere, in nessun altro. Mi sono sentito trasportato al tempo, passato ahimè da molti decenni, nel quale seguivo appassionatamente questo genere artistico, rivivendo con gli occhi della mente le memorabili esecuzioni che ne diede la nostra étoile Carla Fracci: da quella che la vide giovanissima e scattante in coppia con Eric Bruhn, per me insuperata e insuperabile, a quella pure magnifica della maturità artistica con il grande Rudolf Nureyev. Seguivo allora l’arte tersicorea ogni volta che potevo: in televisione, nei grandi teatri e nelle rappresentazioni estive che si tenevano all’aperto a Roma, dove allora vivevo. nei teatri di verzura di Villa Celimontana e dei giardini di Palazzo Brancaccio con la partecipazione di danzatori e danzatrici di grande talento, come Oriella Dorella e Margherita Parrilla. In seguito – ma il mio interesse era già attratto maggiormente da altre forme artistiche e culturali – ebbi l’opportunità di vedere alla Scala di Milano Alessandra Ferri e Roberto Bolle nel Don Chisciotte di Minkus e di assistere, nel teatro greco di Segesta, a una discreta esecuzione del Lago dei Cigni di Ciajkowskij: per quest’ultimo, ideale per me rimane l’esecuzione della mitica Margot Fonteyn anche se, quando la vidi, lei era abbastanza avanti negli anni, ma pur sempre bravissima e, direi, unica. La mia danzatrice preferita era Ekaterina Maximova che, con il suo aspetto da bambina, era l’interprete perfetta di Lo Schiaccianoci. Tra i danzatori apprezzavo molto anche il marito di lei, Vladimir Vassiliev, eroico nella sua interpretazione di Spartacus e il grande Baryshnikov. Indimenticabile il balletto degli zingari nell’opera Carmen di Bizet, che vide danzare insieme Maximova e Vassiliev.Quanti balletti ho visto, allora! Da Coppelia di Delibes con il suo tema della bambola animata dal mago come nell’opera Les contes de Hoffman di Offenbach, a La fille mal gardée: da Les Silphides su musiche per pianoforte di Chopin trascritte per orchestra, allo stupendo Romeo e Giulietta ultimo balletto romantico scritto nel Novecento da Prokofiev, autore anche di Pierino e il lupo, godibile non soltanto (e forse non abbastanza) dai bambini; e ancora Le spectre de la rose balletto sulle note dell’Invito alla danza di Weber, che prende spunto dai delicati versi di Thèophile Gautier: Soulève ta paupière close/qu’effleure un songe virginal/je suis le spectre de la rose/que tu portais hier au bal; e poi La morte del cigno su musica di Saint Saens e tanti altri. Ma dopo questa disordinata rassegna di celebri balletti, che non esaurisce certo il vasto patrimonio di tale genere artistico e neppure tutti quelli che ho visto, voglio tornare a Giselle per spiegare meglio perché resta il mio balletto preferito. La sua musica, benché gradevole e facilmente fruibile, non è certo del livello di quelle per balletto scritte da grandi artisti come Ciajkowskij, ma proprio questo è il punto: queste ultime finiscono per sovrastare troppo la parte danzata che rimane in sottordine, nei grandi allestimenti teatrali anche rispetto alle fastose scenografie che finiscono per polarizzare troppo l’attenzione dello spettatore. Per altro verso, nei balletti costituirti da una serie di quadri staccati o uniti da un filo troppo tenue, la danza rischia di divenire un’esibizione virtuosistica, sempre bella ma non coinvolgente. Invece in Giselle è proprio la trama narrativa, convenzionale quanto si voglia, che regge l’intero discorso proprio perché trova una perfetta rispondenza nella musica, dalla solita festa al villaggio del primo atto (topos fisso dei balletti, in alternativa con la festa al castello) al dramma della morte della fanciulla malata di cuore; dal dolore del principe Albrecht che se ne era innamorato e che in uno scenario cimiteriale notturno va a piangerla sulla sua tomba. al suo vederla risorgere come fantasma e difenderlo dalle Villi, le fidanzate morte che, guidate dalla regina Mirta, vogliono farlo danzare fino a morire; e infine l’alba, nella quale lo spettro di Giselle sparisce lasciando il principe Albrecht prostrato in corpo e spirito, ma salvo. L’atmosfera romantica spinta data dalla semioscurità notturna pallidamente rischiarata dalla luna, nella quale spiccano i costumi bianchi e fluenti delle danzatrici, lunghi come è proprio del tutu romantico a differenza di quello corto neoclassico, che con la loro bianchezza spettrale danno vita a quello che è stato denominato ballet blanc. Chiudo con una frase di una mia segretaria di un tempo, che aveva studiato a lungo danza classica frequentandone l’ambiente, ma era stata costretta a lasciare per un sopravvenuto problema fisico, A un interlocutore che non apprezzava l’arte tersicorea, replicò: non si può affermare che il balletto in sè non piace, ma solo che ci sono balletti fatti bene e altri fatti male.