LA POESIA HAIKU

(Carla Amirante)

Gli haiku (俳句 [häikɯ]) sono dei componimenti poetici nati in Giappone nel XVII secolo, formati da solo tre versi secondo lo schema di 5/7/5 morae o suoni (on in giapponese) e non sillabe, come spesso detto. Ogni haiku si presenta come una poesia “non finita” perché le parole sottintese sono più importanti di quelle scritte, in modo che chi legge possa completare la poesia secondo la sua sensibilità e così farla sua.  Lo haiku deriva dal hakai no renga, una poesia di gruppo, lunga un centinaio di versi, che inizia con una “strofa d’esordio”, detta hokku, (発句), per indicare una stagione. Il genere haiku, nonostante fosse già molto noto e diffuso in Giappone, deve il suo sviluppo tematico e formale, durante il periodo Edo (1603-1868), grazie all’opera dei poeti Matsuo Bashō, Kobayashi Issa, Yosa Buson. In seguito, verso la fine del XIX secolo, Masaoka Shiki (1867-1902), anch’egli poeta e scrittore, coniò per questa forma poetica il termine haiku, la forma contratta dell’espressione haikai no ku (俳諧の句), il “verso di un poema a carattere scherzoso”. Ma per comporre poesie  in questo stile difficile ed affascinante  devono essere osservate alcune regole che in pratica sono molte, ma quelle essenziali da applicare sono il kigo e il kireji.  Il kigo (季語 “parola della stagione”) rappresenta per i poeti di haiku, gli haijin 廃人, il tema principale ed il cuore stesso del componimento poetico; esso è il riferimento stagionale, l’accenno alla stagione a cui si riferisce la poesia e può essere un animale (come la rana per la primavera), un luogo, una pianta, ma anche un evento o una tradizione, come i fuochi d’artificio in estate. Il Maestro giapponese Seki Ōsuga (1881-1920), spiegando il kigo, disse che il richiamo alla stagione rappresenta quel sentimento che emerge dalla semplice osservazione e contemplazione della dignità naturalistica, e proprio qui risiede l’interesse nei confronti della poesia haiku, laddove ogni cosa è armonizzata e ricondotta ad unità attraverso questo stesso sentimento. Per la loro importanza, in Giappone, sono stati redatti dei cataloghi chiamati saijiki 歳時記 (“antologia delle stagioni”) con i riferimenti divisi per stagione ed in sette sezioni: Stagione, Fenomeni celesti, Fenomeni terrestri, Eventi, Vita umana, Animali e Piante. Il Kireji, 切れ字 (“parola che taglia”), è una cesura, un rovesciamento che può essere indicato da un trattino, una virgola, un punto, ecc., ma che nella lingua giapponese viene resa da categorie di parole non traducibili in italiano, come ya や, kana かな e keri けり. Il kireji  indica al lettore un ribaltamento semantico o concettuale, un capovolgimento di significato che può stare tra il primo e i due versi seguenti, oppure in qualsiasi altra posizione, ma la tradizione poetica vuole che tale stacco (kiru 切る) venga preferibilmente collocato al termine del primo o del secondo verso. Questo rovesciamento semantico è il segno della riuscita dello haiku, mostrando la complessità del sentire poetico con un salto d’immaginazione tra concetti e immagini apparentemente distanti. Ecco degli esempi:

in un antico stagno / una rana salta / splash d’acqua

古 池 や 蛙 飛 び び む 水 音

furu ike ya / kawazu tobikomu / mizu no oto  (Matsuo Bashō)

In questo mondo –  anche la vita della farfalla –  è frenetica

世の中や蝶の暮らしも忙しき

(yo no naka ya chō no kurashi mo isogashiki) Kobayashi Issa

 

La luna piena  –  Si innalza, ondeggiano  –   Le spighe di susuki

名月の/出るやゆらめく/花薄

Meigetsu no/deru ya yurameku/hanasusuki (Masaoka Shiki)

 

  Questo stile letterario pone al centro della sua creatività soprattutto la descrizione della natura fornendo di essa, con un breve giro di parole, una folgorante immagine; ma accanto alle immagini naturistiche i suoi poeti possono anche interessarsi ad avvenimenti umani collegati ad essa. Il risultato è che ogni haiku è una piccola opera perfetta nella sua essenzialità e si presenta come un hortus conclusus di immagini, concetti, idee e sentimenti, offrendo così una lettura suscettibile anche di profonde meditazioni capace di esaltare, ma anche divertire o commuovere. Quello che più si  nota in questi brevi componimenti è il tono sincero e immediato che li caratterizza; si apprezza questo stile che rimanda alla freschezza e alla semplicità d’animo del Poeta, il quale che, nel vergare i versi, mostra  tutta la sua sensibilità davanti allo spettacolo grandioso della natura e del mondo, e manifesta tutta la sua meraviglia e il suo stupore di fronte al mistero della vita. L’interesse per questa antica forma poetica giapponese è da tempo già praticata anche in Italia da grandi poeti o è fonte d’ispirazione per essi (ne citiamo i più noti: D’Annunzio, Ungaretti, Quasimodo). Ma le sue regole dell’hokku, del kireji, che è il taglio in due parti dell’opera per fornire due concetti, sono già state parzialmente contraddette nello stesso Giappone e ancora di più quando tale forma poetica è approdata in Occidente, che aveva un’altra grande tradizione poetica ed una diversa stuttura linguistica. Si è voluto ugualmente osservare nei  componimenti queste regole pur con degli inevitabili adattamenti e si è riuscito così a creare   composizioni dalle immagini incisive e correlate ad altre fonti di ispirazione.

 

 

 

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