LA MODA MASCHILE

(Francesco Paolo Rivera *)

E’ interessante l’argomento che si andrà ad esaminare sia per le notizie giunteci sulla “moda maschile” del settecento a Palermo, ma soprattutto per avere conoscenza di tutti gli interventi governativi e, addirittura, del Re in persona, per effetto della nuova moda e per le conseguenze, anche penali, che l’adozione della nuova moda comportò. Preliminarmente si pone un interrogativo: come mai, la cronaca dell’epoca si è interessata moltissimo della moda femminile e pochissimo di quella maschile? … come mai esistono molti articoli e molti scritti, sulla moda della donna, spesso umoristici e ironici, anche sotto forma di piccoli componimenti poetici? … forse perché i cronisti di quell’epoca erano tutti uomini … o, perché la nuova moda femminile di quell’epoca era ritenuta meno pericolosa di quella maschile, dal punto di vista politico? Nella prima metà del XVIII secolo, a Palermo la moda maschile rimase inalterata: parrucca incipriata, un magnifico giamberdone (1) denominato anche giammerica (2) dalle candide e pieghevoli maniche con “dentelles” (3), panciotto che si slargava verso il basso, calzoni di raso a mezza gamba, calze di seta (4), scarpine con fibbie di argento o d’oro, cappello a tre punte ornato di trine, che, spesso, per ostentazione (jattanza) veniva affidato, durante la passeggiata, nelle mani di un criato (5). Nobili e civili andavano armati di spadino e tale abitudine era comune anche ai popolani.

Il Vicerè Caracciolo non vedeva di buon occhio “i collegi delle arti” (le corporazioni delle arti e mestieri) e cercava l’occasione per smembrarli. In occasione della processione dei Ceri o della Madonna dell’Assunta del 15 agosto 1782 un maestro dei gallinai, a seguito di un litigio, fu pugnalato … tale avvenimento funestò lo spettacolo religioso. Era questa l’occasione che il Vicerè attendeva per assumere dei provvedimenti: e infatti emanò il bando: “niuno degli artisti e degli individui delle maestranze che esercitano arti meccaniche, servitori di livrea, eziandio qualora non vestono livrea, e qualunque altra persona del volgo inferiore, possa da oggi 26 dicembre 1782 innanti portare al fianco o in altra guisa, spada di qualunque misura e forma, sciabole, sciabolette, guardafreni (era una specie di spada), squarcine (coltellaccio con lama larga e ricurva) o altro genere di armi, ancora quando fossero vestiti di giamberga, sotto le pene contenute …”. E, in conseguenza dell’abolizione delle armi per tutti gli artigiani, ordinò la graduale soppressione dei vari collegi (6). Il primo fu soppresso il collegio dei macinatori, il secondo quello dei Lombardi. che venivano a vendere “grasce” (generi di vettovagliamento), il terzo quello dei bordonari (mulattieri), il quarto quello dei cocchieri … e malgrado il Caracciolo, ultimato il suo mandato di Vicerè, fosse andato via da Palermo, la soppressione continuò per opera del suo successore. Oltre allo spadino i nobili e i civili portavano un bastone ornato di fiocchi di seta e di oro, preziosi ciondoli d’oro appesi alle catene che pendevano dalle tasche del panciotto e l’orologio d’oro (7).La moda maschile non subì modifiche per quasi tutto il settecento, fino a quando, nell’ultimo ventennio del secolo, i giovani, secondo la rigida moda inglese, iniziarono a indossare abiti scuri, pantaloni di pelle e stivali e portavano, sulle chiome rialzate, cappelli tondi. La biancheria divenne semplice, si abolirono i merletti, portavano un bastone nodoso e di abitudine tenevano le mani in tasca (8). Così come avvenne in Francia, anche a Palermo, nacquero reazioni a tale nuova moda. Il 29 marzo 1798 il Presidente del Regno (Filippo Lopez y Rojo, Arcivescovo di Palermo e di Monreale) spediva al P.pe Fabrizio Ruffo di Castelcicala, ministro della Real Casa di Napoli, il seguente rapporto segreto circa la maniera del vestire in Palermo e tendente a ottenere dal Sovrano l’autorizzazione a farlo cessare.  “ Ecc.mo Signore, corre qui voce costante che siasi da S.M. risoluta e ordinata in codesta Dominante la riforma del vestire, e di certi tratti esteriori, inconvenienti alla vita e al costume di buoni cattolici e di fedeli sudditi del Sovrano. Se ciò sia vero, avrei sommamente caro che la M.S. si degnasse di far qua arrivare e pubblicare la stessa Legge, perché lo stesso disordine si è qui da qualche tempo introdotto, ed è allignata e cresciuta a segno, l’indecenza e la uniformità del vestire e dell’abbigliarsi, o per meglio dire del trasformarsi, che non può tollerarsi senza raccapriccio e ribrezzo (e quantunque si procuri coonestare come semplicità di animi, pure fanno sospettare fellonia di cuori fazionarj e settarj. Nella lubricità del vestire, e dei tratti esteriori, vi è tanta impunità, e si è giunti tanto oltre , che dichiarandosi e infami e irregolari, si permette talora una ostentazione si smodata e lasciva, che non può rimirarsi senza orrore). Io, diverse volte, me ne sono querelato pubblicamente e non ho lasciato di riprendere la indignità dello scandalo, ma non sono giovati né i miei risentimenti, nè le mie ammonizioni. Sarà perciò proprio delle paterne cure di S.M. di trovarsi riparo a questo disordine, e di prefiggervi pronto ed esemplare castigo, anche sul riflesso che la stessa apparenza di uomini sì sconsigliati risveglia in ognuno la idea del giacobinismo e dell’infame detestabile libertà. Prego V.E. a sollecitarmi da S.M. questa providenza analoga a quella, che si dice essersi costà promulgata.” Non tardò ad arrivare la risposta dell’Arcivescovo Filippo Lopez y Royo, il quale, il 16 giugno successivo, comunicò ufficialmente che il Sovrano, avendo appresso con dispiacere l’abisso introdotto e assai attualmente aumentato che la gioventù si trasformasse con strane e singolarissime pettinature, con abiti strani e bizzarri e talvolta indecenti con iscandalo de’ buoni e con proprio vitupero e disdecoro, e lo proibiva severamente. Ordinava ai nobili di vestire decentemente e di pettinarsi moderatamente, per esser d’esempio agli altri, … “la moderazione è nelle parrucche e nella cipria” … e ricordassero le riflessioni fatte … “dal Presidente del Regno ai nobili, nel giorno che si erano presentati all’udienza in “varvitti””.Il 6 marzo 1799, al fine di eliminare questa nuova moda dei giovani palermitani, il Re Ferdinando IV, a mezzo del Ministro P.pe del Cassaro, fece comunicare al Capitano Giustiziere P.pe di Torremuzza … che non potendo più tollerare di vedere, nei luoghi pubblici, l’uso di calzoni lunghi, senza legaccie e di calze, brache e di calzoni … detti alla pantalona, … le barbette difformare le fisionomie e certe strane singolarissime maniere di coprirsi la fronte con capelli senza polvere di Cipro … le quali trasformano il volto e che in siffatto modo disdicevole … si ardisce di andare anche nelle chiese … minacciava ai contravventori le pene della Giustizia. Ma era un predicare al vento. (10). Il Capitano Giustiziere, P.pe di Fitalia convocò nel suo palazzo tutti i parrucchieri e i sarti della Città e, ordinò loro di non tagliare i capelli in modo da coprire la fronte e di non confezionare calzoni lunghi, pena il carcere, e di denunciare coloro che facessero richiesta del taglio e delle confezione nella foggia vietata dal Re. Ma era appena iniziato il XIX secolo, che, il 18 gennaio 1800 al Teatro di Santa Cecilia, pieno zeppo di spettatori, con la presenza del Re, della Regina e di tutta la Corte, un giovane di circa 30 anni (Francesco Perollo da Cefalù, figlio di Emanuele Perollo Cavaliere Costantiniano (11) ed ex Senatore di Palermo) acconciato e vestito secondo la nuova moda, si diresse impettito verso la platea. Il Re, avendolo notato, lo fece portare al suo cospetto, gli chiese come si chiamasse e chi fosse suo padre … e lo apostrofò “E hai l’ardire, villanaccio impertinente, di comparire in pubblico coi capelli sulla fronte e quei pantaloni fino ai piedi?” … quindi. lo fece portare in carcere, e la mattina successiva, ai Quattro Canti in presenza di folto pubblico, il reo di moda sediziosa, legato al cavalletto subì dal boia la recisione del codino e delle fedine (12), e spogliato del vestito e dei gambali (che vennero gettati via), venne condotto in carcere, ma non in quello dei nobili e dei civili, ma alla Vicaria, il carcere dei plebei. Ma è chiaro che il Re Ferdinando aveva un vero culto per il codino e per la cipria, (era infatti convinto che “la moderazione era insita nella parrucca e nella cipria”) e una vera avversione per i pantaloni e per le fedine, ma la avversione, alla nuova moda, sua e della Corte, era anche e sicuramente nata per l’avvento delle nuove idee di libertà e di giacobinismo provenienti dalla Francia, e per tutto il tempo in cui risiedette in Sicilia, vide nei cultori della nuova moda, dei terroristi, dei repubblicani esaltati e, come tali, li perseguitò sottoponendoli alla rasatura del capo e del viso, condannandoli al pubblico dileggio. Altro esempio della avversione reale alla nuova moda si ebbe quando don Giuseppe Ruffo, fratello del Principe di Scilla, ritenuto servitore fedele del Re (aveva abbandonato patria, beni e famiglia per seguire il suo Re in Sicilia), uomo di bell’aspetto non sospettabile di ideali repubblicani né di demagogia, si presentò con grandi barbette e capelli senza cipria e abbigliato secondo la nuova moda, al ballo al quale era stato invitato, a Mezzomonreale, dal P.pe di Trabia, festa alla quale partecipava tutta la Corte. Il Re, accortosi della presenza di quell’uomo vestito in quella foggia, tentò di strappargli con le mani le fedine, e in tono sicuramente “poco reale”, urlando, lo definì “Porco, Briccone!”, e, se non fosse stato per l’immediato intervento della Regina, in suo favore, chissà che cos’altro avrebbe fatto.

………

(*) Lions Club Milano Galleria matr. 434120

(1) finanziera o redingote, denominata anche “sciamberga”, era una specie di casacca, introdotta in Spagna dal duca di Schomberg;

(2) la prima strofa di una canzone popolare dedicata da un innamorato squattrinato alla donna del cuore

“Non è possibile mia cara Lisa,

putiri nesciri senza cammisa

e mancu pozzu, caruzzo caru,

pirchì li scarpi si spurtusaru,

senza giammerica o Lisa mia,

nun pozzo venire mancu ni tia …”

(3) le maniche erano guarnite da un piccolo bordo spesso di merletto, che si cambiava non appena si annerivano. Nel caso di lutto, nel primo mese la casacca era di “rattina o ratina” (tessuto di lana a pelo lungo) senza merletti alle maniche, nel secondo e terzo mese era di panno, nei mesi successivi il lutto diventava meno rigoroso;

(4) si ha notizia che a Palermo, nel 1775 esistevano numerosi “conza calze” di seta;

(5) individuo che viveva e lavorava nella casa del padrone;

(6) Naturalmente la soppressione portò, in città,  una mezza rivoluzione, i manifesti che riportavano il bando vennero stracciati, ma il Governo fu irremovibile, molti di coloro che li laceravano finivano in carcere, e persino il Console degli Spadai, che lamentava le conseguenze per la perdita del lavoro per gli associati, venne messo perentoriamente a tacere dal Vicerè;

(7) l’orologio lo si chiamava “mostra” (dal francese “montre”) ed era oggetto di sfoggio. Un avviso pubblicato sul giornale palermitano del 1794 “S’è perduta una mostra d’oro, montata alla francese a quattro quadranti, dei quali quello che denota li giorni del mese, ha li numeri scritti in oro sopra striscia blò, come lo sono quelli dell’altro quadrante, che mostra le ore e li minuti, e che ha tutti li numeri in cifre. Tiene annessa una catena d’oro di Napoli, nel cui centro è dipinto un bastimento in ovale che comparisce da ambedue le parti sotto cristallo. A chi la porterà, anche per via di confessione, allo orologiaio sotto la casa del signor Marchese di Geraci, saranno date once quattro di mancia.”  La cronaca, però, non dà notizia alcuna circa il ritrovamento dell’orologio!

(8) salutare una persona, chiacchierare era considerato indegno della loro società.  Un giovane sorpreso a indossare biancheria con i merletti, fu aggredito dai suoi coetanei che gli strapparono la biancheria di dosso e lo allontanarono, senza rivolgergli la parola. Johanne Heinric Bartels, scrisse, nel suo Briefe uber Kalabrien und Sicilien, “… io spero che questa mania, così contraria all’indole del popolo, non duri a lungo altrimenti il palermitano diverrebbe un essere pesante e incivile …” Tuttavia questa mania, restò tale … perché “così fanno pure gli inglesi” e coloro che la adottarono come regola di vita furono denominati “ntunati” (per denotare persona che non intende conoscere o sapere);

(9) secondo l’archivista dell’Archivio di Stato di Palermo, Francesco La Mantia, pare che il periodo tra parentesi e sottolineato della suddetta lettera, contenuto nella minuta, sia stata omesso dalla lettera ufficiale; inoltre, dal tenore della lettera si denota che sia la moda inglese, che gli atteggiamenti assunti dalla gioventù palermitana, fossero copiati da quello che succedeva nella capitale, Napoli, ed erano stati oggetto di intervento repressivo in quella città; ma ciò che appare più chiaro è, che non erano i cravattoni, le camicie, i calzoni lunghi e gli stivali, i capelli corti e non più incipriati e le barbe appena accennate, ad allarmare i governanti, ma gli atteggiamenti assunti dai giovani, di chiara provenienza giacobina, che potevano mettere in pericolo il Regno;

(10) pochi giorni dopo, l’abate Cannella, vestito secondo la nuova moda, venne catturato e relegato nel Convento dei Cappuccini;

(11) trattasi del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, un ordine religioso, cavalleresco, ecclesiastico di collazione (conferimento di un beneficio ecclesiastico), legato alla Casa dei Borbone-Due Sicilie ancora esistente e riconosciuto anche dalla Santa Sede;

(12) basette prolungate fino al mento.

 

 

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