L’ALETHEIA

(Francesco P. Rivera *)

La “imprevedibile” (1) Amica Gabriella Maggio, nell’editoriale di aprile del n. 99 del Vesprino di luglio/agosto 2018, firma un interessantissimo articolo su un argomento che sicuramente stimolerà la curiosità e l’interesse del lettore.Al fine di definire il rapporto tra conoscenza e democrazia, contro la minaccia di informazione falsa, l’Articolista apre la ricerca sui concetti di verità e di falsità, auspicando le condizioni adatte a creare un ambiente favorevole al rispetto della stessa, apre – cioè –  il dibattito sui “diritti aletici”. Che cosa ci ricorda la parola greca “aletheia” … ? sicuramente ci ricorda gli anni liceali di studio … l’antica Grecia (… quasi odiar mi fece il divo Omero …), e i grandi filosofi del passato … ma soprattutto fa venir voglia di fare una ricerca sia per riportare alla memoria un argomento confutato da circa duemilacinquecento anni, dai grandi pensatori del passato … Socrate, Platone, Aristotele, … ma anche di ricercarne la sua attualità, … e considerato che l’argomento è, ad oggi, ancora oggetto di discussione tra gli studiosi, perché non partecipare questa breve ricerca a quei lettori che hanno la medesima curiosità … senza l’intenzione di voler fare sfoggio di cultura, nè di volere intervenire nei dibattiti filosofici, che partendo dalla filosofia dell’antica Grecia sono arrivati ai giorni nostri. La parola greca che campeggia nel titolo corrisponde alla parola italiana “verità”. I greci intendevano, però, per “aletheia”, ciò che era stato “disvelato”, strappato alla velatezza, il vero è quindi, per il pensatore greco, qualcosa che si “è liberata del velo”. La dissertazione filosofica nasce dal dialogo di Platone denominato “Cratilo”,  dialogo intercorso tra Socrate, Ermogene e Cratilo  intorno al problema della correttezza dei nomi, e viene messo a parte delle teorie  di cui sono sostenitori. Cratilo afferma che i nomi delle cose rispecchiano la realtà, Ermogene invece ritiene che i nomi siano arbitrari, decisi dall’uso e dalla convenzione.Socrate, confuta la tesi di Ermogene, sostenendo che i nomi rappresentano una qualcosa dell’oggetto a cui si riferiscono. Il “Legislatore” (2) che per primo adoperò i nomi, non possedendo una opinione corretta delle cose, non ebbe la possibilità di apprendere, tramite i nomi, perché ancora non inventati, e quindi creò nomi corretti basandosi sulla natura delle cose. Cratilo, in opposizione alla tesi di Socrate, spiega che il nome è sempre giusto perchè è della stessa natura delle cose che si descrivono; il nome sbagliato non è un vero nome. Dal canto suo, sostiene che è impossibile dire che il nome e la cosa a cui si riferisce siano la stessa cosa, se si ammettesse la tesi socratica, si dovrebbe ammettere la esistenza di nomi errati e nomi giusti. Se gli uomini conoscono e apprendono la natura delle cose attraverso il linguaggio, è evidente che non potrebbe esistere alcuna conoscenza se i nomi non fossero della stessa natura delle cose. Socrate obbietta che il “legislatore”, che per primo adoperò i nomi, non aveva avuto la possibilità di apprendere attraverso i nomi in quanto non erano stati ancora inventati, e gli errori fatti dimostrano che alcuni nomi non erano corretti. Esiste, sempre secondo Socrate, un modo migliore per conoscere, non attraverso i nomi (perché questi ultimi si prestano a molteplici interpretazioni) ma attraverso le cose stesse.  A questo punto i due filosofi Cratilo ed Ermogene, non convinti delle affermazioni di Socrate, si allontanano. Ricapitolando,  la teoria espressa da Ermogene, (“teoria Sofistica”), secondo la quale “se l’uomo è misura di tutte le cose” ogni tipo di nome si adatta a seconda delle condizioni poste dall’uso: “il nome è giusto perché i primi a denominare le cose furono gli Dei, che, essendo esseri perfetti, assegnarono nomi perfetti alle cose. Non esistono nomi sbagliati ma “nomi e non-nomi”; la teoria di Platone, la cui concezione del linguaggio è fondata sull’ontologia (5), “bisogna che esista una natura al di fuori del nome perché esista una nominabilità”, senza la quale sarebbe inutile nominare, perché non ci sarebbe nulla da indicare. Questa teoria elaborata da Platone, – proprio in conseguenza del “dialogo di Cratilo” – , viene definita “teoria del linguaggio” o “teoria delle idee immutabili”; una essenza stabile nella natura, che rimanga uguale e inalterata nel tempo e che renda valida la nominabilità stessa; la teoria di Cratilo, “non esiste alcuna conoscenza al di fuori del nome”,  è la “teoria del dialettico” (la nuova concezione del linguaggio elaborata da Socrate): il dialettico conosce la natura delle cose in maniera approfondita e quindi conosce il nome corretto da attribuire a ognuna di queste cose. Secondo Aristotele, Cratilo si sarebbe convinto che non si dovesse nemmeno parlare e si limitava a indicare le cose con un dito. Nel 1931-32, presso l’Università di Friburgo, il filosofo tedesco Martin Heidegger (3) tenne un corso sul tema “l’essenza della verità” che comportava una analisi terminologica per la concezione della verità (4). La verità non significa conformità a qualcosa: la verità come “svelatezza” è una esperienza del tutto diversa della verità come “conformità”. L’alhetes dei pensatori greci è l’ente costituito dalla natura, dall’opera dell’uomo, dall’agire di Dio. Il percorso alla ricerca del “vero” comincia con l’ente di cui facciamo esperienza. Se la svelatezza dell’ente circonda l’uomo è necessario che quest’ultimo si dia da fare per strappare il velo e porsi egli stesso nell’ente svelato. Solo se l’ente viene prima esperito nella sua velatezza e nel suo nascondersi, solo se la velatezza dell’ente circonda l’uomo e lo angustia nella sua interezza e nel suo fondamento, è necessario e possibile che l’uomo si metta all’opera per strappare l’ente a questa velatezza e portarlo nella svelatezza, ponendosi  così egli stesso nell’ente disvelato. Ma forse è meglio fermare a questo punto la ricerca sull’aletheia … anche perché Heidegger rivide, dopo qualche tempo, le sue posizioni su tale argomento, … ma per chi avesse la curiosità di continuarla …può rivolgere la ricerca particolarmente ai filosofi italiani Antonio Livi (ha elaborato il “concetto di logica aletica”) e Sebastiano Moruzzi (ha enunciato una nozione di verità denominata “relativismo aletico” secondo la quale “un enunciato può esprimere una proposizione il cui valore di verità può variare relativamente a circostanze che non includono solo il mondo e il tempo”) … e su tutti gli altri studiosi stranieri, interessati al concetto filosofico di “verità”; oppure sperare che la nostra infaticabile Amica Gabriella Maggio continui la ricerca, così brillantemente iniziata!

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* Lions Club Milano Galleria distretto 108 Ib-4 matr. 434120

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  • forse l’aggettivo non è molto adatto per qualificarLa …, forse era meglio “grandiosa” …: chi si sarebbe aspettato che la gentile Amica ci avesse condotto nella speculazione filosofica … e addirittura nel campo dell’aletheia … che ha impegnato i grandi pensatori da Platone ai giorni nostri ???
  • per Platone la figura del “legislatore” è la figura di colui – sia uomo che divinità – che per primo adoperò i nomi per identificare le cose. Secondo Cratilo non esiste altra conoscenza al di fuori del nome, mentre secondo Platone la vera conoscenza sta nell’essenza stessa delle cose;
  • nato il 26 settembre 1889 e deceduto il 26 maggio 1975;
  • i temi del corso riguardano le riflessioni svolte nel saggio “La dottrina platonica” pubblicato postumo nel 1988 e a noi pervenuta nell’ultimo decennio del secolo scorso.
  • studio dell’essere in quanto tale.

 

 

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