PIONEER 10

Carla Amirante

Il Pioneer 10 è la sonda che la mattina del 2 marzo 1972 si è innalzata verso l’infinito dalla rampa 36A del Kennedy Space Center a Cape Canaveral sull’isola Merritt in Florida, USA. Il suo lancio però non è stato seguito con lo stesso clamore e interesse che invece hanno avuto le altre missioni spaziali e in particolare quella dell’Apollo 11 con gli astronauti Neil Armstrong e Buzz Aldrin diretti sulla Luna. Questa navicella spaziale, non grande, nell’aspetto simile a un ragno col ventre tondo e un’antenna al centro, pesa 260 chili, è costata 40 miliardi e reca a bordo 30 chili di strumenti tra magnetometri, telecamere, contatori Geiger, fotometri, rilevatori della composizione chimica dell’atmosfera. La sonda è alimentata da un motorino nucleare, che la fa viaggiare nello spazio alla velocità di 49.198 – 132.000 chilometri orari. Ora essa è lontana dalla terra circa 10 miliardi di chilometri e non è più in contatto con noi nella quasi totale indifferenza, nonostante abbia inviato tante ed importanti informazioni sulla terra, più di 150 miliardi di segnali radioelettrici codificati dai calcolatori elettronici a bordo e ritradotti in un linguaggio intellegibile per l’uomo con i computer della Nasa. Con la scritta “End of mission”, apparsa sui calcolatori della base spaziale Ames di Mountain View, in California, è stata messa la parola “fine” al contatto e a questa  grande impresa nello spazio.

  Ormai la sonda, con una trasmittente di soli 8 watt (l’equivalente di una lampadina da frigo) e per l’enorme distanza dalla terra, riesce ad inviare informazioni sulla terra solo dopo 10 ore con segnali così deboli che non possono essere più decifrati. Così la sonda è stata lasciata andare oltre la nostra galassia, nel freddo estremo dello spazio cosmico. Ma il freddo non è un problema per essa perché i suoi strumenti ricevono  calore ed energia dal Plutonio 238, un carburante nucleare che, attraverso la disintegrazione radioattiva, dà calore ed energia elettrica sfruttando le termocoppie, dei sensori progettati per la misurazione delle alte temperature di corpi fisici, componenti e sostanze. L’impresa del Pioneer ha segnato la storia delle missioni interplanetarie e, scientificamente, è stata molto più interessante dello sbarco sulla Luna, ma meno clamorosa perché non vi sono state vite umane che rischiavano la vita. Pioneer, infatti, che doveva operare solo per tre anni, ha fornito tantissimi dati alla comunità scientifica, dati che hanno obbligato gli studiosi a riscrivere molti capitoli dei testi di astrofisica, svelando molto di più degli studi cosmogonici fatti nei secoli precedenti. Inoltre ha dato vita a numerosi records, a una stirpe di veicoli spaziali automatici ed è stata la prima macchina creata dall’uomo a percorrere le vie dell’infinito e dell’eternità. Si può dire che l’uomo con il Pioneer ha realizzato finalmente quel  desiderio antico, forse addirittura iniziato nella preistoria, di potere viaggiare nello spazio per esplorare il cielo stellato.

Con Pioneer sono stati svelati i campi magnetici interplanetari, la radioattività intorno a Giove, la struttura della minacciosa fascia degli asteroidi, lunga 280 milioni di chilometri (due volte la distanza Terra-Sole), spessa 80 milioni di chilometri, composta da detriti spaziali, alcuni piccoli come granelli di polvere, altri grossi come continenti, tra questi secondi si trova Cerere, un “sasso” irregolare lungo 770 chilometri e vasto quanto l’Europa. I detriti, intorno al Sole tra le orbita di Marte e  di Giove, in caso di urto rappresentavano per la sonda una barriera assai pericolosa da attraversare, ma questa è passata in mezzo a loro continuando a trasmettere fotografie a una distanza mai raggiunta prima. Grazie ad una tecnica innovativa messa a punto dallo scienziato italiano Giuseppe Colombo dell’Università di Padova, è stato possibile raggiungere Giove, il più grande dei pianeti del sistema solare, che dista dalla terra 750 milioni di chilometri. Con tale sistema Pioneer ha sfruttato l’enorme forza attrattiva del pianeta e con una spinta propulsiva di 72.200 chilometri orari è sfuggito al laccio gravitazionale del Sole e ha continuato il suo viaggio interstellare. Ma prima di allontanarsi dal corpo stellare la sonda, da una distanza ravvicinata, ha fotografato le sue dodici lune e la “grande macchia rossa”, l’enorme ciclone di circa 3.200 chilometri quadrati, che da più di 300 anni si trova nell’atmosfera di Giove. Essa ci ha comunicato pure che il pianeta non è allo stato solido ma è ancora a quello fluido e che probabilmente è una “stella non finita”, non avendo subito quei processi che generano le stelle, come il nostro Sole. La navicella poi, alle 5 del mattino del 13 giugno del 1983, ha superato le Colonne d’Ercole del sistema solare, il confine fissato dagli astronomi  a circa 80-100 UA dal Sole, il cui valore 1au è 149.597.870.700 m (unità astronomica che rappresenta  la distanza Terra-Sole). Da quel confine Pioneer, spingendosi nello spazio galattico, impiegherà 26.135 anni per raggiungere la stella a noi più vicina, Proxima Centauri a circa 4,24 anni luce, (un anno luce è pari a 9.500 miliardi di Km). Proxima Centauri, come il Sole, fa parte della Via Lattea, la nostra galassia che contiene 100 miliardi di stelle e ritenuta fino a 40 anni fa unica e comprensiva di tutto l’universo. Oggi invece sappiamo che l’universo è popolato da galassie distribuite in modo più o meno uniforme distanti l’una dall’altra alcuni milioni di anni luce, piene di stelle, polvere e forse pianeti come il nostro. Si stima che le galassie osservabili dalla Terra siano circa 10 miliardi e che si allontanino l’una dall’altra a velocità elevatissima, proporzionale alla loro distanza; una galassia distante 100 milioni di anni luce si allontana alla velocità di 2.000-3.500 chilometri al secondo. Pioneer, entrando in questo spazio infinito, sta forse per incontrerà forse la “Nube di Oort”, una sorta di fascia che circonda tutti i pianeti, lontanissima dal Sole e dalla quale prendono origine le comete. Le sue tappe successive, da calcolare in anni luce, saranno Resa 248, Altair e poi ancora la stella D+251.496., ma non si saprà più nulla della sua grande avventura  perché essa non potrà più inviare sulla terra altre informazioni. Il suo viaggio continuerà nell’infinito per altri 8 milioni di anni portando con sé i messaggi essenziali destinati a eventuali esseri intelligenti che vivono in altri corpi celesti. Questi messaggi, perfezionati nelle successive sonde Voyager, descrivono l’uomo nei suoi vari aspetti; c’è il disegno stilizzato di un uomo e una donna con le mani alzate in segno di amicizia; ci sono incisi su di un nastro il battito di un cuore, una ninna nanna, il pianto di un bambino, il rumore della pioggia e del vento, un saluto in 55 lingue diverse, il fischio di una caffettiera, un frammento di una poesia, il canto del Quartetto veneziano e di Louis Armstrong, infine il rombo del razzo che ha sollevato il Pioneer.

 

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