XV EDIZIONE DI ‘NATALE A PALERMO’

Carmelo Fucarino

Immaginate quattordici anni fa. Il 2008, ero appena entrato dal 17 giugno a far parte di questo Club Palermo dei Vespri (cf Vesprino, Benvenuto Carmelo), presentato dal carissimo Attilio Carioti, che meritatamente è stato commemorato in questo nuovo ciclo per la sua dinamica attività anche in questo evento coadiuvato dalla moglie Gabriella Maggio. Il 12 novembre all’auditorio del Circolo Ufficiali, nell’ambito della stagione 2009 dell’Agimus, «presieduto dall’eccezionale promotrice musicale dott.ssa Maria Di Francesco, il concerto del Trio Arté (Vesprino e ora in Palcoscenico, Thule ed. Palermo, 2022, pp. 8-10, cf. pp. 8-217, per i successivi interventi musicali). Era il mio battesimo di relatore dell’azione musicale perseguita dal nostro Club con l’impegno indefesso di Maria fino ad oggi, progetto geniale che avrebbe dato l’idea e l’avvio di Natale a Palermo (Vesprino e Palcoscenico, 23 gennaio 2010, pp.13-14 e ss.). Fu da allora l’input per me di discutere di musica e di mettere a profitto i tre anni di scuola media ove studiai storia della musica, ma anche teoria e canto, e i due anni accademici universitari, – io iscritto a lettere classiche! -, con il corso particolare di storia della sinfonia nel 1957-58 con il grande estetista e poi prof. di storia della musica a Palermo, Luigi Rognoni (Fenomenologia della musica radicale, Bari, Laterza, 1966, 1974 Garzanti, Milano). Così da quel 2010 mi cimentai con la riflessione sui protagonisti della musica classica a Palermo, orchestrale e poi esclusivamente operistica, che si è sviluppata attraverso le iniziative di Giambrone come sovrintendete del Teatro Massimo di Palermo e da un anno a questa parte e gli auguro per decenni dal nostro socio, compositore, sovrintendente e direttore artistico del Teatro, il caro Marco Betta. I primi anni nell’impegno con il ciclo del Natale a Palermo vi sono state alcune lacune. Io ero entrato da poco nel circuito, poco conoscevo dei protagonisti di questa iniziativa e poco aggiungevano le introduzioni storiche talvolta generiche, così poco capivo e sapevo, poco chiare ed evidenti mi risultavano le motivazioni di questo stretto connubio tra l’arte speciale che si espandeva nella sua varietà architettonica e pittorica delle nostre Chiese cattoliche con il quale si volle intrinsecamente e strettamente accoppiare. Forse sarebbe occorso un approfondimento tra quel tipo di arte sacra, come in ogni città italiana eccelsa, questa certo speciale perché evoluta tra stili assai variegati e nella struttura architettonica e nei dipinti di celebri immortali artisti, oscurati nei testi di arte. Per capire l’accoppiata sarebbe occorsa una più chiara collocazione nell’epoca storica, certo attraverso le ragioni di quella scelta musicale che proprio là era nata nei primi anni del Medioevo e ha avuto geni in confronto a questa civiltà ove la pittura ecclesiastica latita e le chiese si immiseriscono nel freddo cemento armato. Scuole di architetti e pittori scomparse. Nel mondo laico la musica sarebbe apparsa allora nelle Corti con altre specifiche e tonalità. come sussidio e strumento operativo della danza e delle feste. Comunque devo fare oggi ammenda per non avere dato maggiore spazio agli artisti operanti, forse per il preconcetto legato alla loro giovane età e all’inesperienza, anche perciò nella scelta di brani che si estendevano dalla ‘musica’ classica alle performances più presenti di esperienze ritmiche moderne, che in un certo verso stridevano con la grave maestosità dei luoghi mistici. Ma ancor più faccio ammenda di non avere messo in maggior risalto l’opera del maestro Gaetano Colaianni che ‘lavorava’ e lavora con pochi sussidi (anche se oggi, dato il successo si è espansa la lista degli sponsor) e il sostegno dei suoi collaboratori, come Giacomo Fanale. Oggi devo riconoscere che le mie prevenzioni sull’accoppiata chiese antiche cattoliche e musica di tipologia diversa e spesso non confacenti a quello stile e a quel luogo sacro possono convivere pur con le dovute precisazioni sulla crono-storia di quelle strutture prescelte. Ritorno alla innata prevenzione e alla riflessione che oggi nella musica-archeologia, sia la cameristica sia l’opera lirica ferme all’inizio del Novecento, così come il teatro moderno, peggio ancora con il teatro classico, greco e latino, pura archeologia, occorre sottomettersi alla dura lex, sed lex, del pubblico, lo spettatore eterogeneo e dominus assoluto dello spettacolo di ‘consumo’ protagonista, variante sempre esistita anche ai tempi di Euripide rispetto ad Eschilo, o a quello di Terenzio rispetto a Plauto. Lo spiega chiaramente questo ‘Natale a Palermo’ con la prima serata alla Cattedrale strapiena, il 26 dicembre postnatale. Inaugurale in diversi sensi, perché protagonista alla prima prova pubblica l’Orchestra Sinfonica Rotary Palermo Est, perché le musiche sono le più note dei geni, Bellini, de Sarasate, Mascagni, Charles Camille Saint-Saëns, Schubert, perché offerti dai due fratelli solisti, “violini parlanti”, come li ha denominati qualcuno, Gianni e Manuel Burriesci di Paceco, e summus in fundo, la direzione del maestro Gaetano Colajanni, eccezionale direttore e creatore del progetto. Opposto ed in altra dimensione e cronologia, ma soprattutto in scelta artistica musicale la serata del 28 dicembre, dedicata alla sovrabbondante e straordinaria Chiesa della Pietà alla Kalsa con il Meraki Quartet (flauto, Giusy Pellegrino pianoforte Giovanna Mirrione, Ceo Toscano violoncello e Antonino Veneroso chitarra), alunni dell’Istituto Comprensivo “Pagoto” di Erice. Ma se cercate in Google troverete una miriade di quartetti con tale nome da Berkley, California, archi, a Singapore, Michigan con sassofoni donne alla svedese Malmö. Avvia Toscano con un suo brano (ne presenterà un altro dopo) e a seguire Ortolano (padre?), il brasiliano di Rio Villa-Lobos, Foderà, lo spagnolo Tarrega e l’onnipresente argentino Astor Piazzolla, che a Buenos Aires ha un teatro esclusivo ove ho avuto il piacere di ascoltare solo sue melodie.

Ecco le due scale antitetiche di valori architettonico-museali che si oppongono e integrano nelle dieci serate. Chi ha preferenze di stili, dal classico al moderno, metal ed altro, può scorrere e analizzare il catalogo. Io in approccio espositivo del progetto, dopo i cenni sui due programmi musicali voglio dedicare uno spazio anche se sintetico allo scenario che accoglie le note. Tralascio ovviamente nella solenne inaugurazione di questa serie la Cattedrale, troppo nota e visitata e vi presento in linee generali, per dire a volo di uccello, il gioiello barocco della chiesa di Santa Maria della Pietà, a un centinaio di metri e nello stesso lato di via Torremuzza della più celebre Santa Teresa nel quartiere arabo della Kalsa, ove l’Ammiraglio normanno vendeva all’asta i tunisini catturati in Africa. Sono opere entrambe dell’architetto Giacomo Amato (Palermo, 1643-1732) dell’Ordine dei Crociferi, progettista delle ristrutturazioni del prospetto e anche dei rifacimenti interni, in ‘barocco fiorito’ e collaboratore di molteplici artisti, scultori ed architetti. Si era formato a Roma alla scuola di Carlo Rainaldi e aveva collaborato alla costruzione della Chiesa romana della Maddalena. Tornato a Palermo era stato allievo di Paolo Amato di Ciminna (1634-1714), incaricato di progettare carri e apparati effimeri per la festa di Santa Rosalia ed anche decorazioni; per lui lavorava un’équipe di marmorari e scalpellini e spesso arricchì le sue opere con spettacolari decorazioni a commessa. Nella seconda metà del XVII sec. costruì la chiesa teatina di San Giuliano con annesso monastero, abbattuta in età borbonica nel 1875, per dare spazio al Teatro Massimo. A lui si deve anche la realizzazione nel 1698 dell’edicola del Genio del Garraffo  (cf. il  mio Genio Palermo, Ed. Thule, Palermo, 2017). Santa Maria della Pietà, voluta dalle monache di clausura (1678-1684), si presenta nella maestosità dalla sua facciata, un mix di primo barocco palermitano e barocco romano e trova slancio e movimento nel doppio ordine sovrapposto di sei simmetriche colonne di marmo grigio di Billiemi con armoniosi capitelli corinzi, così nelle colonne binate centrali che danno dinamicità al variegato prospetto in conci di tufo. Poi si staglia nell’armonica sovrapposizione nella facciata in pietra la doppia elevazione e la decorazione in marmo di Billiemi. Poi il portale centrale sormontato dal timpano ad arco a sesto ribassato, che racchiude uno scudo in stucco caratterizzato dalla presenza dell’emblema dell’Ordine Domenicano, sovrastato da una conchiglia (capasanta), affiancato da una coppia di volute con foglie d’acanto ed incorniciato da due rami di palma. Sopra al centro della facciata la vittoriosa statua marmorea di San Domenico del 1702 posta sul ‘globo’ fasciato dai segni zodiacali, ove il santo sorregge con la mano sinistra gli attributi del libro dei Vangeli ed il giglio, e con la destra il bastone con lo stendardo, simbolo dell’Ordine; segue a commento una prima teoria di statue di santi e beati domenicani in stucco dello stesso autore (Gioacchino Vitagliano), sormontate da oculi e ghirlande fitoformi. Poi il rosone in festoni di angeli e animali allegorici, e la lapide sul cornicione che reca inciso il motto: “QUASI STELLA MATUTINA IN MEDIO NEBULAE ET QUASI SOL REFULGENS SIC ISTE REFULSIT IN TEMPLO DEI”, seguito dal doppio frontone con sei acroteri a forma di vasotti fiammanti. Qui mi fermo per invitarvi, superato il vestibolo, precisamente un endonartece, in tre campate e sorretto da quattro colonne tuscaniche, sotto il coro delle monache, con affreschi del 1722 del pittore fiammingo Guglielmo Borremans con Scene di vita e di prodigi di Santa Caterina da Siena e San Domenico ed Effigi di sante e beate dell’Ordine domenicano, a fissare il miracolo frontale dell’altare maggiore, in stile neoclassico, fine XVIII prima metà del XIX sec. in marmi policromi. La mensa eucaristica è sostenuta da quattro angeli in legno dorato, genuflessi, due dei quali indicano l’urna delle reliquie, al centro dell’altare, sul quale risplendono tre per lato preziosi candelieri in legno dorato di stile neoclassico. Al centro il tabernacolo, uno dei più belli e preziosi di Palermo: è interamente composto da pietre dure (agate, lapislazzuli, ametiste, diaspri) e marmi (giallo di Castronovo). Anche lo sportellino è costituito da uno sfondo in lapislazzuli su cui è posto un cuore di diaspro avvolto da fiamme e attraversato da una corona di spine, sormontato da una croce anch’essa in diaspro, costellata da perline e da rubini. Sopra lo sportellino il cartiglio rosso con l’iscrizione a caratteri d’oro: “Hic est Filius meus dilectus“, a commento della soprastante figura in bronzo dorato del Padre Eterno, tra nubi e puttini, che regge sul palmo della sinistra il globo e con la destra indica il tabernacolo. Questo è sovrastato da un tronetto eucaristico con colonnine marmoree di stile corinzio e putti in bronzo dorato che sostengono il culmine a corona; nel tronetto un settecentesco piccolo crocefisso ligneo policromo. E poi alzando il capo la vista della volta ci fa barcollare con gli stucchi di Giacomo, Giuseppe e Procopio Serpotta, familiari e Pietro Aquila e tanti altri nell’alternarsi di ghirlande di fiori e frutta, putti ed angeli in gaudio, tra il bianco e il nero, trasecolare al maestoso affresco che rappresenta ‘Il trionfo dell’Ordine Domenicano’, diviso in 32 scomparti tra il 1708 e il 1712 dal pittore Antonio Grano, ancora su disegno di Giacomo Amato. Ci vorrebbero pagine e pagine per descrivervi le cappelle dei Padri della Chiesa, della Madonna del Rosario, del Santissimo Crocifisso, a destra. Al centro sovrasta l’altare una parete reliquaria in legno “marmorizzato” e decorazioni in argento dorato, a sinistra  la Cappella dei santi e dei beati domenicani, di San Domenico, intermezza la Canteria in stile barocco e poi la Cappella della Madonna della Pietà, le statue di Santa Rosalia e del Cuore immacolato di Maria, i simulacri lignei di Santa Rita, San Sebastiano, San Giuseppe con Bambino, in fondo un Crocefisso ligneo settecentesco, una Madonna Bambina in fasce, il busto ligneo ottocentesco di Ecce Homo. Carissimi lettori, ho detto poco e niente. Altra cosa dall’opprimente e scuro barocco di Casa Professa, vedere per credere. La musica, come un soffio di vento, come un sospiro dell’anima è andata via, ma queste meraviglie vi aspettano da secoli per riempirvi l’anima di divino.

 

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