I FASCI SICILIANI DEI LAVORATORI

Francesco Paolo Rivera *

Giuseppe de Felice Giuffrida

I Fasci Siciliani dei lavoratori, detti anche soltanto “fasci siciliani” furono un movimento di massa, sviluppatosi spontaneamente in Sicilia tra il 1889 e 1894, tra proletariato urbano, braccianti agricoli, minatori e operai, di ispirazione libertaria, democratica e socialista. “Fasci”, proveniente dal latino “fascis”, aveva il significato di un insieme di cose legate tra loro per trasportarle con facilità. Era l’armamentario simbolico del littore guardia del corpo dei più alti magistrati romani, insegna e strumento del potere di fustigare e di giustiziare dei magistrati nell’antica Roma. (1) In Sicilia, dopo circa trent’anni dalla unità del Regno d’Italia, la situazione era di un diffuso malcontento. L’economia agraria era fondata sui grandi latifondi; le promesse di redistribuzione delle terre, fatte sia durante l’impresa garibaldina che, successivamente, durante l’annessione al regno d’Italia, erano rimaste soltanto promesse, i braccianti agricoli chiedevano la concessione delle terre da parte dei feudatari, l’abolizione dei privilegi feudali, l’abolizione della mezzadria e del terratico (2). Per combattere le ingiustizie di una economia agraria fondata sul latifondo, per contrastare una monarchia assente, in nome della giustizia e della libertà, nacque il 1° maggio 1891 il movimento dei Fasci Siciliani dei Lavoratori, che in poco tempo vide l’adesione dei contadini, dei minatori e degli operai alla ricerca di risposte che il governo di Francesco Crispi non dava. Il primo maggio 1891, a Catania (sotto la presidenza di Giuseppe de Felice Giuffrida (3) fu fondato ufficialmente la prima sede dei Fasci (4) e negli altri Comuni capoluogo della Sicilia (con la sola eccezione di Caltanissetta) si costituirono le sedi (provinciali). Quello di Palermo fu fondato il 20 giugno 1892 guidato da Rosario Garibaldi Bosco (5). Il 20 gennaio 1893, cinquecento contadini, stanchi delle promesse non mantenute, decisero di andare a zappare, a Caltavuturo (Parco delle Madonie), presso il Gorgo di Sant’Antonio, le terre, possedute dal demanio comunale (6), a loro promesse. All’alba, allertati dal suono del corno del contadino Muscarello, alla spicciolata, i contadini iniziarono a lavorare la terra … appena si sparse la notizia, il comandante della guarnigione militare (ten. Guttalà), onde evitare guai, cercò di convincere i contadini, a ritornare nelle loro case e di star tranquilli … tanto la situazione si sarebbe risolta, di lì a poco, favorevolmente. Ma questi si recarono in piazza per cercare di sollecitare il Sindaco (Giuffrè) il quale, assieme ai componenti della Giunta, si era reso irreperibile. A questo punto i contadini si trovarono contro i soldati e i carabinieri della guarnigione (coadiuvati dai campieri mafiosi agli ordini dei feudatari) i quali, a seguito di una sassaiola, aprirono il fuoco, mettendo in atto l’ordine di fucilare i manifestanti, (ordine dato dal Presidente del Consiglio, Francesco Crispi.) Si disse, poi,  che l’incidente fosse stato preparato, infatti i militari e i carabinieri intervenuti avevano tentato, per ben due volte, di convincere i manifestanti (che pare non fossero in possesso di armi da fuoco) a disperdersi … il Sindaco, che avrebbe dovuto assegnare la terra ai contadini, si disse che si fosse ammalato; il primo a sparare contro la folla pare fosse la guardia Municipale Peppe Fuante (definito “tipico strumento della violenza della classe dei borghesi dei municipi”) e dato che era il giorno di San Sebastiano, in un primo momento, la popolazione pensò che si trattasse degli spari dei mortaretti in onore del Santo. Tredici i contadini uccisi (otto all’istante, cinque i giorni successivi per le ferite riportate), ventisei i feriti, le truppe impedirono ai familiari di raccogliere i cadaveri dalla strada che restarono, pasto dei cani randagi, fino al giorno dopo, e di avvicinarsi per soccorrere i feriti. Il massacro fu pubblicato dal settimanale socialista “Giustizia Sociale” con un articolo a firma di Rosario Garibaldi Bosco (5), di Bernardino Verro (7) e di Nicola Barbato (8). Nei mesi successivi si diffusero, in tutta la Sicilia, manifestazioni e proteste che culminarono nel 1893 in una insurrezione in tutta l’isola, che si concluse in violente repressioni e numerose esecuzioni di contadini, minatori e operai. Questa insurrezione fu il simbolo della sfiducia e della rabbia diffusasi nell’isola a circa trent’anni dalla unificazione d’Italia, unificazione che si era realizzata attraverso un processo anomalo di annessione da parte del Regno di Sardegna della Sicilia, che aveva ulteriormente aumentato le condizioni di sfruttamento dei lavoratori rispetto alle regioni del Nord. L’eccidio ebbe grande eco sia in Sicilia che nel resto dell’Italia. I fasci contadini si mobilitarono, venne promossa una colletta per aiutare le famiglie delle vittime (che fruttò la somma di lire duemilacinquecento che vennero distribuiti durante un Comizio il 23 aprile 1893). Molte le interrogazioni parlamentari, tra le quali quella di Napoleone Colajanni (9) che attaccò duramente il governo Crispi. Il Fascio contadino ebbe vita breve, infatti il governo Crispi lo sciolse nel gennaio 1894: tutti i capi furono arrestati e condannati dai Tribunali militari.  Solo alcuni anni dopo una parte del feudo di San Giovannello, la parte peggiore, fu suddiviso tra i contadini di Caltavuturo … un ettaro a testa!

*) Lions Club Milano Galleria – distretto 108 Ib-4

Note:                  

  • 1)Veniva usato anche per indicare associazioni che si associavano tra di loro per lo svolgimento di uno scopo comune, usato anche come nome comune di organizzazioni politiche. Il simbolo delle verghe legate assieme lo si trova anche in U.S.A. sulle pareti della “House of Rappresentatives” del Campidoglio (la Camera Bassa del Congresso degli U.S. a Washington) , sulla statua di G. Washington, inciso su monete, stemmi e medaglie di agenzie federali e sul palazzo di Giustizia negli Stati Uniti, ai lati della poltrona sulla quale è assiso A. Lincoln nella statua del “Lincoln Memorial”;
  • 2)La “mezzadra” consisteva nella concessione dal proprietario del feudo al contadino di un terzo dei raccolti. In più il mezzadro era tenuto a cedere al proprietario una parte della sua quota in cambio di protezione. Nel “terratico”, invece, il contadino aveva l’obbligo di corrispondere al proprietario una quota fissa (non più proporzionale) in natura o in denaro, indipendentemente dall’esito del raccolto;
  • 3)(Catania 1859-1920). Politico d’ispirazione socialista, fu deputato, presidente del consiglio provinciale e sindaco di Catania, sindacalista e direttore del giornale democratico “L’Unione”;
  • 4)Sotto la denominazione di “Figli dell’Etna”. E’ bene ricordare che, In maniera spontanea, si era formato alcuni anni prima (il 18 marzo 1889) un “fascio” a Messina;
  • 5)(Palermo 1806-Torino 1936) Fece parte del Comitato centrale dei Fasci Siciliani, e a seguito della repressione di Crispi fu arrestato. Fu eletto alla Camera dei deputati, e fu tra i fondatori del Partito Socialista Italiano, a Genova, nel 1892 con Turati, Albertelli, Treves, Anna Kuliscioff e altri;
  • 6)Tale terra, in origine, faceva parte del feudo (di circa 6.000 ha) di San Giovannello del duca di Fernandina, il quale ne aveva ceduto una piccola estensione (250 ha) al Comune in contropartita dell’eliminazione definitiva degli “usi civici” (raccolta gratuita, per i residenti, di legna e verdura). Però, tale terra comunale non venne mai concessa ai contadini per la libera coltivazione;
  • 7)(Corleone 1866), sindacalista e politico, sindaco socialista di Corleone, nel 1915 fu assassinato, con undici colpi di pistola, dalla mafia per la sua attività sulla redistribuzione del latifondo e gli imputati furono assolti con formula piena. Nel 1893, durante una intervista, ad Adolfo Rossi, della “Tribuna” di Roma, dichiarò: “Il nostro Fascio conta circa seimila soci, fra maschi e femmine, ma ormai si può dire che, meno i signori, ne fanno parte tutto il paese, tanto è vero che non facciamo più distinzione tra soci e non soci. Le nostre donne hanno capito così bene i vantaggi dell’unione tra i poveri, che ormai insegnano il socialismo ai loro bambini.”;
  • 8)(Piana dei Greci, poi Piana degli Albanesi 1856, Milano 1923) in albanese Kola Birbati, uomo politico e medico di etnia arbereshe (storica minoranza albanese in Sicilia). Fu deputato nazionale per tre legislature, fu arrestato, sotto il Governo Crispi (anch’egli italo-albanese) e condannato, nel 1894, (quale incitatore all’odio di classe) per la sua attività politica del Fascio di Piana (su novemila abitanti, Caltavuturo aveva circa duemilaciquecento soci di cui mille donne); definito da Adolfo Rossi della “Tribuna” di Roma … uno dei Fasci meglio organizzati … di tutta l’isola”. Fu amnistiato, assieme a tutti gli altri membri dei Fasci siciliani arrestati, nel 1896, dal governo Rudinì, subentrato a quello di Crispi dopo la disfatta di Adua;
  • 9)Nato a Castrogiovanni – urbis inexpugnabilis – (poi nel 1927, denominata Enna) nel 1847 ove morì nel 1921. Quindicenne si arruolò con i garibaldini sull’Aspromonte. Fu fatto prigioniero dalle truppe governative, fu arrestato a Napoli nel 1869 per cospirazione repubblicana, si laureò in medicina. Fu consigliere comunale a Enna, poi consigliere provinciale, quindi deputato per molte legislature, fu tra i fondatori del Partito Repubblicano e, si schierò contro Crispi per lo stato di assedio in Sicilia

 

 

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