Donna e Ministeri nella Chiesa

Lo specifico apporto della donna nel servizio ecclesiale

(Valeria Trapani)

Ci appare oltremodo significativo soffermarci a riflettere sul valore dell’essere donna nell’ambito ecclesiale ed in modo preciso sulle peculiari caratteristiche che le ministerialità al femminile comportano, per cogliere la singolarità del contributo da esse offerto che non può essere confuso con quello maschile perché differente. Non si tratta di fare un discorso banalmente femminista, poiché non vi è nulla che vada rivendicato, quanto piuttosto di riscoprire l’importanza della diversità di carismi nel loro mutuo interagire.
Fin dalle origini della creazione Dio ha voluto che l’uomo e la donna vivessero in una reciprocità di relazione, capace di renderli cooperatori del piano salvifico nella loro facoltà di procreare, ossia di essere un prolungamento, attraverso la loro fecondità biologica, dell’agire di Dio nell’opera della creazione. Uomo e donna si sono così posti al servizio di Dio a partire da una propria identità in cui la dimensione sessuale diveniva una forte discriminante, ma soprattutto in uno stato di autocoscienza di sé subordinato alla percezione dell’altro. È infatti soltanto dopo la creazione della donna che l’uomo si percepisce come tale, perché di fronte all’altro da sé è capace di cogliere il proprio specifico.
Se dunque vogliamo provare ad individuare le note caratteristiche e distintive di una ministerialità ecclesiale al femminile, ci sembra che al di là di tanti luoghi comuni che vogliono assegnare alle donne delle caratteristiche ben precise e non sempre universalmente condivisibili, la vera particolarità risiede nel complesso della sua identità di donna che la distingue dall’uomo attraverso la relazione che con questi istaura.
Nel campo specificatamente ecclesiale e liturgico questa relazione ovviamente tralascia il piano fisico e biologico per innalzarsi al livello dello spirito, ma rimane identico il frutto della relazione, ossia un prodotto creato dal loro agire congiunto che scaturisce dalla fecondità di cui uomo e donna sono capaci insieme. In altre parole, ferma restando la peculiare psicologia dell’uomo e della donna, che fa sì che il medesimo ministero venga svolto efficacemente da entrambi ma con risvolti differenti, la vera ricchezza data dalla presenza delle donne nella vita della chiesa è la possibilità che esse hanno, prestando il loro servizio accanto agli uomini, di portare a compimento l’ordine della creazione stessa.
Pertanto nella serie di articoli che cureremo durante questo anno, presenteremo le differenti ministerialità femminili nelle loro caratterizzazioni, a volte anche azzardando la proposta di nuove figure emergenti e confrontando la realtà cattolica con quella del mondo ortodosso e protestante, ma sempre nella prospettiva di fondo che “non è bene che l’uomo sia solo” (cf. Gn 2,18). Diversamente da quanto è avvenuto negli anni immediatamente successivi al concilio così, terremo a precisare l’idea di fondo che il ruolo della donna nella vita della chiesa si rende necessario non in virtù della parità dei sessi (argomentazione a cui piuttosto siamo adusi ricorrere quando nella società civile la donna viene discriminata), bensì a motivo della possibilità che il confronto con l’alterità offre di comprendersi nella propria identità e quindi di esercitare in modo maggiormente consapevole e fecondo il proprio ministero nella chiesa.

PUBBLICATO NELLA RIVISTA” LA VITA IN CRISTO E NELLA CHIESA” LVIII 2
( 2009)

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