BATTISTA TRIGONOMETRICO

BATTISTA TRIGONOMETRICO, La ricchezza del cuore, San Lucido, Edizioni Albatramonto, 1970

DA “ LA DONNA CHE PARLAVA AI LIBRI”
di Dante Maffìa

Affacciata alla finestra della sua stanza la giovane poetessa, l’erede naturale di Emily, guardava pensosa davanti a sé e si chiedeva se anche gli alberi, il paesaggio, il vento hanno un cuore. Lei il suo lo sentiva battere forte ogni volta che si emozionava, ma alla scuola di scrittura creativa le avevano detto di non dargli ascolto assolutamente, perché i grandi errori della Storia sono nati tutti da quei battiti incontrollati, dalle accensioni di quel muscolo capriccioso e bizzarro. Ma davvero poi la Storia faceva errori? O erano stati sempre gli uomini ad attribuirglieli? Forse però non era il caso di mettersi a pensare tante cose; per scrivere poesie, le avevano insegnato, bastava copiare pedissequamente la realtà. Pedissequamente. Punto e basta. Come quando si scatta una fotografia, dipende soltanto dalla molta o poca luce che ravviva l’immagine. Il resto non c’è, non conta, la poesia è un riflesso di ciò che accade ogni giorno, punto e basta.
A lei però sembrava diversamente nonostante gli insegnamenti e il lavaggio del cervello del docente, che tra l’altro veniva considerato uno scrittore di fama, quel Bar Ricco che sembrava il nuovo Manzoni per come sapeva sciacquare i panni nel Po inquinato.
Erano arrivati i primi rondoni. Ormai li sapeva distinguere. Prima li chiamava rondini perché non sapeva che queste hanno il petto bianco e i rondoni invece sono tutti neri. Sfrecciavano veloci e portavano nel becco pagliuzze e insetti. Lei ne seguiva il guizzo rapido, le giravolte nell’aria e sentiva nel cuore una freschezza che si liberava e la coinvolgeva in quella danza. Una sorta di euforia dolce, che la riempiva. In quell’istante non aveva bisogno di niente altro, tutto era assommato a sé, in un’armonia straordinaria che la cullava.
Da dove le veniva quella beatitudine, quel languore che la faceva sentire parte essenziale dell’universo? Sentiva che un fuoco s’era acceso dalla parte sinistra del suo corpo, quella del cuore, e si irradiava ovunque, dai piedi alla testa, dalle mani al petto.
Sfogliando il “Corriere della Sera” due giorni prima aveva letto un articolo di Alberoni sulle ragioni del cuore. Le sembrava che ricalcasse alcuni libri di Stendhal , di Flaubert , di Ortega y Gasset letti quando era ancora una giovinetta aperta a tutte le esperienze. Da ragazza aveva fatto letture serie ed era stata contenta quando aveva visto che Armando Torno aveva pubblicato un testo in cui parlando dell’amore citava i suoi libri preferiti. I trattati sull’amore si sprecavano, ma quello di Torno faceva leva sulle capacità che ha il cuore di saper gestire l’ondata rivoluzionaria che si sprigiona nel sangue. O chissà che cosa ricordava, certo era che mai nessuno s’era sognato di voler cancellare il cuore, le sue prepotenti ragioni.
Ma quali erano effettivamente queste ragioni? E, soprattutto, le ragioni del cuore di un tempo erano uguali a quelle di adesso? Ciò che Petrarca aveva fatto intendere a generazioni di giovani, valeva ancora? O il cuore non aveva mai avuto ragioni sue proprie? A che servivano infatti i fiotti di calore, gli abbandoni che il cuore suggeriva? Era un organo come un altro, che si ammalava, che subiva i contraccolpi della fortuna e della sfortuna senza mai ragionarci sopra, facendosi prendere dal flusso del sentimento. Il cuore era un organo pericoloso che non bisognava seguire. Altro che il ritornello della Tamaro, anzi bisognava fare il contrario, non andare mai dove porta il cuore. Tutti i libri scritti su di lui lo confermavano, in fondo. O confermavano il contrario. Intanto però doveva capire che cosa veramente sono queste benedette ragioni, se soltanto una spinta al desiderio o qualcosa di più complesso; se soltanto un’abitudine dettata dai poeti o qualcosa di effimero, di vuoto, una parvenza nuvolosa che irrora la vita di illusioni o invece un pulviscolo che si apre alla luce e dispiega un rapporto inedito, un rapporto nuovo col mondo. Aveva molti dubbi nella testa. Già, nella testa o nel cuore? Ecco che ci si imbrogliava, non si raccapezzava e ritornava sui luoghi comuni senza districare la matassa.

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