TEATRO INDIGENO PRECOLOMBIANO

(Gianfranco Romagnoli)


Tra i popoli precolombiani, alcuni (come gli Incas) non conoscevano la scrittura; altri (come gli Aztechi) la possedevano nella forma embrionale dei pittogrammi; i Maya, che avevano un sistema più evoluto di simboli alfabetico-sillabici, produssero molti libri ma di essi l’inquisitore Diego de Landa fece un gran rogo sicché ne restano solo quattro codici di carattere storico-religioso, oltre a frammenti di poesia riportati dallo stesso inquisitore, che è, paradossalmente, una importante fonte relativa alla civiltà che egli stesso distrusse.
Non abbiamo, quindi, testi teatrali originali precolombiani: tuttavia, attraverso le evidenze archeologiche e da quanto riferito da religiosi spagnoli, sappiamo che, almeno presso i Maya, il teatro era molto praticato. Lo stesso Diego de Landa riferisce che «i loro attori recitavano con grande maestria»; nei loro repertori teatrali vi erano personaggi fissi satirici, come il parassita, il venditore ambulante di vasi, il coltivatore di cacao. I drammi, sempre strettamente intrecciati alla musica e alla danza, venivano rappresentati su palcoscenici eretti sia all’interno di edifici che all’aperto: a Chichén Itzà, tuttora visibili, ce n’erano due in pietra, lastricati e con quattro scalinate di accesso: uno è la cosiddetta “Piattaforma del cono”, alta venti piedi; l’altro è il Tzompatli, decorato da tutti i lati con teschi umani.
L’unica finestra che ci consente di affacciarci oggi sul teatro Maya è il dramma Rabinal Achì dei Maya Quiché, popolazione degli altipiani del Guatemala del periodo postclassico maya-tolteco. Tramandato in forma orale e recitato saltuariamente e nascostamente dagli indios per timore degli spagnoli, fu raccolto nel 1855-56 dall’Abate Brasseur di Bourbourg, parroco di Rabinal (l’antica capitale dei quiché Chichicastenango), che avendovi assistito, fece trascrivere il testo quiché in caratteri latini. Alle traduzioni ottocentesche in spagnolo e in francese si è aggiunta in anni recenti la mia versione in italiano, pubblicata a Palermo.
Il dramma, meglio definito dal primo traduttore “balletto-dramma” per la presenza di musiche e danze, è sicuramente preispanico risalendo, secondo Brasseur, al 12° secolo (ma secondo la critica più recente all’inizio del 15°); la sua forma epico-arcaica ne attesta l’autenticità. Originariamente, come si deduce da molti indizi, era di carattere sacro, ma tale carattere fu velato per timore dei nuovi dominatori cristiani, espungendo i riferimenti diretti alla religione pagana. Per fare un esempio, il sacrificio finale è compiuto da guerrieri anziché da sacerdoti: resta però il sacrificio umano del nemico, vinto in battaglia e catturato proprio per nutrire col suo sangue gli déi, come era usanza dei Maya, ed è richiamata, relativamente a vari eventi, la durata dell’anno sacro, pari a 260 giorni. Anche l’esaudimento degli ultimi desideri del condannato si riporta alla credenza del legame sacro, che lo univa a colui che lo aveva destinato al sacrificio, nonché alla conseguente convinzione che la sua persona fosse sacra e che dovesse essere onorata, perché non testimoniasse contro i suoi carnefici davanti agli déi che avrebbe presto incontrato.
Le vicende dei personaggi, eroi protagonisti di leggendarie imprese, esprimono una dimensione epica, che insieme a quella religiosa pagana, pur velata, ci trasporta efficacemente nella sfera del mito.
Sotto un profilo formale, ciò che più colpisce il lettore è la sorprendente similitudine della struttura del dramma a quella della tragedia greca, che si rivela nell’uso di maschere di legno, consone al carattere dei personaggi; nella presenza di tre soli attori (come nella tragedia greca il protagonista e i più tardi deuteragonista e tritagonista), di cui soltanto due contemporaneamente recitanti (pur se è presente qualche raro altro personaggio minore, che recita una sola battuta o funge soltanto da figurante); e ancora nella presenza del coro, del quale però il testo non specifica la parte. Altre similitudini sono da ritenere coincidenze, come la scena fondamentale del duello, al termine di una lunga guerra tra due popoli, combattuto tra i rispettivi eroi, che peraltro ci ricorda quello tra Ettore e Achille nel poema omerico. Per questi motivi, è mia opinione che sarebbe appropriata una messa in scena attuale di questo dramma maya in un teatro greco di Sicilia.

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