SAVIEZZA E FOLLIA IN DON CHISCIOTTE E NEL SUO SCUDIERO

(Rossella Cerniglia)

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Don Chisciotte disegnato da Salvator Dalì

“Un pazzo savio e un mentecatto buffo” così Sancio ha sentito definire il suo padrone e così ne parla nella lettera alla moglie Teresa, aggiungendo che analoga è la considerazione che la gente ha di lui. In altri luoghi del romanzo, a proposito di Don Chisciotte, si parla di ”intelligente follia” e si sottolinea la compresenza di saggezza mista a stramberia nella mente del nostro personaggio. Così il cavaliere “Dal verde gabbano”, ovvero Don Diego della Miranda, uno dei personaggi incontrati nel tanto peregrinare per le contrade della Mancia, lo ritiene fuori di mente quando questi parla di sé e della missione che s’è data: far risorgere la “defunta cavalleria errante”; per ricredersi poi e considerarlo assennato e perspicace quando espone le sue idee intorno alla poesia; e tornare ancora, e definitivamente, a crederlo pazzo dopo l’avventura con i due leoni, in seguito alla quale lo sconcertante cavaliere cambierà l’appellativo, datogli da Sancio, di “Cavaliere dalla triste figura” in quello di “Cavaliere dei leoni”.In tutto il romanzo senno e follia accompagnano l’andare ramingo di Don Chisciotte e ne rappresentano le due facce, le due modalità possibili di accesso al mondo.

La follia di Don Chisciotte, era nata –come sappiamo- dalle tante letture di romanzi cavallereschi che gli avevano, secondo l’espressione dell’autore, “prosciugato il cervello”. Si tratta, in fondo, di una follia ben circoscritta che si innesca solo in determinate circostanze, quando cioè viene toccato l’argomento dal quale essa ha avuto origine. Si esplica, tuttavia, anche sul piano pratico, nell’avere egli intrapreso quella vita raminga, dedita alle avventure e alla protezione dei deboli così come il codice cavalleresco comanda. È da tali assunti che nasce quello stravolgimento del reale che è la follia donchisciottesca, dove il reale è reinterpretato sulla scorta di quelle nefaste letture che gli fanno scambiare per reale ciò che reale non è.  In altri momenti, quando affronta argomenti d’altro genere, quando parla di morale, quando esprime le sue idee sulla poesia, il suo parlare è quello di uomo colto e assennato. “Chi, dopo aver sentito questi discorsi di Don Chisciotte, non lo avrebbe preso per una persona perfettamente sana di cervello e piena di criterio?” Così inizia il XLIII capitolo della seconda parte del romanzo dove il narratore porta l’attenzione sulla personalità del protagonista e sulla saggezza mostrata nel dare tanti buoni consigli a Sancio che si accinge a governare l’isola di Baratteria. La follia di Don Chisciotte potrebbe, dunque, riguardare l’immaginazione, il desiderio, il sogno. Potrebbe anche prestarsi a rappresentare lo sguardo astratto, idealistico dell’artista che vuole ricreare il mondo secondo l’afflato che gli è proprio, e che si scontra con l’aridità, l’incomprensione e la barbarie dei tempi nuovi dove gli ideali di una volta sono morti e sepolti nel pragmatismo e nel materialismo imperanti. Ma la figura del cavaliere si arricchisce e si completa nell’antitesi rappresentata dal suo scudiero e compagno Sancio.  Alla figura alta e allampanata dell’uno fa riscontro quella traccagnotta del secondo, all’idealismo e alla cultura libresca e astratta di Don Chisciotte fa da contrappeso il realismo, pregno di concretezza godereccia di Sancio. Come è stato notato, nel contesto storico della Spagna, a cavallo tra XVI e XVII secolo, essi ben rappresentano una precisa contrapposizione sociale: da una parte la piccola nobiltà degli hidalgos, cui Don Chisciotte appartiene, una nobiltà spiantata e impoverita che conserva i tratti ormai sbiaditi e l’orgoglio residuo e vacuo di una passata grandezza: la stessa grandezza della Spagna ormai avviata a un inesorabile tramonto. Dall’altra parte sta la massa dei contadini, come Sancio, poveri, analfabeti; sapienti solo di una cultura popolare costruita sulle faticose esperienze giornaliere e intessuta di proverbi che, come avviene in Sancio, non sempre sovvengono a proposito; massa che, tuttavia, è posta sempre più a contatto con questa nobiltà declassata, la prima ad avvertire i prodromi inquietanti di un imminente mutamento, inscritto nel destino dell’intera Nazione.(  continua)

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