STATION TO STATION (seconda parte)

(Lucilla Lo Verso)

Da quel giorno, ogni notte si incontravano alla stazione, di fronte al binario 7. Lei voleva tenergli la mano, per assicurarsi che lui non facesse sciocchezze davanti ai suoi deboli e fragili occhi. Lui voleva tenerle la mano, perché si sentiva in dovere di proteggere quella piccola donna che stava iniziando a sciogliere il ghiaccio presente nel suo cuore. Come la neve intorno a loro che scompariva con la fine dell’inverno, infatti, anche il cuore del ragazzo iniziava a perdere le fredde difese che gli impedivano di provare qualunque cosa. Ogni notte si tenevano per mano, perché avevano iniziato a capire che non potevano fare a meno l’uno dell’altra e mai avrebbero potuto.

Le notti scorrevano veloci trascinandosi dietro i mesi. Era quasi primavera, e la temperatura era più mite. A Julia capitava di guardare il mondo da un’altra prospettiva, e le sembrava che tutto avesse all’improvviso preso colore. Spalancava gli occhi a ogni minima novità, e sorrideva come una bambina che vede la neve per la prima volta. Sarebbe stata inevitabile, in seguito, un’ennesima ricaduta nel grigio e nel buio. Lui si limitava a sorriderle amaramente per poi lasciarle un languido bacio sulla fronte, non potendo sconfiggere l’ingenuità della ragazza. “Era triste trovarsi adulti senza essere cresciuti.”Lei raccontò al ragazzo dei mostri che popolavano i suoi sogni, trasformandoli in incubi. Per questo non riusciva a dormire, aveva paura di farlo. Aveva paura che se si fosse addormentata sarebbe stata catturata in quell’orrendo vortice di terrore e che non sarebbe più riuscita a uscirne, rimanendo intrappolata all’interno di quell’inferno al cui confronto quello dantesco era un prato fiorito nel pieno della primavera. Quindi non dormiva, rimaneva sveglia più che poteva, fino a quando non riusciva a reggersi in piedi e cadeva letteralmente al suolo, addormentata. Ma a quel punto era così stanca che non aveva neppure la forza di sognare, o comunque di ricordare gli incubi. Julia pensava che forse quella era una sorta di punizione, per la quale doveva pagare un prezzo. “Pagava il prezzo con le borse degli occhi, piene di foto di sogni interrotti.” Lui le accarezzò gli occhi sempre stanchi e circondati da profonde occhiaie, mormorandole qualcosa simile a ‘tutto questo non ti fa bene’, ma Julia non ci prestò molta attenzione. Era troppo impegnata ad assaporare il tocco di lui sul proprio pallido viso.”Voglio farti un regalo” mormorò Julia una notte, con la testa appoggiata su una spalla di lui. Si sollevò dritta per poi sfilarsi dal collo la sua collanina d’argento, con il proprio nome inciso in bella grafia.”Settimane fa mi hai detto che hai paura di dimenticarti di me, di come ti faccio sentire. Non ho ben capito cosa intendessi dire, ma così avrai sempre un promemoria” sussurrò, accarezzando la lucida piastrina, ora al collo del ragazzo.”Non credo di averne bisogno” mormorò il ragazzo con voce tremante. Julia abbasso il capo, fissando le proprie gambe intrecciate a quelle di lui su quella sporca panchina della stazione. Si sentiva spesso in soggezione sotto lo sguardo attento di lui, sotto i suoi occhi ambrati.”Perché?” trovò la forza di chiedere, torturandosi le mani. La leggera risata del moro la confuse. Sentii delle grandi mani sollevarle il volto, e incrociò gli occhi del ragazzo che erano così tremendamente vicini. I polpastrelli del ragazzo si mossero delicatamente sul suo viso, accarezzandole le guance pallide e scavate.”Julia, ho il tuo nome tatuato sul mio cuore. Non ho bisogno di una piastrina, non potrei mai dimenticarti, neanche se volessi.” Dagli occhi verdi di lei iniziarono a scendere delle calde -poche- lacrime, che il ragazzo si affrettò a baciare via.Lei allungò una mano verso la collana, per riprendersela. Ma la sua mano fu afferrata da una del ragazzo. “Cosa stai facendo?”

“Hai- hai detto che non ti serve” balbettò Julia. Non capiva.

Il ragazzo fece uscire una leggera risata dalle labbra, lei sentì il suo petto vibrare pressato contro il proprio fianco. Decise che quel suono era molto bello.

“Questo non vuol dire che io non la voglia.”

Sorrise e continuò, dopo essere tornato serio.

“Mi hai aiutato così tanto. Permettimi di ricambiare il favore. Permettimi di aiutarti a mia volta, Julia.” La ragazza annuì delicatamente. Come poteva negarglielo? Si sentiva legata a lui, come se una corda spessa e robusta fosse stretta intorno al proprio polso e così a quello di lui. Ovunque lui avesse deciso di andare, lei lo avrebbe seguito. Non per scelta, ma perché ormai non riusciva a immaginarsi lontana da lui, e la sola idea la faceva quasi andare nel panico. Perciò quando il moro si avvicinò lentamente al suo viso, Julia non si scostò. Si respirarono a vicenda, con pochissima aria a separarli. Si respirarono a vicenda come per memorizzare al meglio quella sensazione, quell’emozione che stavano provando. Fu spontaneo per entrambi fare combaciare le labbra tra loro, in un bacio dolce che aveva un non so che di affrettato e disperato. Come se il tempo a loro disposizione non fosse abbastanza, come se, ora che avevano scoperto questa fonte di felicità, volessero godersela il più che potevano. Il moro percepì anche l’ultimo pezzo di ghiaccio staccarsi dal suo cuore, finalmente libero da quelle barriere. Julia vide i suoi mostri allontanarsi da lei, almeno per un po’. (continua)

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