FU QUELLA SERA DEL 27 OTTOBRE 1962

Carmelo Fucarino

Proprio quella sera, partito dall’aeroporto di Catania alle ore 17,55, si schiantava in territorio di Bascapè, provincia di Pavia il Morane Saulnier MS. 760, in avvicinamento a Linate, ove Enrico Mattei stava tornando assieme al giornalista William McHale di Time-Life che lo doveva intervistare. Nessun segno premonitore, ma le testimonianze di Rita Maroni («Ho sentito un boato e una botta e ho visto il fuoco») e dell’agricoltore Mario Ronchi («il cielo era rosso, bruciava come un grande falò, e le fiammelle scendevano tutte intorno… Un aeroplano si era incendiato e i pezzi stavano candendo sul prato, sotto l’acqua»). Mattei tornava da contatti con le autorità siciliane già avviati dal precedente 18 ottobre per costruire a Gagliano Castelferrato uno stabilimento ENI di 400 posti in cambio del metano ivi scoperto. Allora aveva ricevuto, secondo la moglie Greta Paulas un’ultima lettera minatoria, una delle tante, tra le quali una della fantomatica Organisation de l’Armée Segréte per un suo presunto sostegno agli indipendentisti algerini. A parte il cacciavite dimenticato nel motore a nulla erano valsi gli allarmi del KGB e dello stesso Nikita Sergeevič Chruščëv, da dirigenti politici e corrispondenti del Giorno, organo dell’Eni. Inchiesta e primo processo 1962-66, con sentenza 31 marzo 1966: «non doversi procedere in ordine ai reati rubricati ad opera di ignoti, perché i fatti relativi non sussistono». E così cominciò il caso Mattei, fino al film di Francesco Rosi del 1972. A parte i dubbi di Oronzo Reale e Fulvio Martini, capo del SISMI, nel 1986 Amintore Fanfani dichiarò a Salsomaggiore di “abbattimento dell’aereo” e «il primo gesto terroristico del nostro Paese» e il «primo atto della piaga della violenza politica». Dal 1993-1994 entrò in campo su suggerimento di Tommaso Buscetta la mafia siciliana per scambio di favori con l’affiliata americana e si parlò per la prima volta apertamente di un favore alle Sette sorelle del cartello petrolifero, quasi tutte statunitensi. Giungiamo alla requisitoria del 20 marzo 2003 basata su nuove testimonianze oculari, sulla perizia tecnica di due ingegneri aeronautici e sulla consulenza medico-legale di un luminare dell’università: ad abbattere l’aereo di Mattei era stata una piccola carica di esplosivo piazzata da ignoti dietro al cruscotto, mentre il velivolo era parcheggiato nell’aeroporto catanese di Fontanarossa. L’innesco azionato dal sistema di apertura dei carrelli all’approdo. Esecuzione «pianificata quando fu certo che Enrico Mattei non avrebbe lasciato spontaneamente la presidenza dell’ente petrolifero di Stato». Con sentenza 17 marzo 2004 il procedimento fu archiviato per il «carattere ignoto degli autori del fatto» e perché «non era stata fornita una prova sufficiente». Infine il 10 giugno 2011, i giudici della terza sezione della Corte d’Assise di Palermo in margine al sequestro e alla scomparsa del giornalista Mauro de Mauro, essa è stata ritenuta suffragata «da un compendio davvero imponente di prove testimoniali, documentali e tecnico-scientifiche» e nella «causale Mattei» hanno indicato il movente della soppressione del giornalista la necessità di tenere occultati determinati retroscena della morte del manager pubblico. «Su input di una parte del mondo politico», avrebbero partecipato al complotto sia Cosa Nostra sicula e il misterioso politico di origini mantovane Graziano Verzotto, latitante in Libano, favorito da un indulto e sfuggito ad altra incriminazione con la morte nel maggio del 2010. Gli anni e i labili ricordi, l’ombra sempre presente di servizi segreti stranieri e patri non hanno potuto cancellare questa montagna di prove, ma a tutto c’è rimedio: la ricostruzione storica è stata ridimensionata da certa a «verosimile» o «altamente probabile» (Corte d’Assise d’Appello di Palermo, 27 gennaio 2014 e idem Corte di Cassazione, 4 giugno 2015). Nel 2017 il p.m. Vincenzo Calia istruttore del processo 2003 ha raccolto nel suo saggio Il caso Mattei i dati fondamentali di questa inchiesta. Quanto pesò e pesa ancora il segreto di Stato? Quanto può ancora pesare quella matita di Yalta nell’ordine mondiale e nella divisione geopolitica? Quanti segreti passati e presenti oscurano la nera storia politica della Repubblica italiana? Basta accogliere le affermazioni di Giorgio Galli, dette “con cognizione di causa” che, nei tre decenni precedenti, «mezza Italia» aveva ricattato «l’altra metà con ciò che sapeva della morte di Mattei»? E con ciò era proprio sicuro che si fosse trattato di una feroce lotta di potere mirata a sostituirlo e che nel complotto nessuna parte avessero avuto la Cia e le Sette Sorelle? E perché la scia di morti che potevano sapere? Non sarebbe bastato deporlo? Cosa può oggi insegnarci questo arcano che ribaltò e annullò la presenza italiana dell’Eni nello sfruttamento delle risorse del Mare nostrum, necessarie per la produzione e impose la sudditanza geopolitica che ancora ci induce ad aderire a posizioni autolesive non solo della nostra indipendenza industriale ed economico-finanziaria, ma anche della nostra libertà nella difesa di interessi vitali per la Nazione? Ci può ricordare qualcosa l’insoluto Caso Mattei? Ho voluto soltanto metterlo all’attenzione delle nuove generazioni. Noi che lo abbiamo vissuto, come i tanti altri tragici arcani ed oscuri complotti, salvati come questo dal segreto di Stato, possiamo soltanto recriminare su una libertà mai goduta. A partire da quella promessa e sperata salvifica Unità di Italia.

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