Sempre a proposito di Aristofane e delle donne
Carmelo Fucarino
Per le sue pesanti connotazioni politiche assai laboriosa e contrastata è stata la vicenda della Giornata Internazionale della Donna, volgarmente intesa come Festa della Donna, da quando nel VII Congresso della II Internazionale socialista, tenuto a Stoccarda (18–24 agosto 1907), presenti 884 delegati di 25 nazioni, fra i quali le celebri Rosa Luxemburg e Clara Zetkin, si propose all’attenzione la questione femminile, che allora significava soprattutto «lottare energicamente per l’introduzione del suffragio universale delle donne». Si ricorre ancora alla mistificazione politica con la fantasiosa favola edulcorante dell’eccidio delle operaie nel rogo di una inesistente fabbrica di camicie Cottons di New York con la gogna a un ipotetico Mr. Johnson, che le avrebbe chiuse all’interno. In effetti avvenne una simile tragedia, ma il 25 marzo 1911 nella fabbrica Triangle, dove perirono 146 operaie, in gran parte emigrate italiane. La storia è assai complessa per poterla affrontare nello spazio di un blog. Diciamo che la prima celebrazione della nostra Repubblica avvenne in tutta Italia l’8 marzo 1946 con la prima comparsa della mimosa. Le Nazioni Unite designarono soltanto il 1975 “Anno Internazionale delle Donne” e a partire da quell’anno si celebrò l’8 marzo. Poi nel dicembre 1977, l’Assemblea Generale dell’ONU adottò la risoluzione con la quale proclamò la “giornata delle Nazioni Unite per i diritti della donna e la pace internazionale” (si noti la seconda parte), da celebrare in un qualsiasi giorno dell’anno dagli stati membri in accordo con le tradizioni storiche e nazionali di ogni stato. Adottando questa risoluzione, l’Assemblea Generale dell’ONU non riuscì a risolvere il peccato di origine, ricorrendo a palesi compromessi, delimitò il ruolo della donna negli sforzi di pace, anche se riconobbe l’urgenza di porre fine alla discriminazione.
Sembra che siano trascorsi secoli da quella frenetica rivoluzione femminista. Dopo tante lotte per la liberazione, la giornata, sembra di aver perduto lo slancio e lo smalto iniziali e di essere snaturata nell’opinione comune in una giornata di esclusione misantropica, in cui le donne si concedono una serata unisex, talvolta all’insegna della trasgressione.
L’anno 411 a. C. alle Grandi Dionisie di Atene Aristofane presentò le Thesmophoriázousai, Le donne alle Tesmoforie o La festa delle donne. Si trattava di una parodia letteraria in cui si metteva alla berlina alcune tragedie innovative di Euripide, cioè un metateatro giocato sulla tipica commedia degli equivoci, in cui un travestito Agatone va a curiosare fra le donne con il rischio del sacrilegio e del linciaggio. È l’originale intervento alla festa delle donne che preludeva alle stoccate parodiche della Lisistrata e delle Donne al parlamento, che giorni fa magistralmente ha interpretato le nostra compagnia Lions.
A noi interessa ricordare la particolare festa greca, tutta al femminile delle Thesmoforie, che celebravano il culto misterico di Demetra Thesmofora (“Legislatrice”), madre addolorata alla ricerca della figlia Persefone, rapita da Ade. Era la dea primigenia della religiosità chtonia (meritatamente celebre l’inno pseudo omerico a lei dedicato), protettrice dell’agricoltura, come la Cerere latina, ma anche del matrimonio. Era una festa di iniziazione, rigidamente esclusiva delle donne, tanto che erano comminate pene severissime agli uomini che infrangevano il divieto assoluto di assistervi. Il rito si celebrava dal 10 al 14 del mese di Pyanepsione (ottobre-novembre). Il primo giorno, detto Stenia, era dedicato alle burle orgiastiche del rito, nel secondo giorno si festeggiava ad Halimus, seguiva la festa del ritorno (Anodos). Il momento propriamente iniziatico era il giorno del digiuno (Nesteia), seguito dall’ultimo giorno dei sacrifici a Demetra Calligeneia, genitrice di bei figli. Nella festa iniziatica femminile le donne scoprivano il loro ruolo nella società attraverso la vicenda nascita-morte, come l’esperienza della Persefone Core che ottenne di vivere sei mesi sulla terra con la madre e sei mesi nell’Ade con lo sposo. Dall’esperienza della natura che muore per rinascere in primavera quella individuale e umana della morte e della rinascita che assurgeva a motivo soteriologico con Cristo liberatore.