Dog-sitter, nuova figura professionale

(Carmelo Fucarino)

O Palermo Felicissima 2010 … paradiso per cani! Corre, senza requie, da un punto all’altro del balcone del decimo piano, che gli permette solo spiragli di vista. E abbaia, dalla mattina alla sera, chiamando i padroni che hanno pur diritto di lavorare per regalargli i bocconcini del menu diversificato e tutti i confort da “vita non da cani”. Ohimè, cane infelice, strazio per le mie orecchie! E la mia voglia di telefonare all’ENPA, idea presto abbandonata per la certezza che non sortirebbe grandi effetti. Sì, perché i detentori di cani hanno tutto il diritto di concedere loro quei pochi minuti di “aria”, mattina e sera, come ai carcerati, possono portarli a imbrattare aiuole e marciapiedi … quelli degli altri. Guai se un vigile dovesse prendere loro la multa sancita dalla legge. La sensibilità di molti giornalisti protesterebbe ferita. Perché, parrebbe, il cane ha più diritti dei bambini, che dovrebbero godere dell’aria dei giardini, meglio per questi l’alienazione dei nidi standardizzati.
Buenos Aires, ore 9 e ore 18. Gruppi di cani al guinzaglio dai cinque ai trenta, che si voltolano sull’erba, giocano e si mordicchiano, una gioia da vedere, pazze carezze e assordanti annusamenti. Una giovane li ha raccolti, casa per casa, e li ha portato nel giardino, proprio davanti al prestigioso teatro Colon, perché si divertissero assieme. La socializzazione! Li assiste premurosa, attenzioni e sguardi da inondare il cuore di tenerezza. E la gioiosa spensieratezza canina, quei giochi affettuosi fra razze diverse, barboncini che familiarizzano con setter. Là, con la crisi della natalità, le babysitter dei giardini sono state scalzate dalla nuova figura professionale dei dog-sitter, ben più remunerata e di grande futuro. Perché, cosa non si fa per il proprio cane giocattolo, che non sa di coprirsi di ridicolo con cappellini, magliette e scarpette di haute couture. Per lui la vasta gamma di carne ecologica per tante foreste abbattute.
Legato da solo, un guaito che è un pianto angosciante da fare accapponare la pelle, il feroce cane cattivo, con una museruola stretta che gli impedisce pure di abbaiare. Il reietto che mugola da strappare il cuore, mentre guarda la frotta di fortunati che fa capitomboli e abbaia felicissima, si comunica le delizie delle loro lussuose dimore personali, le facce profumate delle loro padroncine.
Ed è pure l’Argentina dei desaparecidos che giorno 24 marzo, per gridare giustizia per le tante vite profanate, ha inondato come una marea l’Avenida de Mayo e Plaza de Mayo, quella delle madri addolorate dal cuore trafitto, per ricordare con due date 1976 – 2010, “ni golpes ni golpistas”, la ferinità esorcizzata e nascosta dall’Occidente, l’inumana ferocia di un lutto senza la speranza di una tomba lacrimata, le tante fosse comuni, l’immenso Atlantico dei buttati dall’elicottero. A proteggere la manifestazione sfilate di autoblinda e di idranti. Seguivo il dialogo di un locale con uno Spagnolo che disperava sul rinvenimento delle fosse di Oviedo.

Così cantavo il novembre del 1982

Il prato

Come sbocciavi florida
e sicura sullo stelo
e ti imperlavi
di porpora e rugiada,
margherita di campo,
sui seni gonfiati
da morsi e ustioni
sulle membra maciullate
della fossa comune.
Le madri alla Plaza de Mayo
salmodiano in cerchio
preghiere e speranze,
non sanno del fiore
che appassisce sul petto.

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